Fine vita- Redpoz bis
Dopo aver affrontato in modo “scientifico” la questione del fine vita, vorrei concedermi una riflessione più intima, emozionale se vogliamo.
Ve la sottopongo con una semplice domanda:
Sapete cos’è rappresentato nella foto?
Se ci siete andati abbastanza vicino, probabilmente sì. Se siete stati abbastanza vicini ad un terminale, vicini alla fine, vicini alla morte, con ogni probabilità potrete rispondere.
Si tratta di un dosatore per morfina, una macchinetta automatica che -una volta impostata dal medico- continua a somministrare morfina in dosi regolari per non far soffrire troppo il paziente. Fino alla fine (scopro da ammennicolidipensiero che tecnicamente è definita “sedazione terminale”).
Personalmente, la prima volta che ne vidi un (aldilà dei telefilm) fu un paio d’anni fa.
Ne fui letteralmente, profondamente shockato. Tanto shockato che ancora oggi non riesco a levarmelo veramente di mente.
Ero andato in ospedale, dove giaceva mio nonno. Ovviamente, era “agli ultimi”, infatti morì quella notte stessa. Ma volevo passare da lui un’ultima volta, per quanto sapessi che non sarebbe stata “una bella visione”.
In realtà lui, il suo corpo (era ormai addormentato) non mi fece particolare impressione. Quella macchina sì.
Quella macchina nascondeva ciò che noi tutti volevamo nascondere: dietro la somministrazione di antidolorifici si celava un’immensa ipocrisia.
Non so se riuscirò a rendere una precisa idea dell’impressione che mi fece, ma credo che darvi l’esatta proporzione di quella siringa potrebbe essere d’aiuto: era grande, all’incirca, come una bottiglia d’acqua da un litro (ben più grande che nella foto), adagiata orizzontale sulla macchina. Senza dubbio la droga era diluita, ma la sua dimensione, pronta a durare per tutta la notte o forse di più lasciava impressionati.
In quella grandissima siringa sentivo l’ipocrisia di non voler guardare in faccia la fine, la morte.
Intanto, l’idea di somministrare antidolorifici ad un uomo che sarebbe morto di lì a poche ore assumeva per me un’intenzione profondamente menzognera: come se ciò di cui aveva bisogno fossero gli antidolorifici! (Non sono credente, ma piuttosto un prete!) Sembrava quasi voler distogliere l’attenzione dei presenti, focalizzarla sul momentaneo dolore che il nonno probabilmente affrontava ed occultare il dolore che di lì a poco sarebbe cessato per lui, ricadendo interamente su di noi.
Che senso ha difendersi dal dolore quando non ci può difendere dalla morte?
E cosa sarebbe successo se l’avessero staccata dal suo corpo? Si sarebbe svegliato urlando? Ricordo che tanti anni fa stavo guardando uno sceneggiato tv de l'”Iliade” ed un Ettore portava un prigioniero greco entro le mura di Pergamon, alla domanda se il prigioniero fosse ancora vivo, l’Ettore lo ferì con la spada facendolo urlare rispose “Non è forse un grido la differenza fra la vita e la morte?“. Già, non è forse un grido? Non è forse il dolore la prova che siamo ancora vivi?
Arrivai persino a dubitare che i medici l’avessero messa lì per una ragione precisa e che -al contrario- fosse solo una “precauzione” fondamentalmente inutile, un modo per lavarsi la coscienza.
Sembrava un nascondersi.
E’ curiosa questa economia del dolore, e credo in qualche modo spieghi anche tanta nostra ritrosia a lasciar morire i nostri cari:
finché sono vivi, soffrono loro; quando muoiono, soffriamo noi.
In secondo luogo, quell’enorme siringa di oppiacei mi diede l’impressione di una morte “addolcita”: mi sembrò come se il nonno fosse accompagnato verso la fine nel modo più caritatevole possibile. Il che, di per sé, può sembrare anche una bella cosa: perché lasciar soffrire qualcuno?
Ma era anche una cosa terribilmente ipocrita: da quando era entrato in ospedale l’ultima volta, il nonno aveva certamente sofferto. Ma ora, nell’ultimo momento, non gli negavano la morfina: dose extra. Quanto distante dall’overdose?
Credo tutti noi abbiamo almeno una vaga idea di che droga sia la morfina… una droga che “addormenta”, inebetisce. Ecco, quel dosatore mi diede l’idea che cercassero di lasciar morire il nonno “addormentato”, insensibile al mondo (“sintomi refrattari”, scopro si chiamano) e questo mi lasciò profondamente scosso.
Sembrava un nascondere.
Fossi stato solo, fossi stato più forte, probabilmente avrei cominciato a premere il tasto “+” di quella macchina sino a raggiungere il massimo dosaggio possibile. (…)
Se tanto il nonno doveva lasciarci così, meglio lo facesse presto. Non così: cosa stavano forse aspettando con quella siringa di morfina? Che “sopraggiungesse la morte” per uno qualsiasi dei tanti fattori che potevano causarla? E come volevano aspettarla: con un uomo che non potesse neppure rendersi conto di quanto gli accadeva? Ma allora che differenza c’era con un uomo già morto?
