Pulp! – Intesomale – Quadri e conigliette
Allora scendiamo dalla macchina e siamo io e il turco e Sandra. Sandra cammina facendo la graziosa, ma nessuno ci cascherebbe, cazzo, sono due metri di vichinga che ha smesso con la boxe perché si annoiava. Io dico: al lavoro adesso. Ma il turco non molla.
– Ma quindi ti fa i pompini?
– Sì, Ali, sì, te l’ho detto.
– Ma li fa pure a quell’altro.
– Sì. Te l’ho detto, è confusa.
– A me sembra un po’ troia.
– Non è un po’ troia. Ti ho detto che è confusa, e tu non sei molto gentile.
Tolgo la sicura senza levare la mano dalla tasca. Lui fa lo stesso e sorride.
– Guarda che ti ho visto, è inutile che fai il beffardo.
– Beffardo? Ma come parli?
– Sì, beffardo. Stai facendo il beffardo, e io ti aiuto a migliorare il tuo italiano.
Sandra si intromette.
– Ha ragione lui, Ri, non puoi dire “beffardo”. Nessuno dice “beffardo”.
– Sandra per favore non ti ci mettere anche tu.
– E ha ragione anche sul fatto che quella è un po’ troia.
– Andate a cagare tutti e due ok? Perché non me ne fate uno voi, di pompino?
Il turco appoggia un dito sul campanello. Dice che siamo arrivati. Si sente un ronzio, il portone si apre. Entriamo, e saliamo le scale. Davanti alla porta, il turco bussa sul battente di legno. Dopo qualche istante si sente girare una chiave. Sandra si volta verso di me e mi dice, tutta sorridente:
– Comunque quella è un po’ troia.
– E tu sei beffarda.
***
L’appartamento è piccolo ma ben arredato, e il restauratore è un uomo sulla cinquantina, piacente, se avesse qualche capello in più sarebbe addirittura bello. Lo salutiamo e gli chiediamo dove sono le tele. Lavora per il capo, nel senso che gli deve un mare di soldi… così per ripagare il debito, quando riceve in mano quadri di valore, invece di restaurarli ridipinge dei falsi, ridà quelli ai proprietari e consegna l’originale a noi. Siamo qui per fare le consegne, dobbiamo portare la crosta al cliente e portare una tela da 15 000 euro al capo… Tutto sorrisi, il pezzo di merda, spegne il gas e ci chiede se vogliamo del caffè. Visto che non ci sono pericoli, rimetto la sicura alla pistola.
Il turco osserva le tele, che rappresentano una scena in cui un fauno insidia una ninfa nuda come mamma l’ha fatta in un grazioso boschetto di pini. Mi sorride e dice:
– ehi Ri, lo dovresti regalare alla tua tipa, questo.
– Piantala.
– No, davvero, mi sa che le piacerebbe il tizio, sembra messo bene…
– Piace anche a te, vero?
– Che cazzo dici?
– Ma è vero.
Mi si avvicina, bisbiglia gesticolando, e noto che il nostro ospite si preoccupa un po’ quando, nel farlo, il mio collega incomincia ad agitare la pistola.
– Lo sai che non voglio si sappia tra quelli con cui lavoriamo.
– Sì, ma lo sanno già tutti.
– Come lo sanno già tutti?
– Calmati.
Si sta infervorando, e agita quella cazzo di pistola come un pennello da imbianchino. Restiamo tutti come dei coglioni quando si sente il sibilo del silenziatore ad annunciare un colpo che parte. Siccome la sfiga non si scomoda mai a far le cose a metà, il proiettile squarcia l’aorta del restauratore, che nomina la principale qualità di cui è dotato il fauno e cade a terra imporporando le piastrelle come un irrigatore automatico.
Do un pugno in faccia al turco, associando la sua testa al succitato armamentario del fauno. Sandra ci separa. Dice che dobbiamo pulire, e che poi dobbiamo proseguire con la consegna. Consegna di cosa, le chiedo, facendole notare che non abbiamo idea di quale sia la tela originale e quale il falso.
