[Scrive per noi] Fine Vita – Francesco Vitellini – Grandi Speranze
Era.
Avvertiva una vaga consapevolezza di non essere completo, ma sapeva di essere.
Sotto di lui (o sopra, per quello che riusciva a capire) si estendeva un vasto oceano, con onde in costante movimento.
No, non acqua, seppe. Il moto che vedeva/percepiva non era quello delle onde.
Era una corrente, un moto, ordinato e costante, verso un’unica direzione. Fasci di una fievole luminosità si allontanavano da lui (questo lo capiva chiaramente), perdendosi nel moto.
Non c’era orizzonte, non c’era fine e la luce proveniva da ogni lato allo stesso momento.
I fasci di luce vorticavano ovunque, unendosi man mano alla corrente che scorreva in basso/alto.
Le sagome luminose sbiadivano alle estremità, ma al centro risplendevano come scintille.
– Benvenuto Id.
– Id? Chi è Id?
– Io/tu/noi siamo Id.
– Dove mi trovo? Ricordo… no, ho la sensazione di essere stato altrove poco tempo fa.
– Il tempo non conta qui, conta solo il Moto, e non puoi stare fermo ancora a lungo. Devi muoverti.
– E per andare dove?
– Puoi entrare nel Moto o tornare.
– Tornare dove?
– Tornare. Nessuno sa dove.
– Il Moto è la corrente di luci?
– Luci? Il Moto è l’Id che compie il suo destino.
– Non capisco.
– Capirai se sceglierai.
– E dove porta il Moto?
– L’Id compie il suo destino.
– E qual è il destino dell’Id?
– L’Id torna/cambia/termina/evolve.
– Non m’è d’aiuto questo.
– Non intendeva esserlo.
I suoi sensi (se ancora ne possedeva) colsero un rapido bagliore.
No, seppe che c’era stato.
– Cos’era?
– Alcuni arrivano con troppa forza.
– Con troppa forza?
– Quelli che arrivano troppo presto.
– E scompaiono così? Non possono entrare nel Moto?
– No.
– Ed io posso?
– Io/tu/noi siamo Id e possiamo entrare nel Moto. Il Moto è ordine e pace. Il Moto è tutto e niente.
Il Moto fluisce in una sola direzione, in avanti.
– Ma hai detto che posso tornare!
– Tu non sei il Moto, non sei nel Moto. Scegli. Puoi tornare o andare.
– Come posso scegliere di tornare se non so a cosa devo tornare?
– Come puoi scegliere se entrare nel Moto.
– Il Moto è pace e serenità senza paura?
– Sì.
– Ho fatto la mia scelta.
“MILANO. Antonio (il nome è di fantasia), un ragazzino di 13 anni, ieri notte si è suicidato gettandosi dal quinto piano. I vicini affermano che i litigi in famiglia erano all’ordine del giorno. Secondo quanto si è potuto ricostruire, il padre, un avvocato molto in vista nel capoluogo lombardo, spesso umiliava il figlio, anche in pubblico, per il suo scarso rendimento scolastico.
Fino a ieri sera. Il ragazzino, miracolosamente sopravvissuto allo schianto sull’asfalto, è arrivato in ospedale in condizioni critiche ed è deceduto cinque ore dopo essere entrato in coma.”
barato, letto in bozza, ero qui in agguato per farti il like
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Barare va bene, sempre e comunque 😉
Che ne pensi?
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che c’è un punto chiave che fa rabbrividire a risentirlo quando arrivi alla fine, ed è la frase: “Alcuni arrivano con troppa forza.” Splendido, secondo me.
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quoto
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Ho adorato l’uso del verbo “sapere” nella parte iniziale. Sapeva di essere, seppe che non era acqua.
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Grazie max 🙂
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Grazie 🙂
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Io penso che non sia l’umiliazione del padre ad aver fatto compire quel gesto al figlio ( nel passato i genitori erano molto più autoritari di ora e gli adolescenti non si suicidavano così facilmente come ora), ma il vuoto , il vuoto che lo circondava, il vuoto che circonda i suoi genitori, la mentalità dominante, la mondanità. I figli, i ragazzi sono una domanda di senso del vivere, e se noi adulti non abbiamo una risposta che comprenda tutto l’impeto, tutto il desiderio di vita e speranza richiuso in quei corpi e cuori in crescita, si spegne ogni coscienza del vivere e ci si lancia….