Abbiamo già detto come la morte sia sempre più scomparsa dal nostro orizzonte, dalla nostra vita: relegata prima negli ospedali; poi in sezioni specilizzate; infine, occultata dietro una massicia dose d’oppiacei (ah, John Donne!).
Se qualcuno ricorda le pagine di dolore che accompagnano la morte di Tarrou ne “La peste” di Camus, quando il morbo pare ormai debellato (p. 103 – 106), credo non possa fare a meno di domandarsi cosa sia più “umano” fra quella sofferta ed estrema lotta ed il dolce cullare della droga.
Badate, non domando “chi sia più uomo” o “meno uomo”; né voglio sostenere che le cure palliative non siano giuste e doverose. Sono totalmente convinto lo siano (fosse per me, autorizzerei anche l’eroina!).
(Se posso permettermi il paragone, trovo siano un pò come l’aborto: una cosa tragica e dolorosa, ma che è doveroso esista e sia a disposizione di chiunque ne abbia bisogno).
Solo, personalmente, credo vorrei morire il più sveglio, il più lucido possibile. E non lo dico con spacconeria, né con eroismo: lo dico come segno d’accettazione, anche di rassegnazione. Credo sia un desiderio condiviso da molti, credo. Ho sentito che “alla fine”, il dolore ci sopraffà e ci arrendiamo ad esso. Probabilmente è così, anticipato da un rantolo, da un urlo che ci segna veramente il limite ultimo della nostra sopportazione (quel limite che tante volte ci illudiamo di aver raggiunto e poi increduli ci lasciamo alle spalle: questa volta no). E poi basta.
Forse vorrei morire addirittura con un urlo, un urlo atroce, tremendo, disumano, alla fine, che mi svuoti tutti i polmoni, che terrorizzi chi lo senta e mi lasci affermare per l’ultima volta “Ho vissuto!“.
Naturalmente, queste considerazioni riguardano me e solo me.
Se crediamo -come almeno personalmente credo- che il malato abbia il diritto di autodeterminarsi nella scelta delle cure e di rifiutarle; credo dovremmo riconoscergli il medesimo diritto anche sul rifiutare le cure palliative.
Se crediamo che l’uomo debba morire in dignità e se crediamo, come ha detto la Cassazione nella sua citata decisione nel triste “caso Englaro”, che la “dignità” dipenda dalle “personali concezioni del soggetto“; credo dovremmo lasciare al singolo la decisione su quale sia a suo giudizio il modo più dignitoso per morire, se affrontando il dolore o meno. La dignità del “come” morire risiede in larghissima parte nelle idee del singolo, pertanto è fondamentale evitare qualsiasi generalizzazione e lasciare al singolo la scelta che personalmente ritiene migliore. Così, quella che denuncio come “ipocrisia” risiede solo nell’assenza di questa scelta personale, nella surrogazione della stessa da parte della comunità che decide per il singolo.
Insomma, con che diritto quei medici decisero per mio nonno? Con che diritto decisero che per lui era meglio avere la morfina?
Come possiamo negare un urlo così a chi sta per morire?
Sono d’accordo che ognuno debba essere libero di decidere sulla propria morte, ma sul resto no…..personalmente sono a favore delle terapie del dolore, perchè soffrire e contorcersi per il dolore per morire lo trovo davvero ingiusto.
"Mi piace""Mi piace"
Guarda, sono anche io totalmente favorevole alle terapie del dolore. Ripeto: fosse per me, anche l’eroina.
Ma c’è una linea sottile fra la terapia del dolore ed una sedazione che ci priva di coscienza (senza interrogare la nostra volontà) in un momento tanto cruciale.
"Mi piace""Mi piace"
Ognuno deve essere libero. Io non vorrei soffrire nè rendermi conto di andare via. Questo per quanto riguarda me.
Ben venga la terapia del dolore, a me non serve stare lucida in quel momento.
"Mi piace""Mi piace"
Ti ringrazio del commento. Soprattutto, ti ringrazio della comprensione.
Come detto, ritengo siano questioni assolutamente personali delle quali ciascuno debba trovare la propria risposta e non sono possibili generalizzazioni. Assolutamente legittimo, quindi, il desiderio di non provare alcun dolore.
"Mi piace""Mi piace"
capisco la tua posizione, e credo davvero che la parte più bella e profonda della tua riflessione siano gli ultimi due paragrafi (che, giustamente, introduci con il “personalmente”).
trovo però un grosso limite nella generalizzazione. ciò che distingue la mia riflessione dalla tua, nella sostanza, penso sia questo: la questione della “direzionalità”. paziente soggetto o oggetto della scelta.
mi spiego: quello che avevo cercato di dire nel mio post (e nelle risposte ai commenti) era che non metto in dubbio che al centro sia l’individuo, con le sue sacrosante scelte, qualunque esse siano (di accettare come di rifiutare cure palliative e sedazione), ma che trovo inconcepibile che a livello medico non si offra la scelta delle cure palliative, ed anche della sedazione, quando ne sussistano tutti i presupposti.
