Epilessia e carne kosher

L’ultima volta che su questo blog collettivo è comparso un mio post “appositamente dedicato” (un post, cioè, che non era un reblog del mio blog personale) era il tre dicembre dello scorso anno. Tanto tempo fa, non solo dal punto di vista meramente “cronologico”, ma anche da quello “esistenziale”.

Abbiamo cambiato anno, abbiamo cambiato stagione, abbiamo fatto tante cose, in questi cinque mesi e due giorni. Io non sono più Neurosurgery Kid, e mi sto dando velleità da autore satirico; i discutibili è “momentaneamente interrotto”, come una ragazza di un film con Winona Ryder.

E, visto che questo blog mi è sempre piaciuto, anche quando non ero uno di quelli che contribuiva (poco) a scriverlo, devo essere spietatamente sincero: se oggi sono tornato a scrivere su queste pagine, il motivo è uno solo.

Il dibattito.

Parliamoci chiaramente: questo blog, anche ora che non viene aggiornato più con i ritmi con cui veniva aggiornato ai tempi in cui iniziai a seguirlo, continua comunque a fare più visite orarie di quante visite settimanali il mio blog potrebbe mai fare, anche nei suoi sogni più bagnati. Pur senza i post divisivi del buon Albini (che mi chiedo che fine abbia fatto), continuano a transitare per questi lidi tanti internauti, che si soffermano sulle idee e sulle riflessioni di chi verga queste pagine (ultimamente, solo amme e redpoz). Magari qualcuno di loro si fa una sua opinione in merito. Magari qualcuno vuole condividerla (d’altronde, ci sta per quello lo spazio dei commenti, no?). Magari quel qualcuno che è passato di qui, si è fatto un’opinione e vuole condividerla, non è d’accordo con l’autore dell’articolo che l’idea gliel’ha fatta nascere, e glielo dice. Magari (caso migliore possibile) l’autore risponde.

Ecco, appunto: il dibattito. Per questo motivo sono qui oggi.

Come dicevo su, dall’inizio del 2016, svestiti i panni di aspirante dottore d’alta specialistica, ho voluto provare una strada forse più difficile ancora: quella del monologo satirico (ho seguito la stessa strada di Daniele Luttazzi. Tra qualche anno potreste sentire Renzi fare il mio nome in tv dalla Bulgaria).

Per questo motivo, sul mio blog, ho lanciato una nuova rubrica, che ho chiamato, con la sicurezza nei miei mezzi che da sempre mi contraddistingue, Del peggio del nostro peggio. Nome appropriato quant’altri mai: che io vi ho linkato l’ultimo episodio che ho scritto, che ancora ancora qualcosa di apprezzabile lo contiene, ma vi assicuro che negli episodi precedenti c’era abbondante lavoro per la nettezza urbana. Pensate che dopo i primi episodi, il governo ha dovuto inviare l’esercito per consentire l’accesso alle discariche.

Prescindendo da ogni giudizio di merito, comunque, come potete vedere lo schema di questa rubrica è semplice: per un mese, raccolgo notizie che suscitano il mio interesse; alla fine del mese medesimo, cerco di farci battute sopra. Non mi riesce per tutto ciò che ho appuntato; la maggior parte delle notizie raccolte, anzi, finiscono nel dimenticatoio senza che io sia riuscito a scriverci sopra qualcosa di (vagamente) divertente.

Non mi era mai capitato, però, quello che mi è capitato martedì scorso. O meglio: mi era capitato di aver scartato delle battute che avevo già scritto; ma perché, rileggendole, mi ero reso conto che erano scontate, che non avevano senso o (peggio) che erano banali. Non mi era mai capitato, invece, di avere una battuta pronta, una battuta che mi sembrava anche abbastanza originale, e di “gettarla via” per quello che potremmo chiamare uno “scrupolo morale”.

Per non parlare di aria fritta: la battuta in questione si riferiva a questa notizia, e suonava più o meno così:

Torino, tre ragazze si fanno un selfie con una compagna di classe mentre lei aveva una crisi epilettica. Sospese per quattro giorni. La ragazza epilettica, invece, continuerà ad andare a scuola: giustamente, una punizione più severa. Si è fatta un selfie con tre cerebrolese.

Ora, messa così la battuta probabilmente non fa ridere. Ma credo che il problema sia “tecnico”, non “essenziale”: con qualche aggiustamento, quella battuta avrebbe potuto diventare divertente. Il problema che mi sono però posto, nel momento in cui l’ho scritta, è stato: ma questa battuta è davvero satira?