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Per me il problema, in questi casi, è sempre nascosto in fondo alla mente del ragazzino e mai potrà essere conoscibile.
I genitori erano più autoritari, vero. Lo è stato anche mio padre, ma oltre ai ceffoni ho ricevuto da lui un esempio da seguire. Mi ha insegnato a fidarmi di me e delle mie capacità.
Il genitore del mio racconto, invece, rappresenta quel tipo di genitore che pensa di poter plasmare il figlio a sua immagine, facendone una specie di surrogato di se stesso. E questo tipo di pensiero mina alla base tutto il concetto che ha di se stesso il ragazzino. Non si sentirà mai all’altezza e presto penserà di non valere niente.
E poi il salto.
Io non credo che gli adulti debbano dare risposte, ma solo i mezzi per trovarle.
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Molti studi sono stati fatti sulle esperienze di pre-morte, quel lasso di tempo in cui la mente/anima/spirito esce dal corpo in un limbo tra la vita e la morte.
La possibilità di scelta che tu dai al protagonista del racconto è una suggestione importante, e fa riflettere sul fatto che forse è solo nostra la decisione finale.
Ben scritto, ma questo lo sai 😉
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Ogni cosa è una questione di scelte.
Grazie 🙂
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Vero, ma qui siamo oltre la vita, in un piano superiore, dove per una parte di persone, è solo la mano di Dio a decidere, per un’altra, il destino, e dove la scelta personale non è di solito contemplata.
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Sono d’accordo, spostare il confine del libero arbitrio è un bel concetto. E forse meno distante dalla realtà di quanto non si immagini.
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Quindi tu accetti l’ipotesi che, oltre alla scelta di decidere se vivere o no mentre si è in vita, ci è concessa una seconda scelta, diciamo un ripensamento nel limbo prima della morte?
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L’ho immaginato così.
Il ragazzino in coma puó ancora decidere.
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Ha carattere da vendere il ragazzo del tuo racconto. A soli 13 anni decide di suicidarsi e, datogli un secondo appello, non ci ripensa, anzi.
Stiamo però giocando con le parole, questo è un racconto. Nella realtà, temo che buona parte delle persone che decidono di cedere alla vita ( o almeno mi piace pensarlo) , se potessero avere un secondo appello, tornerebbero in vita.
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Sì, lo credo anch’io.
Mi piaceva, peró, stimolare un pensiero su chi sceglie di non tornare, pur potendo.
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Eh ma la stiamo semplificando troppo… Lui non sa esattamente che può tornare. Lui sa solo che non vuole più soffrire. E questo apre il campo a una serie quasi infinita di considerazioni. Perché lui non ha memoria della bellezza della vita vissuta, ma ha memoria della sofferenza patita (fisica o morale non importa, stiamo parlando di essenza). E sceglie la non sofferenza. Siamo noi che attribuiamo un significato di ritorno alla “vita”. Lui, secondo il racconto, non ha consapevolezza completa di ciò che è stato. E’ un ricordo annebbiato, e non è forse neanche un ricordo, è una memoria storica di sensazioni, dove prevale la negatività. E quindi sceglie per il non male. Che non è rifiutare la vita passata, ma andare incontro ad un futuro dove è garantito (e lui lo sa, per questo ero incantato dall’uso del verbo sapere), a fronte della sua domanda e della risposta ricevuta, che non temerà alcun male.
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mmmmm…lettura precisa Max, mi piace 🙂
Io ho ragionato dando per scontato che tornare fosse in vita e il Moto fosse morire.
Rileggendo con attenzione anche i piccoli dettagli, non posso che darti ragione.
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Max è figo 😉
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wow senza parole Max
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🙂
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Le risposte dei genitori sono la verifica della vita del ragazzo, servono a lui per confrontare quel patrimonio ricevuto con la sua esperienza. Il patrimonio morale va sempre riposseduto a differenza di quello tecnologico o scientifico che diventa patrimonio immediato di un bambino.