a livello personale, poi, credo che ci sia il grosso rischio di non saper ascoltare la richiesta di un paziente, o dei familiari, nella direzione della sedazione, così come trovo che sia insensato che un paziente debba morire nel dolore, nell’angoscia; sono fermamente convinto che sia fondamentale difendersi dal dolore proprio perché non ci si può difendere dalla morte: ma questo è il punto di vista personale e su questo penso di essermi già espresso chiaramente.
sottoscrivo invece in pieno la frase centrale, sulla difficoltà, a volte, da parte dei familiari a lasciar andare.
credo però siano doverose anche due precisazioni a livello tecnico.
la prima riguarda la morfina. la morfina nell’ambito delle cure palliative viene utilizzata normalmente come adiuvante della sedazione, ma non è il farmaco d’elezione: gli oppioidi come la morfina non dovrebbero essere utilizzati come sedativi in quanto la sedazione viene raggiunta a dosi per cui gli effetti indesiderati sono superiori ai benefici (tra l’altro, anche a dosi elevate possono non arrivare a indurre sedazione). mi sento di affermare che, se la terapia è praticata da personale competente, siamo ampiamente lontani dall’effetto sedativo e ancor più dall’overdose (tecnicamente sarebbe omicidio, in italia, oggi, non esistendo come già tu hai scritto una legge in merito)
seconda cosa, ancora più importante: la sedazione non è morte, non è eutansia, non è non-vita. è reversibile: un percorso palliativo può prevedere che sia in forma continua ma anche intermittente, intervallata quindi a momenti di coscienza, sulla base delle esigenze, dei desideri, del confronto per quanto possibile con il paziente e con i familiari.
questo è il motivo per cui una sedazione deve essere praticata da personale non solo esperto, ma per cui ascolto e comunicazione sono tanto importanti quanto la capacità di gestire farmacologicamente in maniera ottimale una terapia palliativa. in questo non sento ipocrisia, anzi: sento una grande consapevolezza ed un grande rispetto nei confronti di un momento così determinante e definitivo, per il paziente quanto per i familiari.
"Mi piace""Mi piace"
Ti ringrazio moltissimo della risposta.
Spero di non esser caduto io nella generalizzazione, infatti mi preme molto precisare che le conclusioni riguardano me ed esclusivamente me.
Come già detto, io non sono in alcun modo contrario alla sedazione, né alle cure palliative. Ma trovo che queste debbano esser scelte personali.
Se posso permettermi il paragone, è un pò come l’aborto: è una cosa potenzialmente orribile e senza dubbio psicologicamente dolorosa, ma è innegabilmente giusto che come possibilità debba esistere ed essere pronta per chiunque lo desideri. Su questo nulla quaestio.
Però, ripeto, deve essere scelta personale.
Nell’assenza di questa scelta sta, a mio avviso, l’ipocrisia.
Ti ringrazio inoltre delle precisazioni tecniche.
Probabilmente erro nel dire che si trattava di morfina… questo, effettivamente, è un dato medico di cui non posso esser certo.
Quanto all’overdose, comprendi bene che si tratta di una suggestione linguistica fra l’abbondanza della sedazione disponibile ed il limite fisiologico.
Sulla reversibilità, altro punto importantissimo, sono teoricamente d’accordo con te (infatti lungi da me “accusare” alcuno di eutanasia!). Mi domando tuttavia dove corra questo confine labilissimo sulla reversibilità quando si è in punto di morte…
In fondo, discutiamo sempre di “come” morire.
Alla luce dei tuoi rilievi, credo opportuno cercare di precisare ancora più il post.
"Mi piace""Mi piace"
Sono pienamente d’accordo con te, noi moderni ci scandalizziamo del dolore e della morte, un tempo si soffriva e moriva più semplicemente, ma questo dipende da come viviamo e diamo senso al vivere, se non c’è un vero senso del vivere, vogliamo soffocare il dolore e la morte. Perchè come tu dici è il dolore, è il grido, come è la morte che ci fanno sentire come il cuore desidera veramente, e cioè che vuol essere eterno e felice.
Non concordo sull’aborto, perchè non chiediamo all’embrione/feto se vuol vivere e morire, lo chiediamo solo alla madre che ne è la custode, però, solo custode.
"Mi piace""Mi piace"
Il paragone con l’aborto serve solo ad evidenziare la tragicità della questione ed al contempo la necessità che simili misure esistano.
"Mi piace""Mi piace"
L’aborto, seconde me , soffoca il grido, soffoca la drammaticità del vivere. Ritengo che le ferite che sanguinino siano importanti a farci vedere la realtà nella giusta prospettiva e che cioè così come non siamo noi a decidere di venire al mondo , così non siamo noi a decidere fino a quando vivremo, come vivremo, e se anche tentiamo di manipolare la vita, in realtà rimane sempre quel margine fuori controllo che ci andare in tilt.
"Mi piace""Mi piace"
Queste considerazioni travalicano l’oggetto della mia riflessione e non posso prendervi posizione in merito in questa sede.
Parlare di aborto ci porta su un altro terreno eticamente sensibile, le cui discussioni in merito andrebbero lontanissimo ed avrebbero bisogno di spazi e tempi adeguati.
