quando eravamo prede

damicis_prede_tn_150_173Ho letto questo libro da qualche mese e non mi ricordo più come ci sono arrivata: questo mi dispiace molto perché se ricordassi la strada che ho fatto potrei magari ripercorrerla e trovare lungo la via altri libri di questa potenza, altri autori di così grande immaginazione.

Non riesco a definire un genere in cui incasellare IL libro di Carlo d’Amicis. Il libro è spiazzante, difficile da definire, è una metafora?, un’allegoria, un apologo? Comunica una morale? ma quale?

Un gruppo di uomini bestiali, perché bestie orgogliosamente si considerano e che si chiamano con nomi animaleschi, vive all’interno di una foresta; lo chiamano il “Cerchio” e una “linea” lo separa dal resto della civiltà. Non si sa se la linea sia immaginaria o esista davvero ma non è poi così importante, muri e pregiudizi dividono con la stessa efficacia. Gli uomini bestiali vivono di caccia, si vestono di pelli, le loro donne vivono isolate pronte per l’accoppiamento con “Toro”, l’inseminatore, e l’unica che vive presso di loro porta un collare ed è legata ad una catena. Gli uomini bestiali sono privi di pudore, fastidiosi nell’esposizione delle loro funzioni fisiologiche, elementari nelle reazioni, animati da attrazioni e repulsioni reciproche in cui non riconosciamo le stesse nostre emozioni eppure non vivono nella preistoria: bevono birra, sparano. La loro bestialità è uno “stato di natura”, non si capisce se abbiano abbandonato la civiltà per vivere nel bosco o se la civiltà ha abbandonato loro in un’enclave barbarica dalla quale non vogliono o non possono più uscire, come capita alla periferia delle città in certe cascine ormai disarticolate rispetto al mondo agricolo e dove sembra depositata, come “residuo” inassimilabile, una deriva sociale che sopravvive ignorata proprio grazie alla sua inutilità e che quasi tutto sembra ignorare del mondo che gli gira intorno.

Dato che nel loro immobilismo nulla da accade succede che i mondi chiusi e immutabili vengano raccontati nel momento in cui il confine inviolabile viene violato e inizia la loro fine. Così succede anche in questo libro. Quando una “scimmia”, così sono chiamate le donne che stanno oltre la “linea”, entra nel bosco, a bordo di un pick-up e con una Bibbia in mano, lentamente i cacciatori diventano prede: della fame, degli altri uomini, del senso della proprietà privata, mentre gli animali del bosco scompaiono e un orrendo flagello dal sapore biblico distrugge il bosco intorno a loro.

Il libro di Carlo D’Amicis si apre con una citazione di William Golding, ed effettivamente è impossibile non pensare a “Il Signore delle Mosche”, citato in molte recensioni, per l’effetto esplosivo delle forze della natura sulle regole della civiltà. Eppure il libro sembra seguire un percorso inverso: è la “civiltà” che distrugge lo stato di natura. Nel “Cerchio” si uccide per mangiare, si copula per riprodursi e ci si sottomette per mantenere l’ordine sociale; gli uomini “civili” invece entrano nel “Cerchio” con la nobile missione di “salvare” ma seviziano per disprezzo e stuprano per il piacere del potere. Personalmente “Quando eravamo Prede” mi ha fatto tornare prepotentemente alla memoria la valle di “Un tranquillo week-end di paura”, bellissimo film di Gooldman del ’72, anche lì in un ambiente naturale inquietante un’umanità “residua” e “residuale” e quattro rappresentanti dell’American Way of Life vengono in contatto con esiti fatali.

Carlo D’Amicis, usando un’immaginazione potente e un linguaggio perfetto, ha costruito un mondo misterioso ed evocativo che va avvicinato senza smanie interpretative, lasciando che il libro ci affascini, ci turbi, ci metta a disagio. Siamo tutti invitati a entrare nel Cerchio, a superare la Linea.
«È vero, alle volte bisogna perdersi per poter ritrovare qualcosa!»: la battuta è di Burt Reynolds in “Un tranquillo Week-end di paura” quando i protagonisti si accorgono di essersi persi nel bosco.
Appunto.

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Carlo D’Amicis
“Quando eravamo prede”
Minimum Fax