La verità – Intesomale – Contro Antigone
Non so dire se sono d’accordo con l’affermazione di Eva Cantarella, secondo cui Creonte era un buon governante. Si potrebbe entrare nei dettagli della questione, affrontare il tema della Legge e in quella della Realpolitik, ma sono dimensioni che mi riescono ostiche, perché io ho imparato a giudicare le regole in base alla loro violenza e non in base alla loro coerenza, in altre parole sono un anarchico. Più interessante la scarsa simpatia che la scrittrice dice di provare per Antigone.
Io, personalmente, con Antigone ho sempre avuto un rapporto di amore e odio. Immagino sia abbastanza normale, per un maschio, esserne spaventato. Antigone è, a un livello superficiale, il simbolo di un certo tipo di femminilità poderosa e violenta, che sovverte l’ordine del potere tradizionale assegnato all’uomo. C’è qualcosa di banalmente maschilista, nell’istinto a diffidare da Antigone. E la parte positiva del mio rapporto con questa figura è invece sempre stata di tipo concettuale, razionale: un maschio progressista, con un debole per la poesia e per una visione romantica della vita, tutto sommato si sente in colpa a provare inquietudine di fronte a una donna coraggiosa.
Ma recentemente ho fatto alcune riflessioni sui temi della verità e della dimensione morale dei rapporti fra persone, e mi sono ritrovato a pensare con maggiore attenzione alla figura della giovane ribelle, finendo per rendermi conto che la mia simpatia per lei forse è meno motivata di quanto pensassi.
Se Antigone fosse un archetipo, che cosa rappresenterebbe? La rivolta contro l’autorità? D’accordo, ma di rivolte contro l’autorità ce ne sono miliardi, e non tutte vanno d’accordo con la mia morale. Un assassino pedofilo che resiste all’arresto, per esempio, si rivolta contro l’autorità, ma questo non lo mette certo nel novero dei Che Guevara di questo mondo, giusto?
Contro cosa si rivolta Antigone? La risposta è semplice: contro la decisione di un uomo di potere, suo zio Creonte, di non seppellire Polinice, fratello della fanciulla, in quanto, nella guerra dei Sette, egli agiva da invasore, mentre Eteocle, l’altro fratello, agiva da difensore. Si rivolta dunque, la nostra giovane ribelle, contro una norma del diritto tebano (memo: un po’ l’anti-Socrate, che invece muore per le leggi che lo hanno allevato). E allora siamo d’accordo, naturalmente, sul fatto che una norma di diritto non sia immune dalla discussione, dalla revisione, dalla riscrittura, dalla disobbedienza civile: Polinice era stato esiliato ingiustamente, tutto sommato. Ma Antigone in nome di cosa agisce? Non di un principio morale, bensì di un principio personale e familiare. Lei non vuole che Polinice resti insepolto, ma non perché non lo ritiene un invasore: si era forse immolata dando la vita, in precedenza, per opporsi al potere di Eteocle?
No. Antigone vuole seppellire Polinice solo perché Polinice è suo fratello.
La ribellione di Antigone non è un atto morale, ideologico o politico. È un atto personale, una prevaricazione emotiva nei confronti di regole che per altri possono anche valere, ma non per suo fratello.
Inoltre, Antigone non si limita a mettere in pericolo se stessa per un proprio bisogno o desiderio emotivo e personale, per stabilire che suo fratello, fra gli animali eguali, deve essere più eguale degli altri in quanto suo fratello. Va ben oltre, e coinvolge nel suo piano altri due esseri umani, piegandoli al proprio volere e stabilendo che la sua personale verità, la sua esigenza di favorire il fratello, vale più dei loro sentimenti e delle loro vite.
La prima persona che coinvolge nel suo piano è Ismene, la sorella, che rifiuterà di aiutarla. Nel rivelarle il piano, la mette in pericolo, e la costringe a sentirsi in colpa per un conflitto morale risolto in nome di una non partecipazione. Ismene soffrirà terribilmente per la decisione di Antigone, e quando Antigone, dopo aver gettato terra sul corpo di Polinice, sarà condannata a morte, Ismene vorrà morire con lei, e si vedrà respinta come una vigliacca. Ismene dovrà convivere con il rifiuto della sorella di esserle compagna nella morte, e con la coscienza di non averla potuta dissuadere e salvare.
La seconda persona coinvolta è Emone, innamorato di Antigone, del quale lei non avrà alcuna considerazione. Emone è figlio di Creonte, e si trova a dover scegliere fra la donna e il padre; non potendola salvare dalla sentenza di morte, il giovane finirà per togliersi anch’egli la vita. Dopo essere stato escluso dalle trame della fidanzata.