"Mi piace""Mi piace"
anche questo è fine vita…concludo
"Mi piace""Mi piace"
Così torniamo a quanto già detto. Tuo nonno si era precedentemente espresso per il suo fine vita? Voi parenti avete espresso ai medici altre indicazioni, compresa l’eventuale sedazione terminale? Se no i medici hanno agito nel migliore dei modi per il malato, rispettando un fine vita naturale ed attenuando le atroci sofferenze. Non riesco a vedere l’ipocrisia in tal caso e, come discutevamo in un tuo post precedente, in assenza di una norma giuridica chiara che dà facoltà ad un medico di staccare la spina.
Ciao.
M.R.
"Mi piace""Mi piace"
Cara ili6, non vorrei però collegare il problema dello “staccare la spina” con quello della sedazione.
A mio avviso, sono due questioni separate.
Premesso che in entrambi i casi dovrebbe prevalere la volontà del paziente (su cui, mi pare, siamo concordi), in assenza di questa entriamo in un ambito di scelte altrui.
Ma pur sempre di scelte si tratta.
Allora, io non biasimo i medici che immagino abbiamo fatto il loro giusto lavoro, ma mi pongo una domanda…. “etica”, se vogliamo chiamarla così. Potremmo definirlo il problema della “generalizzazione”, ovvero di estendere ai singoli le norme pensate in astratto.
Secondo me, per quanto caritatevole, questo “agire nel migliore dei modi” è vagamente ipocrita. Parere mio e solo mio.
Probabilmente per rispondere meglio dovrei entrare nei dettagli, cosa che non voglio fare. Spero quindi ti accontenterai di queste riflessioni.
"Mi piace""Mi piace"
“E solo il terrore farà capire il discorso” Isaia 28,19. Ora per essere più specifici credo non si possa stabilire prima di un evento come si vivrà quello stesso evento, oggi che sono sano come un pesce…per modo di dire, ho un bel principio di autodeterminazione che mi suggerisce la volontà di voler vivere quel momento o i momenti prima del morire, lucidamente e con una valanga di urla di dolore. Mi domando se sarà veramente quello che desidererò in quel momento!? È una mia riflessione, semplice e concisa, come dici tu, il principio dell’autodeterminazione è indiscutibile ma vagamente veritiero quando ancora non hai una malattia che cresce a dismisura dentro di te e a volte anche fuori, quando i sintomi prendono il sopravvento e il dolore totale coinvolge ogni dimensione dell’uomo, dalla fisica alla spirituale, in quel momento forse cambieresti idea. La sedazione non è lontanamente una azione ipocrita, perche allora ogni atto medico potrebbe esserlo, anche prescrivere un antibiotico in una sepsi generalizzata o il massaggio cardiaco dopo un incidente che ha devastato un uomo, piuttosto è l’appropriatezza di un intervento che rende unico e vero lo stesso intervento. È doveroso che sia il malato a scegliere cosa, come e quando ma se la coscienza viene a mancare, il principio etico di elezione dovrebbe essere il principio di beneficenza del non nuocere/ nessun danno che si traduce in atto terapeutico. In ultimo non è un grido che ci rende vivi, piuttosto vivere fino all’ultimo respiro senza grida. Grazie per avermi permesso di scrivere la mia opinione e ringrazio te per la riflessione.
G C
"Mi piace""Mi piace"
Giò, ovviamente la possibilità di cambiare idea è innegabile (anzi, direi che fa parte del principio stesso di autodeterminazione).
Ciò detto, mi pare vi sia una significativa differenza fra le ipotesi che menzioni: in essi, infatti, per lo più il malato è cosciente e libero di seguire o meno la terapia e anche quando non lo è, si tratta di terapie essenziali a salvare la vita.
Ovviamente, si tratta di opinioni personalissime e tutte parimenti lecite, opinioni che toccano nel profondo il nostro sentire, le nostre idee ed il nostro vissuto. Unico.
Sono io a ringraziare te per il tuo contributo.
"Mi piace""Mi piace"
Io non trovo che ci sia granché di dignitoso nel contorcersi dal dolore negli ultimi momenti di vita. Le persone che ho visto morire sapevano da un po’ che si avvicinava la fine. I conti con la fine li avevano già fatti. Ciascuno a suo modo. Ciascuno come sapeva e poteva. Ricordo che subito prima che addormentassero mio padre aveva un’insufficienza respiratoria tale che ogni volta che respirava sembrava soffocasse. E iniziava ad avere dei dolori lancinanti alla testa dovuti alle metastasi che iniziavano a svilupparsi nel cervello. Dov’è la dignità? E dov’è l’ipocrisia di attaccargli una flebo che gli lasci un’espressione serena in viso invece di una smorfia di dolore costante? Dopo mesi e mesi di progressivo peggioramento? Io sono molto contento che sia stato addormentato. Quello che doveva dire lo ha detto, quello che non poteva o non voleva dire non lo avrebbe detto neanche se si fosse contorto negli atroci dolori. Fosse stato legale, anziché addormentarlo lo avrei accompagnato. Forse questa è l’ipocrisia? Se lo è, ok. Sono ipocrita. Ma sono contento di esserlo.
