Fine vita – Masticone

Quando la vidi agonizzare entrai nel panico.

Prendeva aria con sempre più fatica e le pause tra un respiro e l’altro diventavano ogni volta più lunghe. Il dottore di guardia che mio fratello aveva avvertito si limitò a dirci: “Preparatevi, manca poco!”

Manca poco un cazzo.

A cosa manca poco, stronzo?

La domenica gli ospedali sono pieni di gente in visita e le corsie sono tutte aperte.  Quel giorno in particolare sembrava ci fosse il tutto esaurito. Sold-out per lo show del secolo: la morte in diretta.  Mia madre se ne stava andando con il tifo della curva ultras che la spingeva a non mollare. Fui avvicinato da tifosi credenti che invocavano l’arrivo del prete e da tifose filosofe che mi spiegavano il senso della vita secondo la tradizione popolare di chi non ha mai letto altro che il sussidiario nella vita. Infine arrivò una signora grassa come il Bibendum della Michelin che, con aria da prof delle medie, quindi di una che ne sapeva più di tutti, guardando la moribonda sentenziò la frase del giorno “Siamo tutti di passaggio su questa terra” .

Era troppo.

“Dottore faccia qualcosa la prego”

“Mi spiace signore non c’è molto che si possa fare”

“Non le permetto di dire una cosa del genere. Se non fa qualcosa io la denuncio. Mia madre non può morire qua. Non in mezzo a un nugolo di curiosi che vogliono solo gustarsi la scena”

“Io.. io non so che fare…”

“Se la intubasse e la portasse in rianimazione si salverebbe ne sono certo.”

“Non credo che si possa fare …”

“Quindi si rifiuta di curare una paziente? Io chiamo i carabinieri sa…”

La sceneggiata attirò ancora più persone. Un bel capannello di altri astanti provenienti da chissà dove riempì il corridoio di fronte alla stanza. Sembrava una rock star. Tutti la volevano vedere e questa cosa fece perdere il lume della ragione a me e mio fratello che, già provati da ciò che ci stava capitando, non riuscimmo a restare lucidi. L’unica cosa che ci era chiara era solo che non avremmo voluto che finisse. Non cosi. E ci impuntammo. Lo facemmo tanto bene che alla fine, tra una minaccia e l’altra, ottenemmo quello che volevamo: salvare la donna che ci aveva generato, che venne intubata e portata in rianimazione. Quella sera pensavamo di averle restituito il favore e andammo a cena a brindare alla nostra bravura e alla forza delle argomentazioni utilizzate e alla capacità messa in mostra di convincere tutti che stavamo facendo la cosa giusta. Poco importava se quello che avevamo fatto era esattamente ciò che nostra madre non avrebbe mai voluto. Noi in quel momento però, nudi di fronte a quello che stava accadendo, pensavamo che fosse giusto fare tutto il possibile per salvarla. A qualunque costo. Nessuno ci aveva preparato. La morte è l’ultimo tabù. Di  sesso oramai è normale parlare. Della morte ancora no. E quindi, quando mia madre ,già persa dentro i meandri del suo alzheimer, ebbe l’attacco finale, a casa sua, mio fratello che era con lei, preso dal panico fece la cosa più normale che una persona può fare.  Chiamò il 118. Cioè l’errore più grosso.  Ora lo so. Lo fece perchè nessuno gli aveva detto cosa avrebbe dovuto fare in quel caso. Totalmente impreparato usò il cuore e non la testa.

La trafila all’ospedale fu da copione. Pronto soccorso. La stabilizzazione e via in corsia ad aspettare che finisse l’attività elettrica involontaria che ancora la teneva in vita.

Veder morire qualcuno che ami è durissimo. Vederlo morire di fronte ai tifosi della Curva Sud  che fanno i cori è devastante. Ma quella sera avevamo vinto noi. E nessuno poteva metterlo in dubbio. E così festeggiammo la vittoria sulla signora con la falce, bevendo come forsennati. Pensando che a quel modo avremmo dimenticato il fatto che avevamo deciso che ciò che la donna che ci aveva partorito voleva, a noi non importava una mazza. Contava solo la nostra volontà. Non la sua. Noi eravamo più intelligenti di lei.

Il giorno dopo fummo convocati dal primario di rianimazione.

Fu durissimo.

E anche dolce.

Ci disse che capiva che nessuno ci aveva “istruito” sul cosa e come fare nel momento supremo. Solo per questo scusava la nostra arroganza di aver regalato alla donna che amavamo altra agonia. Così. Gratis. Disse che in quel momento lei era totalmente andata. Il cervello  ormai pappa. Non si sarebbe mai più svegliata, ma intanto era attaccata alla macchina che la teneva forzatamente in vita. Da sola non ci sarebbe mai riuscita. La tecnologia poteva infilarle aria nei polmoni forzatamente e ciò consentiva il mantenimento di un minimo di attività cardiaca, ma che ci scordassimo di poterla rivedere anche solo seduta su un letto. O con gli occhi aperti. L’avevamo condannata a stare in un limbo tra la vita e la morte.

Fu in quel preciso momento che capimmo il disastro che avevamo compiuto. Ci guardammo e ci venne dire all’unisono: “Ok, ok, abbiamo fatto una cazzata. La prego dottore stacchi la spina”

Lui sorrise con pietà.

Comprese a che livello di ignoranza eravamo. Due laureati. Due persone che vengono considerate mediamente intelligenti, dire un’idiozia tanto grossa. Si limitò a dire: “Si, ecco, bravi. Così andiamo pure tutti in galera per omicidio. ”

Si fermò. Ci guardò ancora negli occhi e mi dette il cazzotto più pesante che io abbia mai ricevuto in vita mia: “Può restare così una notte come dieci anni. Non lo possiamo sapere, Avete capito adesso che razza di stronzata avete fatto?”

Restammo attoniti senza parole. Se solo avessi potuto sprofondare …

Il primario allora aggiunse: “L’unica cosa che si può fare, se siete d’accordo, è non curare le infezioni che prima o poi le verranno. Questo accelererà il processo, ma di nuovo, nessuno può dire quanto e come succederà.”

Uscimmo devastati da quell’incontro e la sera andammo a ubriacarci di nuovo. Questa volta per cercare di scordare.

In realtà tutto è finito in “solo” un mese.

A causa della nostra ignoranza e per non avere avuto la forza di sfatare il tabù della morte, abbiamo regalato a nostra madre un mese di agonia del tutto ingiustificata. L’unica cosa buona di tutta questa storia è che io adesso so come voglio morire: nel mio letto, con le persone care attorno che mi tengono la mano. Non in un ospedale, in mezzo a sconosciuti. Quindi quando sarà il mio turno ho scritto che non chiamino dottori. Nessun cazzo di 118 o di Misericordia. Mi devono rimettere a letto e starmi vicino fin quando non tornerò a essere polvere di stelle.

E si.

Per chi se lo stesse chiedendo.

Si.

Questa è una storia vera.