***
Venti minuti dopo siamo ancora accucciati come tre coglioni a fissare le due tele.
– Guarda l’albero. Ti dico che si vede che la pittura è nuova.
– A me sembrano uguali, Ali.
Annuisco, devo dare ragione alla vichinga. Sembrano davvero uguali. Ma Ali insiste.
– No, no, il verde è ancora umido, guardate.
– Non toccare, cazzo, se è ancora fresca davvero la rovini.
Mi alzo e mi avvicino alla cucina a gas. C’è ancora del caffè nella moka, ed è caldo. Ne verso una tazza.
– E a noi, scusa?
– Voi potete andare affanculo… allora, cosa facciamo? Andiamo a caso?
– Beh, andare a caso per andare a caso, tanto vale dare retta al turco… se lui dice che è umida…
– Lui non ha mai visto una cosa umida in vita sua, quelli come lui usano la vaselina.
– Ehi, ehi, ora sei volgare.
– Volgare un cazzo. Andate a togliere le lenzuola dal letto. E tirate su i bossoli… bisogna anche pulire la maniglia, Sandra è senza guanti…
– Sì, vabbeh, facciamo tutto noi? E tu che fai?
– Io penso, ecco cosa faccio, visto che voi non siete capaci. Dai cowboy, alza il culo e cerca i bossoli, mentre la signora porta di qua le lenzuola… e cercate di ricordarvi che cosa avete toccato.
***
Il furgone di Sandra per fortuna è grande abbastanza per contenere sia il corpo, avvolto in due lenzuola e un piumone, sia i due quadri impacchettati… abbiamo cercato di pulire il sangue per rendere presentabile il vano posteriore, ma sono nervoso.
– Accosta, cazzo, accosta.
Sandra dà di sterzo, frenando allo stesso tempo, e ci allineiamo al guard-rail.
– Dammi il giubbotto arancione.
– Perché?
– Porca troia, se scendo in autostrada senza il giubbotto arancione e passa la pula si ferma a farmi la multa, e se ci chiedono di aprire il furgone siamo fottuti. Lo sai di che colore sono i tuoi interni adesso?
Il turco apre il cruscotto e mi dà il giubbotto arancione. Lo indosso, scendo e vado ad aprire il vano posteriore. Guardo la cosa che c’è in mezzo, e poi i due pacchetti rettangolari. Uno dei due è completamente intinto nel sangue.
– Cazzo. Cazzo. Lo sapevo che dovevamo tenerli davanti.
– Che succede, Ri?
– Succede che ora ci tocca far finta di niente, e sperare che quello giusto sia quello che non è stato ridipinto dalle budella di questo coglione.
– Guarda che è inutile che ti incazzi, è colpa tua.
– Colpa mia un cazzo… rispondi, ti suona il cellulare.
– Ma è il tuo.
– E rispondi lo stesso, forse è il capo.
– Non è il capo.
– E chi è?
– Credo sia la troia.
– Non è una troia, Ali, ti ho detto che è solo confusa. Ora stai zitto. La richiamo dopo. Ripartiamo, io chiamo il capo e mi invento qualcosa.
***
– No capo, non sappiamo cosa sia successo, ma quando siamo arrivati là il lavoro non l’aveva fatto… l’abbiamo trovato così, e allora siamo venuti via… capo ascolta, se lo portiamo a te, cosa diciamo al proprietario? Ma ho capito, ma quello mi conosce, e conosceva anche… ce li metto io, ok? Ce li metto io i cazzo di soldi, ok? Ora però ci dai una mano? Va bene, ci arrangiamo. Ok.
Riattacco e dico a Sandra di andare alla discarica. Lei mi fa notare che il proprietario del quadro abita a Reggio Emilia e mancano ancora duecento chilometri… Dice che potremmo lasciare il corpo più lontano da Milano, per confondere le acque, ma io sono nervoso e voglio liberarmene. Usciamo dalla tangenziale verso la scacchiera di vie dell’hinterland e in venti minuti di semafori terrificantemente corredati di metronotte e auto delle più assortite e variegate forze dell’ordine, arriviamo a destinazione… la discarica è deserta, come sempre a quest’ora. La aprono solo a metà pomeriggio, e per questo ce ne serviamo per questo tipo di lavori.