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Questo vale solo se si tratta di un confronto, peró.
Quando un genitore invade ossessivamente la vita del figlio non c’è possibilità che il figlio faccia esperienze.
Ti basti pensare ai genitori iperprotettivi, o a quello che pianificano tutte le attività dei figli: palestra, pianoforte, poi due ore di lezioni private, poi compiti, poi cena e poi a letto. Secondo te, il figlio vive così?
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Sì è giusto, ma è la cosa che dicevo io, un ragazzo si impegna nella realtà se nell’autorevolezza del genitore riscontra un’apertura che lo lancia nella vita, questo per me è un pieno e non il vuoto dell’oppressione, dell’autoritarismo che annienta la vita.
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Su questo sono d’accordo.
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Farò un discorso assai banale, ma io al suicidio ci ho pensato, fin da piccola.
Ci sono molteplici motivi che possono spingere un essere umano al suicidio, l’orrore più grande è quando l’idea sfiora un ragazzino, perché come tutti i soggetti viene influenzato da fattori esterni, ma soprattutto da fattori interni, un bagaglio personale.
Il carattere si forma credo fin da subito, dalle prime luci, e si rafforza con l’esperienza, ogni esperienza in base al tempo e agli stimoli, positivi e negativi che si percepiscono.
Si dà a volte per scontato che una famiglia così detta -per bene- abbia maggiori possibilità che cresca un figlio per bene, e che in una famiglia benestante, non ci siano malviventi. Si può essere anche malviventi psicologici, e questi fanno più male di un comune ladruncolo.
Ciò solo per dire che non bisogna mai farsi meraviglia delle strade che la nostra mente decide di percorrere, perché non c’entra il destino, ma ciò che influisce maggiormente è l’essere in grado e avere una cognizione vera e propria di scelta, di accettazione, e di caparbietà alla svolta, capacità di voler diventare migliori, alla reazione, ma la reazione può non essere quella giusta agli occhi del mondo, una provocazione estrema. (per la serie, si parlerà di me anche se non si è mai saputo chi ero, perché il mio gesto ha un nome, e quel Nome sarà anche il mio … -suicidio, colpa, rimorso- )
Spesso gli adolescenti sono presi dallo sconforto, le persone hanno bisogno di sostegno, ci sono debolezze dentro che si percepiscono in modo più o meno forte, ci sono stranezze in noi.
Il sentirsi una nullità è un modo di rafforzarsi o di cedere, essere in più derisi, rafforza in un essere la convinzione di valer poco o niente, e questo scatena danni interni come fossero a volte lesioni senza scampo.
La mente umana per quanto influenzabile ha un fondo di personalità e ora io, mi chiedo, ci vuole più coraggio per scegliere di vivere o di morire, di lottare o d’arrendersi, e la resa, è davvero un modo vile o un atto di coraggio, è un modo di farla finita o un modo di procurare un rimorso in un altro essere che lo segnerà a vita e lo avrà ucciso a sua volta?
Il padre di Antonio è morto con lui o ha ricominciato a vivere?
Chi medita di morire spesso, non punisce soltanto se stesso, lascia la morte a chi resta, e chi è morto in vita, che vita conduce?
Sarà contorto, ma è un punto di vista a cui ho pensato parecchie volte.
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Credo che siano tutte delle domande più che giuste.
Io ho sempre pensato che un suicidio causa molti più problemi di quelli che potrebbe, per ipotesi, risolvere.
Grazie della lettura e del commento 🙂
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🙂
Grazie a te d’aver scritto, mai sprovveduto, mai banale.
Molto intenso, dirti bravo è superfluo, ma te lo dico comunque 😉
a presto
Giusy
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per me i “like” sono due: a te, francesco, per il bel post, e a giusy per il commento.
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Grazie mille 🙂
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^_^ Il post meritava 😉
Grazie mille per il -Like- 😉
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torna spesso a scrivere qui Francesco!! 🙂
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Grazie dell’apprezzamento 🙂
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è tutto meritato!
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L’ha ribloggato su Strinature di saggezza.
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