"Mi piace""Mi piace"
Caro Max, per quel che conta posso dirti che anche mio nonno sapeva. Forse nelle ultime ore non ne era più cosciente, ma da settimane ormai sapeva.
Come ho scritto, per me l’ipocrisia sta nell’aver deciso per altri.
Come ho detto altrove, fosse legale e se mio nonno l’avesse voluto, avrei accettato molto più di buon grado di “accompagnarlo” come dici tu.
Non faccio della dignità un problema di dolore, ma della soggettività di ciascuno (ricordi il Cioran che ho citato?).
Vedi, io credo che il problema fondamentale di questo post e di tutte le discussioni che ne seguono sia semplicemente uno: ognuno di noi ha vissuto, ha visto, ha sentito cose diverse ed ha in cuor suo un “senso” diverso di questi eventi. Un senso intimo, viscerale, unico. Incomunicabile, che rende pressoché impossibile comprendersi perché -in qualche modo- “non parliamo della stessa cosa”.
Ti assicuro dal più profondo del cuore che, da quanto mi dici, non potrei mai e poi mai considerare sbagliata né ipocrita la scelta fatta per tuo padre.
E son sicuro che tu possa cogliere le differenze che segnano la mia esperienza dalla tua.
p.s.: io non ho parlato di “contorcersi dal dolore”, questo è un dato che solo voi lettori avete dedotto -senza alcun appiglio se non la sedazione, direi- ed è un dato che fa una grande differenza.
"Mi piace""Mi piace"
Lavoro in ospedale, e anche in un’équipe di cure palliative. Nella mia esperienza, ad oggi, non ho mai visto nessuno desiderare morire nel dolore purché lucido. Anche il desiderio di lucidità ha un limite, che è soggettivo, ma ad un certo punto quel limite arriva. La soglia di sopportazione del dolore -fisico e psicologico- è individuale. Ma quando il dolore invade troppo il corpo e la mente, si vuole solo che smetta, perché non lascia spazio per nient’altro. Troppo dolore uccide anche lo spirito.
Le cure palliative sono un percorso, che si cerca di fare con l’intero nucleo famigliare, e in primo luogo col paziente. Nessuno seda chi non vuole essere sedato. Si accompagna, si cerca la strada possibile, passo dopo passo, accogliendo i bisogni del paziente che cambiano a seconda del procedere della terminalità.
Personalmente non credo che morire con un urlo sia desiderabile. E’ comunque importante che ciascuno possa scegliere cosa desidera per sé.
"Mi piace""Mi piace"
Sguardiepercorsi, ti ringrazio davvero della tua risposta. Soprattutto perché viene da qualcuno che affronta la questione ogni giorno.
Per quanto possa apparire strano, sono d’accordo con te: il desiderio di lucidità ha un limite.
Quello che, nel caso specifico, mi è sembrato mancare è la condivisione della scelta: col paziente innanzitutto e con la famiglia in secondo luogo.
Guarda, io parlo da ignorante assoluto (e senza dubbio questo si comprende), ma a mio avviso questo è un punto imprescindibile.
Quanto al desiderio, come ho scritto, è una valutazione esclusivamente personale.
"Mi piace""Mi piace"
Hai ragione, la condivisione è imprescindibile. Purtroppo negli ospedali non sempre accade. Chi lavora nelle cure palliative è addestrato alla condivisione, ma sfortunatamente non è proprio cultura generalizzata…
"Mi piace""Mi piace"
Ecco, capisci allora cosa mi ha tanto scandalizzato e turbato.
Ti ringrazio davvero molto della risposta, almeno posso sperare che qualcuno abbia capito cosa veramente intendevo.
"Mi piace""Mi piace"
Io penso che quello che contraddistingue un essere umano sia il dolore e la capacità di reagire a questo che non è per tutti uguale. Però anche io un po’ come Wish aka Max penso che la fine degli occhi dei nostri cari a volte si vede già un bel po’ di tempo prima che avvenga. A volte accade di vederli morire guardandoli negli occhi, capendo che in essi non c’è più la luce che li contraddistingue quando si è vivi dentro. Comunque si tratta di un argomento molto delicato.
Le parole forse non bastano per capire cosa si cela nel malato e nelle persone che gli stanno vicino. Ma questo è solo il mio modesto parere.
"Mi piace""Mi piace"
Le parole senza dubbio non bastano, né per capire cosa voglia esprimere il paziente in simili condizioni, né per esprimere i nostri sentimenti.
Io però non ho parlato del generico “lasciare andare” in pace i nostri cari, solo di una ben specifica terapia.