Scendiamo dal furgone su un piccolo spiazzo sterrato, e io mi metto a rovistare fra i rifiuti finché non trovo qualche cosa che assomigli a una vanga, poi la metto in mano al turco, che fa per protestare.
– Ora sembri uscito dalla Carica dei 101, con quell’occhio nero. Se vuoi ti faccio anche l’altro così sembri un cazzo di orsetto lavatore. Scava e buttaci dentro il coglione e pure il quadro rovinato, poi copri e ci spargiamo sopra un po’ di rifiuti. Muoviti, che il proprietario del quadro ci aspettava per mezzogiorno e sono già le due.
***
Il cliente sembra soddisfatto. Sorride impercettibilmente e mi mette in mano l’assegno per il restauratore. Gli dico di non intestarlo, così almeno il capo ci guadagnerà qualcosina, nonostante tutto il casino. Osservo l’uomo che mi porge il foglietto azzurro, oblungo. Indossa un completo beige con il doppiopetto e un papillon. Il papillon mi è sembre sembrato ridicolo sugli uomini, mentre sulle donne è sexy. Ma lui è un uomo, o almeno ne ha i geni, anche se sembra più che altro un alieno capitato sul pianeta sbagliato. Dopo avermi passato l’assegno, guarda di nuovo il quadro, poi guarda noi.
Io ho il completo grigio scuro, ma ho tolto la cravatta perché si è sporcata nel trascinare il cadavere fuori dal furgone… non è servito a molto, perché ho chiazze di sangue sulla camicia e i capelli sudati come uno che ha portato un cadavere in giro per tutta Milano Est. Ali è messo ancora peggio, l’occhio che gli ho fatto e la polo stropicciata. Sandra si presenta come una persona normale, almeno per quanto riguarda l’abbigliamento, ma non fa mai un’impressione molto rassicurante, con la sua stazza.
– Lei ha la camicia sporca. – mi dice il papillon, senza scomporsi.
– Sì, sono andato a sbattere col naso contro un palo, è uscito sangue.
– Anche il suo amico ha sbattuto contro un palo?
– No.
– Perché avete cambiato la cornice?
Cazzo. Cazzo cazzo cazzo. Ho gli occhi pieni di cazzocazzocazzo. Anche Ali ce li ha. Sandra invece sorride.
– La sua era rovinata.
– La mia valeva 20 000 euro.
Cazzo.
– Andiamo subito a recuperarla, a più tardi.
***
Il problema non sono tanto i duecento chilometri che ci separano dall’improvvisata sepoltura della cornice, del quadro e del restauratore. Il problema è che la discarica ora è aperta. Parcheggiamo di nuovo nello spiazzo, mentre il cielo di novembre inizia già a promettere un mezzo tramonto nel giro di un’ora o giù di lì. Scendiamo, e recuperiamo la vanga di prima. Stavola sposto io i rifiuti e inizio a scavare, ma poi Sandra mi dà il cambio. Non c’è tempo per i cliché: lei è più forte, più veloce e più efficace. Mentre la vanga tocca il metallo della cornice sepolta, una voce ci congela:
– State fermi lì voi, che cazzo ci fate qui?
Sulla sessantina, con un maglione grigio topo battezzato da un esercito di tarme, capelli in disordine, barba e doppietta spianata. Il custode.
– No, guardi, abbiamo buttato via una cosa per sbaglio.
– Col cazzo. Fermi lì.
È spaventato, ha visto il vano aperto del furgone e ha notato il sangue.
– Siamo macellai.
– Non dite cazzate, fermi ho detto, chiamo la polizia.