Intendo: spiegava Luttazzi, in un fondamentale articolo uscito ormai sette anni fa, che “la satira è nobile perché il suo obiettivo è il potere” o, più in generale, che la satira è nobile perché prende posizione e, nel farlo, si schiera non con il carnefice, ma con la vittima. Per spiegare questo assunto, Luttazzi trae un esempio dalle memorie di Simon Weil Wiesenthal (errore imperdonabile, grazie redpoz per avermelo fatto notare), il “cacciatore di nazisti”, che ricordava di come i nazisti della sua città avessero impiccato degli ebrei, e poi qualcuno avesse attaccato loro addosso un cartello con scritto “carne kosher”. Di sicuro i nazisti risero; ma è altrettanto sicuro che quella non era satira.

Ora, il mio punto di vista è che, per esserci una vittima ed un carnefice, debba esserci violenza. Questo è il punto chiave.

Co un ragionamento che probabilmente farebbe inorridire molti filologi, ho pensato più volte che la parola violenza e la parola volontà siano strettamente apparentate: la prima non può esistere, senza la seconda (e, in una certa misura, vale anche il viceversa). Con l’acume che da sempre la caratterizza, se n’era accorta anche J.K. Rowling: ed infatti, per far funzionare la Maledizione Cruciatus (che è la maledizione della tortura) non basta dire le parole magiche. Devi desiderare che la persona su cui la stai lanciando soffra.

Mi sembra chiaro che la volontà del male non possa prescindere dalla conoscenza: per voler fare il male, e quindi per esercitare un atto di violenza che ti renda un carnefice, devi conoscere anzitutto che cos’è il male. Ma, in secondo luogo, devi anche avere contezza delle tue azioni e di quali saranno le loro conseguenze. Contezza che non è detto che delle ragazze che fanno le superiori abbiano; soprattutto quando poste di fronte ad un qualcosa (l’epilessia) di cui non comprendono appieno la gravità. Sono in buona compagnia, per altro: per secoli, gli epilettici sono stati trattati come dei pazzi e, in certi casi, anche peggio.

Insomma, tutto questo per dire che non ho fatto quella battuta perché avevo paura di star mettendo alla berlina delle persone che magari sono solo immature; avevo paura di star puntando il dito contro una ragazzata, stupida quanto si vuole, ma come ne abbiamo fatte tutti.

D’altronde, c’è un tarlo che continua a rodermi: ed è che quella non fosse solo una ragazzata, ma un “simbolo” dei tempi che viviamo. Tempi che premiano il cinismo, la disaffezione, la mancanza d’empatia. Queste ragazze si sono offerte di accompagnare in bagno una ragazza che stava male e, una volta giunte là, invece di aiutare chi stava male, hanno immortalato l’evento con il telefonino. Chi vuoi che ce l’abbia, un selfie così?, possono aver pensato. E, forse, hanno anche confusamente intuito che loro avrebbero “risaltato”, di fronte all’immagine di una ragazza che si contorce in preda ad un attacco di grande male.

Non è che, forse, “prendersela” con questi piccoli carnefici sarebbe stato anche, in un certo senso, prendersela con la società dell’immagine e del mors tua vita mea che queste ragazze le ha formate? Ma in questo caso, non sarebbero state anche loro vittime di una società di cui non potevano ancora aver compreso tutti i meccanismi? Io pure a sedici anni mi compravo le camicie che piacevano alle più fighe della classe, d’altronde, anche se, obiettivamente, erano camicie inguardabili.

O ancora: d’accordo, supponiamo pure che queste ragazze abbiano fatto un qualcosa di inqualificabile per cui meritano il pubblico ludibrio. Ma siamo sicuri che stiamo sparando al bersaglio giusto? Se c’è qualcosa che la (bella) canzone Nessuno tocchi Caino ci ha insegnato, è che in fin dei conti il boia è un lavoro. Non bisognerebbe prendersela col boia, che è un uomo; bisognerebbe prendersela con la società che permette che ancora esista un’istituzione barbara come quella della pena di morte. Per riprendere l’esempio di Luttazzi, dare dell’imbecille a chi aveva appeso il cartello con scritto “carne kosher” non avrebbe certamente cambiato la storia della Seconda Guerra Mondiale… e, probabilmente, non avrebbe neppure fatto ridere nessuno.

E insomma, non so se ho scritto qualcosa di anche solo vagamente comprensibile e interessante da stimolare un dibattito: la mia speranza è che sia così. Scrivendo un blog, anche piccolo come il mio, può capitare di dare l’impressione di essere uno che ha tutte le risposte in tasca: scrivo questo post per dimostrare che non è così, che in un mondo complesso come il nostro tutti hanno dubbi. Anche su un argomento apparentemente semplice come una battuta che, magari, se mi fosse venuta in mente durante una serata tra amici, non avrei esitato a fare.

Persone più intelligenti di noi possono aiutarci, a fugare questi dubbi: ne ho conosciute tante, in questi quasi quattro anni da “blogger”. Vi prego, fatevi sentire. Grazie.