"Mi piace""Mi piace"
Ripeto il concetto: La sedazione no è un atto di ipocrisia perche allora ogni atto medico potrebbe esserlo, anche prescrivere un antibiotico in una sepsi generalizzata o il massaggio cardiaco dopo un incidente che ha devastato un uomo, piuttosto è l’appropriatezza di un intervento che rende unico e vero lo stesso intervento. l’intervento di agire su una sepsi generalizzata con antib terapia quando comunque muori lo stesso non ha salvato la vita a nessuno, se fai un massaggio ad un incidentato sbrindellato non ha salvato la vita a nessuno, questi sono gli atti ipocriti e non appropriati. Quello che intendo dire è che nell’uomo è innato il principio di beneficenza che giustifica ogni intervento anche quando non è più appropriato e non salva la vita a nessuno, ho lavorato in pronto soccorso, in oncologia, in cure palliative per molti anni. Quindi riassumendo quando oggi decidi qualcosa per il domani non è detto che il domani ti dia la possibilità di cambiare la scelta che hai fatto, questo non vale solo per le cure palliative ma per qualsiasi altra disciplina medica. Concludo e grazie
"Mi piace""Mi piace"
No, scusa, ma qui stai generalizzando indebitamente.
Secondo me, questi casi che citi hanno una significativa differenza dalla sedazione terminale: essi potenzialmente potrebbero salvare la vita. La sedazione terminale comunque no, mai.
Insomma: in essi entra in gioco un valore (un bene giuridico, se vuoi) nuovo e diverso.
Non possiamo paragonarli tanto semplicemente.
Resto d’accordo sul fatto che le scelte di oggi potrebbero non essere modificabili domani, che è un punto interessante ma non è il punto centrale della discussione.
Come già scritto, io ho immenso rispetto per i medici e per le cure palliative. Anzi, credo andrebbero maggiormente diffuse (anche culturalmente). Questo come principio generale.
Ma dobbiamo distinguere il generale dal particolare.
E, se permetti, il caso particolare (l’unico di cui parlo nel post!!) l’unico qui a conoscerlo nei fatti sono io.
Quanto sopra non incide sul mio giudizio: tu ti richiami ad un generico “principio di benevolenza“, che è certamente una bellissima cosa; ma è un’idea vaghissima e dovremmo valutarla nella pratica di ogni singolo caso. Personalmente credo che a volte la benevolenza possa anche portare a fare del male (Todorov la chiama la “tentazione del bene”) e che l’uomo (il destinatario) abbia anche il diritto di rifiutarla, questa benevolenza.
Infine, resta il punto principale: quella scelta specifica, in quello specifico episodio è stata fatta senza consultare alcuno (e probabilmente senza neppure una vera ragione medica).
Rispondo qui anche al commento seguente, che mi pare in linea con quest’ultimo punto.
Comprendo che non sempre il processo di condivisione sia possibile (e questo non mi scandalizza), anche se credo converrai con me che -perlomeno- un dovere di informazione ai familiari sussista.
Detto questo, io non ho mai parlato di “denunce”, che mi sembra abbastanza fuori luogo: per quel che ne so, non mi pare ipotesi di illecito penale.
Infine, e probabilmente a te sembrerà follia (e probabilmente, generalmente parlando hai ragione: senza dubbio hai molta più esperienza di me), io credo che se qualcuno (magari perché l’ha lasciato scritto prima) desidera “morire di sete”, gli debba essere lasciata questa libertà.
Ancora una volta torniamo al punto chiave: ciò che è giusto “in generale” può non esserlo “in particolare”.
"Mi piace""Mi piace"
Aggiungo: la dignità umana sta sempre nel particolare.
"Mi piace""Mi piace"
Vorrei anche aggiungere un’ultima cosa, non in tutti i casi il processo di condivisione di una percorso è possibile, a volte i pz arrivano all’attenzione di una équipe di cure palliative in uno stadio così avanzato, perché te li segnalano tardi che devi agire di fronte al”urlo disumano o di fronte ad uno stato di edema polmonare acuto o di fronte ad una dispnea terminale, il pz in quel caso poco può condividere……. Tu hai solo una scelta quella di sedare, è un dovere sacrosanto, poi se arrivi in ps in queste condizioni ancora oggi muori con l’acqua alla gola, fatto un giro nelle medicine…. Pz in edema polmonare con attesa di vita di poche ore e i liquidi in corso…. Nessuno li denuncia? No e sai perché? Perché ormai deve morire ma almeno non muore di sete……
"Mi piace""Mi piace"
Ma quanto è bello questo post?
"Mi piace""Mi piace"
credo tu sia l’unica a pensarla così.
"Mi piace""Mi piace"
Sia chiaro, nelle conclusioni sono totalmente in disaccordo.
Ma è davvero davvero bello, ben fatto, ben scritto, ben pensato.
"Mi piace""Mi piace"
come ben comprendi, le conclusioni sono qualcosa di personalissimo.
"Mi piace""Mi piace"
no, lo penso anch’io. delle conclusioni abbiamo già detto, ma sul modo in cui è stato scritto, anch’io dico la stessa cosa di bleach. anche a me ha colpito molto, davvero molto, la frase allineata a destra (solo graficamente, eh, intendo, non offenderti ;)).
"Mi piace""Mi piace"
noooooooo, adesso sì che mi offendi 😉
mi avrebbe fatto molto piacere, invece, se quella frase avesse ricevuto un pò più di attenzione.
aldilà dell’impaginazione, credo sia una delle cose potenzialmente più interessanti che potremmo dire sul tema.
aldilà di questo, ti ringrazio vivamente dell’apprezzamento.
in effetti, è stato un post difficile.
