PAURA – MONSIEUR VERDOUX – BERSAGLI DI PETER BOGDANOVICH: LA PAURA DI UNA VITA SENZA VIE DI FUGA

karloff

Il film d’esordio di Peter Bogdanovich (e, a tutt’oggi, la sua opera migliore) è un film che può essere affrontato da diversi punti di vista: lo si può considerare la celebrazione di un’epoca gloriosa del cinema americano (quella degli anni ’30 e degli horror della Universal), o un esperimento ante litteram di meta-cinema. Ma più di tutto, Bersagli è un dramma sulle paure e le insicurezze della provincia americana.

Il film racconta due vicende apparentemente slegate (l’addio al grande schermo di una star del cinema dell’orrore e la follia omicida di un ragazzo che uccide ignari passanti con un fucile da caccia): girato in maniera rigorosissima, con un senso dello spazio quasi geometrico (Bogdanovich sa sempre dove mettere la macchina da presa, e dal punto di vista formale la messa in scena è ineccepibile) e con una commistione tra realtà e finzione cinematografica che dona al film un tono quasi surreale (bellissimo l’incipit, in pratica un cortometraggio horror in stile Hammer, ma anche il finale ambientato nel drive-in, in cui le scene del film proiettato sul grande schermo si alternano a quelle del massacro reale che sta avvenendo in strada), Bersagli è un film durissimo. Cosa spinge il giovane protagonista a diventare un serial killer spietato? La risposta è abbastanza semplice: la normalità, il piattume di una vita in cui tutto deve andare secondo dei binari precostituiti (il barbecue, la macchina nuova, la fidanzata perfetta, il pranzo in famiglia), dietro la quale si nasconde un mondo crudele (non è un caso che il giovane protagonista sia un reduce della guerra del Vietnam).

Del resto, per quanto il film sia fortemente collocato nel suo tempo, quella di allora è la stessa paura che attanaglia anche l’epoca moderna: il non avere via d’uscita, il non poter fuggire da una realtà borghese che col suo conformismo e la sua finta normalità tende ad “ingabbiare” l’individuo.

Ma oltre a tutto ciò, Bersagli è anche il testamento spirituale di Boris Karloff (che qui, di fatto, interpreta sé stesso): lui che aveva sempre spaventato il pubblico con i suoi mostri ed i suoi personaggi inquietanti, nel finale si scontra con il giovane assassino (il “mostro” dell’epoca moderna) e, dopo averlo sconfitto, pone (al mondo e allo spettatore) la seguente domanda: “Era questo che vi faceva così tanta paura?” . Perché l’orrore del cinema non è paragonabile a quello della vita reale, e perché la “paura” provocata dal grande schermo non è niente rispetto a quella di un mondo che non propone vie d’uscita. Vie d’uscita che, forse, nemmeno la settima arte può offrire.