Ha già il cellulare in mano, così tiro fuori la pistola e gli sparo in fronte. Lo manco, o meglio, lo piglio alla spalla. Lui urla in falsetto, e tira i due grilletti, cospargendo il petto di Sandra di una costellazione di puntini rossi. La macchia si ingrossa, lei emette un gorgoglio e cade a terra, secca come un sacco di pietre. Io mi avvicino al custode e gli sparo tre colpi in fronte, trasformandolo in una specie di ammasso di carne, ossa e cervello.
– Cazzo, cazzo.
– Stai calmo Ali. Mettiamoli nel furgone e piglia la cornice. Piglia tutto il quadro, la stacchiamo in viaggio.
– Perché non li seppelliamo?
– Perché avranno sentito lo sparo, lui non aveva il silenziatore sai? Dobbiamo andare via. Muoviti.
***
Sono le otto di sera. Passate. Suoniamo al campanello del proprietario della tela, della cornice, e della nostra giornata di merda. Siamo ricoperti di terra, io ho un buco nella camicia perché mi si è strappata nel portellone del furgone mentre trascinavo l’enorme cadavere di Sandra. Lui apre, ci guarda, non ci invita a entrare, non ci chiede cosa sia successo. Chiaramente, non ne vuole sapere nulla. Gli porgo la cornice, da cui ho tolto un quadro – forse originale, chissà – che ora si trova a pezzi in mezzo a due cadaveri nel vano del veicolo parcheggiato giù in strada. La prende, ringrazia, chiude la porta.
– Ora che cazzo facciamo?
– Ora cerchiamo qualche cosa da mangiare, e poi ci fermiamo a dormire qui. Il capo lo chiamiamo domattina, spegni il telefono.
– Lo spegni anche tu? E se ti chiama la tipa?
– Ali, te lo dico chiaramente per l’ultima volta. Non la nominare nemmeno, se tu non fossi un coglione tutto questo non sarebbe neppure successo.
In quel momento il telefono squilla, è lei.
– Ciao coniglietta. No, mi devo fermare fuori città per lavoro. Ti chiamo domani. Sì che ti amo, certo. A domani, ciao, ciao coniglietta.
Ali mi guarda, vorrebbe tacere, poi non resiste e scoppia a ridere.
– Beh, dicono che i conigli ci diano dentro.
Dieci secondi dopo gli occhi neri sono due.
***
Abbiamo scelto una piccola pensione nella periferia di Parma: siamo stravolti e nonostante tutto riusciamo persino a dormire. Il cellulare rimane spento fino all’indomani, quando alle sei di mattina scendiamo in strada. Mentre sto schiacciando il tastino per accenderlo, Ali mi conficca la sua delicata manina da estorsore e da assassino nella spalla e mormora qualche cosa di simile a “oddio”. Alzo gli occhi. Il furgone è sparito. Al suo posto i primi baracchini di un cazzo di mercato stanno prendendo posizione sotto i cartelli che, parcheggiando, avevamo ignorato.
Non dico una parola, rientro e vado dal receptionist assonnato, ancora incazzato perché lo abbiamo costretto a una levataccia per fare check-out all’alba. Gli chiedo dove portano i veicoli rimossi. Sbadiglia. Glielo chiedo ancora tenendolo per la cravatta come se fosse un cappio. Mi dà un indirizzo. Ci andiamo.
***
La vigilessa ha l’aria gentile. Io sorrido. Non siamo conciati proprio bene, ma per fortuna abbiamo trovato un benzinaio aperto che vendeva magliette con la facciona di una modella e il logo di una compagnia petrolifera e siamo un po’ più puliti del giorno prima.
– Il fatto è che la nostra amica non è qui in città.
– Lo capisco, ma vi servono, oltre al libretto, una delega firmata e la patente della proprietaria.
Io e Ali ci guardiamo. La delega finta l’abbiamo scritta, non siamo proprio due sprovveduti, e ce l’aspettavamo… ma la patente della proprietaria sta addosso alla proprietaria, ovvero nelle tasche di uno dei due cadaveri che han finito da poco di sanguinare e sono nel retro del furgone. Il furgone è nel deposito della Polizia Municipale, dietro al piccolo ufficio da cui la bionda in uniforme ci manifesta il suo dispiacere per la situazione di impasse che si è creata.