"Mi piace""Mi piace"
“E’ curiosa questa economia del dolore, e credo in qualche modo spieghi anche tanta nostra ritrosia a lasciar morire i nostri cari:
finché sono vivi, soffrono loro; quando muoiono, soffriamo noi.”
“Forse vorrei morire addirittura con un urlo, un urlo atroce, tremendo, disumano, alla fine, che mi svuoti tutti i polmoni, che terrorizzi chi lo senta e mi lasci affermare per l’ultima volta “Ho vissuto!“.
“Come possiamo negare un urlo così a chi sta per morire?”
Tutto questo è da brividi red. Tu vorrai pure morire urlando, ma chi ti sarà accanto in quel momento non vorrà mai sentirlo, quell’urlo. E lo soffocherà.
"Mi piace""Mi piace"
Eppure, riflettendoci, credo quell’urlo farebbe assai bene anche a loro.
Pensiamoci: quando sappiamo che i nostri cari soffrono, alla fine ci sentiamo quasi “sollevati” (sic) alla loro morte.
Sai tutti quei discorsi contemporanei sull’ “elaborare il lutto” di cui siamo sempre meno capaci? Ebbene, credo che se cominciassimo ad avvicinarci di più alla morte, anche nei suoi tratti più orribili e disgustosi (non so se hai letto “Per chi suona la campana”, quando Pilar dice all’Ingles come scoprirla…), ecco, allora forse cominceremo ad accettarla meglio.
Dà i brividi, certo.
(non a caso, dico “addirittura”)
Ma cosa ti dice io morirò con qualcuno accanto?
"Mi piace""Mi piace"
E’ esattamente quello che intendevo io, ed è quello che intendo quando dico che la morte è un tabù.
Però il libro non l’ho letto.
L’ho deciso io, fidati.
(:
"Mi piace""Mi piace"
ahahaha non so se è più importante che ti risponda su Hemingway (ti prego, se non hai mai letto Hemingway devi assolutamente farlo!) o sulla mia compagnia “finché morte non ci separi”.
insomma, il primo è un genio assoluto: a molti non piace, io personalmente lo trovo straordinario. “per chi suona la campagna”, soprattutto, ma anche “isole nella corrente” o l’eccezionale “il vecchio ed il mare”.
ma sul secondo punto mi riservo di vedere l’evolvere degli eventi… una parte di me lotta per non aprire la mail, un’altra non riesce a resistere. lo odio.
(poi ce n’è una terza, quella sobria, che insiste a dire che è una perdita di tempo)
"Mi piace""Mi piace"
Ho letto solo Il vecchio e il mare. Farò ammenda. 😛
"Mi piace""Mi piace"
mannò, mi sembra già una buona base!
per un momento ho temuto davvero non avessi letto Hemingway tout court
"Mi piace""Mi piace"
A parte tuo nonno hai mai visto morire altre persone? Hai mai visto molte persone nel loro fine vita? Mi sembra veramente eccessivo il tuo pensiero, che ovviamente rimane tuo e solo tuo, mi permetto di dire senza offesa che guardi ma non vedi….hai guardato la pompa di tuo nonno e hai desunto che lo stessero sedando, dico giusto? vedi, una pompa di quel tipo è anche giustificabile dal fatto che le vie naturali non sono più praticabili per sommin le terapie, ovvero la bocca, quindi si utilizzano doverosamente altre vie di sommin. facendo quello che normalmente si chiama swicth, dalla terapia orale si passa a quella sottocutanea, o ev, gli oppiacei sono ancora un tabù e nella mente delle persone si associa spesso la sedazione alla morfina, ma questa è un’altra storia.
Comunque se vorrai urlare, urla pure fino alla fine….. spero per te che sia solo un breve istante…..,
"Mi piace""Mi piace"
Giò, ho scritto sin dall’inizio del post che si trattava di una riflessione “intima, emozionale” quindi chiaramente esclusivamente mia.
Forse è eccessiva, per carità non dico di no. Infatti non ho mai avuto alcuna intenzione di estenderla a nessun altro.
Questo mi pare un punto significativo di fraintendimento, spero sia definitivamente chiarito.
Sulla diffusione delle terapie palliative ti ho già ripetutametne risposto: credo anche io siano troppo un tabù e andrebbero maggioremente diffusi. Considerando il sostanziale accordo sul punto, non vedo l’ultilità di continuare a ribadirlo.
Quanto a come sono giunto alle conclusioni che si trattasse di sedazione, non vorrei ora soffermarmi su dettagli abbastanza capziosi. Basti sapere che, evidentemente, avevo tratto quell’informazione da qualche dato concreto.
Infine, no: non ho mai visto altri morire.
Immagino sia un’esperienza particolarmente significativa e toccante nel più profondo senso della parola.
Come immagino tu abbia visto, ci siamo già confrontati con gli altri blogger di questo sito sul tema, esprimendo anche idee contrastanti. Se ne hai ancora avuto modo, ti invito a leggere anche gli altri post (ivi incluso il mio primo): sono convinto vi troverai riflessioni ben più interessanti ed “umane” di quella riportata qui.