Antigone agisce in nome di una convinzione che non è disposta a condividere con nessuno – se non con la sorella, che umilierà e a cui rovinerà la vita – e questa convinzione è di natura puramente emotiva. Distruggerà la propria famiglia e dunque la casata della città, e con esse la vita di tutte le persone che le sono legate, e lo farà solo ed esclusivamente in ragione di un proprio sentimento. Certo, Sofocle cercherà di metterci dentro una critica alla tirannide, facendo parlare Emone – infuriato col padre – in sfavore del regime in cui uno solo decide per molti. Ma chi è più tirannico di Antigone, che decide le sorti di tutti, non per un’idea, non per il bene comune, non per vendicare un’ingiustizia, ma solo per amore di un fratello defunto?
Ho avuto modo, dicevo, di riflettere su molte cose, ultimamente. Una è stata la verità, tema sul quale persone a me legate hanno scritto molto, dimostrando, quasi sempre, un fatto tutto sommato poco sorprendente. Che la verità è soggettiva, individuale. Il Calendario con cui ciascuno descrive e racconta se stesso, la propria dimensione eroica, romantica, tragica, eccellente, è un atto di violenza della realtà condivisa e manca di rispetto agli eventi del mondo. Per ciascuno di noi, la mancata sepoltura di Polinice è un oltraggio; ciascuno di noi si sente nel giusto, vede di sé solo il bene, è il più paziente degli innamorati, il migliore degli amanti, il più giusto dei familiari, il più coraggioso degli eroi. Uno strumento affilato, la verità individuale, che andrebbe tenuto nel fodero ed estratto solo con grande accortezza. Uno strumento bugiardo, egoista e poco generoso, se confrontato coi fatti. E violento, e facile da sbandierare. Uno strumento che lascia segni sul mondo, e che rischia di vedersi opporre, con altrettanta ferocia, la verità di qualcun altro.
Antigone avrebbe potuto osservare il lutto per Polinice in silenzio, maledire le leggi per il male che le avevano fatto. Oppure agire da sola, senza portarsi dietro la rovina di un’intera città, senza umiliare la sorella. Invece ha avuto bisogno di fare tutto il rumore che poteva, ponendo se stessa nella posizione di chi decide il destino e la verità di tutti. E in questo è profondamente crudele, e, secondo me, molto poco dignitosa.
C’è una verità emotiva, personale, alla quale ognuno deve essere fedele. E non pensare che tutti escano bene nella propria verità, alcuni si sentono i vermi peggiori, nei loro calendari, ma dato che la verità oggettiva è inconoscibile, rispettare un principio soggettivo, che nel caso di Antigone crea un precedente, mette l’amore per il fratello (uno solo, va bene, gli altri rovinati) al di sopra di tutto, per me continua ad essere cosa nobile.
Come le questioni di principio, Intesomale. Sono inutili, ma senza princìpi non c’è tragedia che tu possa capire.
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Cazzo mi fai rivedere troppo in Antigone, ora che ci rifletto.
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Pingback: la verità – è non dover mai dire “mi credi?” – adp | i discutibili
“profondamente crudele, e, secondo me, molto poco dignitosa.”
come la verità adogni costo.
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No, come la verità di una singola persona messa addosso ad altri.
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ok. Bene anche così.
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quando mi appassionai al giusnaturalismo, e dunque rilessi l antigone di sofocle in una chiave almeno in parte accademica, mi sorprese l idea di una legge naturale, a cui antigone avrebbe in un certo senso dato seguito, immutabile e valida per ogni essere vivente. Inteso, non esattamente, credo io, istintuale ed emotiva, ma una norma di condotta morale (siamo su un piano diverso credo io), alla quale solo dare risposta.
mi venne in mente che natura umana, citerei bobbio sul punto, è spesso usato, nel linguaggio colloquiale, per definire certe attitudini soggettive; frase eloquente: bèh è la mia natura quella di essere …… ( mettici aggettivo che vuoi ). In questo modo, dunque, esisterebbero tante leggi naturali quanti gli esseri viventi, o potenzialmente tali, a meno di voler davvero riconoscere una valenza universale a qualche norma di condotta, concetto che personalmente mi mette non poca uggia, non tanto a livello di principi generali, piuttosto di traduzione, in azioni e comportamenti, di tali principi. la traduzione, mi ci insegni, subisce sempre il fascino di una scelta tra due o più sinonimi, per esempio. E una certa, seppur sfumata, interpretazione da parte del traduttore.
forse non mi sono spiegata bene, magari ci ritorno dopo le vacanze, inteso.
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