Mi sporgo verso lo sportello e dico che può darsi che Sandra abbia lasciato la patente in macchina per ogni evenienza, che posso controllare mentre vado a prendere il libretto. Lei si irrigidisce, poi la sua mente processa l’insolita situazione, valuta che non c’è nulla di male, e infine annuisce.
Entro nel grande deposito e nella fila di automobili rimosse raggiungo il furgone. Ci sono due inservienti che chiacchierano con un vigile. Apro la portiera e prendo il libretto di circolazione, poi chiudo e lentamente mi dirigo verso il vano posteriore. Sono lì, li vedo se mi giro, ma nessuno di loro guarda nella mia direzione. Apro il portello, si girano allo schiocco della serratura e il vigile si riscuote, mi vede, avanza verso di me. Sorrido, e spiego che sto cercando i documenti per recuperare il veicolo. Lui fa di sì con la testa, poi torna a parlare con i suoi amici. Apro e chiudo infilandomi dentro, al buio. A tastoni distinguo la pancia del custode della discarica e poi il seno gelido di Sandra, la palpeggio un po’ e arrivo alla tasca posteriore dei jeans, ci trovo il portafogli. Appizzo l’accendino e con la luce della fiamma pesco la patente. Salto giù, pronto ad assalire il vigile e gli inservienti nel caso mi stiano osservando. Ma sono distratti. Richiudo, mi guardo vestiti. Niente macchie, il sangue è secco. Torno nell’ufficio della vigilessa.
***
Siamo in viaggio, il capo ci ha segnalato una nuova discarica sicura. È incazzato, ma se gli rimborsiamo il quadro e gli passiamo la parcella del restauratore non dovrebbe farci troppo male. Ali accende una sigaretta. Il mio cellulare squilla, il display dice: coniglietta. Guardo il mio compagno.
– Hai finito gli occhi, la prossima cosa che ti faccio nera sono le palle. Bada.
A me questo racconto pulp piace un sacco, ecco! Un po’ di comicità, un po’ di sesso, un po’ di splatter, un po’ di giallo….be scritto ed accattivante, ottima pausa caffè.
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sono contento
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ehm…leggo solo ora i tag: “amore”…..Amore????????? e dov’è l’amore in questo racconto?
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e come no, povera coniglietta! Lei dispensa amore!
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un cazzo di capolavoro pulp
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tu come sempre esageri 🙂
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mannò, ho solo fatto un commento a tema pulp!
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😀
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Ma dove cazzo lo hai recuperato “appizzo l’accendino”???
E’ una parola vera, “appizzo”? Esiste?
Bel pezzo, im, bel pezzo.
1Re 10,6
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era il linguaggio dei bimbiminkia di fine anni ottanta (di cui, ovviamente, facevo parte… ;))
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Togooooo! 😉
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ah sì? Boh io lo dicevo al liceo
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Prov. 11.2
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Prov. 16.23
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perché in ogni “roba” pulp le donne sono sempre troie?
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ho detto che è confusa!!!!!
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si, come no…. 🙂
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Grande pezzo. Bravo.
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grazie Roberto
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avevo visto che era lungo e non volevo andare avanti… poi mi sono appassionata. mi ricorda la “leggenda di al john e jack.”
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sono contento di aver attirato la tua attenzione 🙂
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Bello.
Grazie
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Eh grazie a te 🙂
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porca puttana.
Leggevo e dicevo…Smeto. Smetto e me loleggo dopo. Ché faccio tardi.
Solo un’altra riga e chiudo.
Beh, dai che ci vorrà a leggerlo tutto…dai…
Fanculo se faccio tardi.
Letto tutto.
Ecco.
E mo me ne vado(beh, tra un po’…) alla mostra degli impressionisti. Tanto per…no?
(che sei, Inteso! Che sei!)
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Buona mostra, amica mia, e grazie di aver letto. Sono.contento
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