Ma, come detto e ripetuto, questo non cambia di una virgola il senso della riflessione
(ovvero: se qualcuno che soffre desidera la sedazione terminale, ben venga. Ma senza espressa volontà del paziente, invito alla cautela).
Sono convinto il tuo augurio sia fatto per benevolenza nei miei confronti, quindi te ne ringrazio siceramente.
"Mi piace""Mi piace"
anch’io lavoro in un’equipe di cure palliative.
confesso che, al di là dello stile con cui è scritto questo post, l’amore profondo che nutro nei confronti di questa disciplina, mi si “contorcono le budella” di fronte alle varie generalizzazioni, morfina/sedazione, aborto/cure palliative, pompa/sedazione, come di fronte a tutte le citazioni letterarie che mi sembrano così distanti dagli occhi, dai corpi, dalle urla anche vitali, non solo disumane, che vedo ogni giorno.
Un concetto condivido e mi sembra assolutamente da difendere: il consenso. Consenso chiaro, esplicito, profondo col paziente e con la famiglia. Mi dissocio e disapprovo lo “struzzismo” e l’ammiccamento di certi medici che acquiscono il consenso abbassando la testa ed allargando le braccia. Ma in 10 anni, non ho mai vito palliativisti così…
Ma al di là di questo per cui, come tu stesso dici, rimane una profonoda incomunicabilità tra noi essendo questo argomento così indissolubilmente legato al nostro intimo sentire la morte, il dolore, la malattia e la vita stessa, mi piace offrirti un piccolo sguardo sulla medicina cinese, su una visione del mondo così distante dalla nostra ma così legata al nostro essere uomini.
Secondo il taoismo, filosofia che sta alla base della medicina cinese, che nasce in epoca pre-scientifica, la vita è concentrazione di energia, la morte ne è dispersione, in un imprescindibile corrispondenza tra il nostro microcosmo e il macrocosmo della terra, delle stagioni, della natura.
La stessa corrispondenza che c’è tra corpo e mente: infatti ogni organo ha una funzione “organica”, fisiologica e una funzione psichica (non psicologica) perchè in una parte di quell’organo vive uno spirito che si occupa di tutte le funzioni emotive e cognitive di quell’organo.
Lo spirito del fegato ad esempio, lo Hun, che è quello che mi sta più simpatico, entra ed esce dal nostro corpo e regola la nostra fantasia, creatività e in questo andare e venire, la notte, ci fa sognare…sempre lui, prima di morire, si stacca, saluta, spegne gli occhi, la loro luce (il fegato-organo, curiosamene, per i cinesi regola la vista) e se ne va in cielo. Un cielo di anime eteree in attesa di entrare in un nuovo corpo…
quando penso a questo mi si apre lo sguardo e respiro e mi si ricongiungono, e si ridimensionano, la tua voglia di urlare e le mie budella scandalizzate.
"Mi piace""Mi piace"
Grazie quinquilie per questo tuo commento.
Innanzitutto, credo lo stile sia una questione estremamente soggettiva, quindi non saprei come risponderti sul punto. Ciò, almeno, fintantoché il contenuto ne può essere desunto chiaramente.
Solo su un aspetto mi preme fare una precisazione, ovvero sul riferimento all’aborto: esso è un paragone “etico”, se vogliamo così definirlo, non terapeutico. Per quanto ignorante in materia, sono abbastanza cosciente della differenza clinica fra la sedazione ed l’aborto. Con ciò, intendevo semplicemente sottolineare come esistano altre terapie “tragiche”, che ci pongono dinnanzi a scelte difficili e dolorose, ma che è giusto esistano.
La distanza dalla tua esperienza immagino dipenda dal fatto che il mio caso è stato un episodio unico in circostanze ben definite, mentre tu ovviamente ne hai uno spettro completo e quotidiano.
Non ho mai negato, infatti, che in alcuni casi la sedazione terminale e le terapie palliative in genere siano opportune e doverose.
Come detto, da un’esperienza unica e personale nasce esclusivamente un giudizio sul tale caso singolo e personale.
Ti ringrazio anche per la digressione sulla medicina cinese, molto interessante. Condivido con te l’idea che spesso un altro approccio medico ci potrebbe aiutare ad affrontare il fenomeno-morte. E’ un aspetto che torna spesso nei nostri post sul tema: mi pare che ci sia una gravissiamo lacuna culturale (od una rimozione) su questo evento tanto significativo.
Se posso permettermi di tornare al post, questo è un altro elemento che accennavo: il “placare” un evento di tale impatto tramite la sedazione terminale; quasi a cercare di limitarne la portata psichica ed emozionale. In questo senso, mi pare di poter dire che la sedazione terminale è l’ultima tappa di un percorso iniziato con la rimozione della morte dal nostro quotidiano (ad esempio, collocandola negli ospedali).
Ultima annotazione, un pò fuori tema, sullo spirito del fegato: anni fa, quando lavoravo in Cambogia, lessi che per i khmer il fegato era la dimora di uno spirito “animalesco” che dimora nell’uomo…
"Mi piace""Mi piace"
Che dire? Hai un nick meraviglioso. Questo è quanto, per parte mia
"Mi piace""Mi piace"