Quel che resta di Schengen
I giornali di questi giorni riportano notizie di una possibile “sospensione” del trattato di Schengen sulla libera circolazione delle persone fra gli Stati dell’Unione Europea.
Sebbene non sia propriamente frutto dell’UE -né diritto comunitario-, Schengen rappresenta con ogni probabilità la “punta di diamante” nell’elaborazione comunitaria. Assieme al programma Erasmus e al diritto di libera circolazione.
Il motivo dell’eccezionale valore giuridico, politico e simbolico degli accordi di Schengen è facilmente intuibile: aldilà di tutte le (pure importanti) prese di posizione politiche, economiche e giuridiche dell’Unione Europea, essi rappresentano delle innovazioni che più immediatamente sono percebili dai cittadini come frutto dell’integrazione continentale. La libera circolazione delle persone è, dunque, il beneficio che più chiaramente di ogni altro i cittadini degli Stati membri dell’UE possono comprendere.
Di fatto, ogni altro argomento sui benefici dell’UE richiede lunghe (e, non di rado, boriose) spiegazioni cui non sembre il “quisque de populo” è disposto a prestare attenzione: ragioni economico-monetarie (svalutazione, inflazione, importazioni, debito pubblico); ragioni giuridiche (tutela del consumatore, dell’ambiente, dei prodotti locali…)… tutte queste possono sempre essere oggetto di potenziali contro-argomentazioni e attacchi distruttivi (vedasi quanto abbiamo cercato di spiegare in occasione delle Elezioni del Parlamento Europeo del 2014).
Anche per queste ragioni, ero e resto tuttora convinto che ogni passo indietro sulla libera circolazione delle persone (sia essa a livello di diritto europeo o di Schengen) sarebbe un gravissimo errore.
Sebbene non lo condivida, posso campire che i governi nazionali abbiano alcune perplessità nel mantenere in vigore questo sistema nei confronti di tutti i migranti che arrivano dall’Africa o dal Medio Oriente. Tuttavia non aprirò qui il dibattito sulle migrazioni, perché credo appartenga ad un altro tema rispetto a quello prescelto dell’Europa.
Comunque, posso capirlo, specie dopo che è iniziata la corsa al ribasso da parte di alcuni Stati (Ungheria, per dirne uno), è evidente che tutti siano trascinati in questo “tira e molla” dell’offrire maggiori -apparenti- garanzie ai propri cittadini: una sorta di Delaware-effect in cui gli Stati competono fra loro nell’elaborare normative più attrattive: negli USA in tema di tassazione per le imprese, in Europa in tema di welfare.
Peccato che, in perfetto spirito neoliberale- questa concorrenza fra Stati dell’UE non avviene “al rialzo” (ovvero nell’incrementare le garanzie), bensì ad escludendum: partendo dal presupposto che “i soldi non bastano” (benedetti tagli alla spesa pubblica e obblighi di bilancio!), tutti cercano di limitare questi “benefici” (che, più che benefici, sarebbero diritti) a categorie ristrette di persone.
Ovvero, i cittadini.
Qualcuno, potendo, vorrebbe anche approfittarne per rivedere i criteri di cittadinanza…
Lo capisco… ma non posso condividerlo.
Perché le normative di Schengen e sulla libera circolazione rappresentano la parte immediatamente visibile di un “iceberg normativo” assai più profondo, che si radica su un presupposto di fiducia e solidarietà infra-europea.
Fiducia e solidarietà, ovvero due presupposti senza i quali nessuna cooperazione può reggersi.
Come ben scrive Ilvo Diamanti su Repubblica:
“Perché se l’Europa si riduce a un euro, allora si svaluta. E l’anti-europeismo si allarga. Tuttavia, la questione europea diventa critica quando vengono messi in discussione i confini. Meglio: quando vengono ripristinati i controlli sui confini. Non per caso, la direttrice del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, a Davos, ha espresso il timore che l’emergenza prodotta dai flussi di migranti possa compromettere il trattato di Schengen sulla libera circolazione delle persone tra gli Stati dell’Unione. Perché in quel caso verrebbe — implicitamente — rimesso in discussione il progetto di costruzione europea. Lo stesso timore è stato ribadito dal premier Matteo Renzi. D’altronde, l’euro, come i mercati, non ha confini. Può circolare comunque e dovunque. Le persone no. E i limiti imposti ai migranti si riproducono e rimbalzano anche sui residenti. Perché le frontiere sottolineano la sovranità degli Stati nazionali rispetto a quella europea. In definitiva: riflettono — e accentuano — la debolezza dell’Europa. Come progetto e come soggetto.“
Credo che, come nel caso della valuta unica, l’errore di fondo sia stato fare un passo avanti senza l’intenzione (o la convinzione) di proseguire nel percorso intrapreso.
E’ stato un pò come se per imparare a nuotare ci fossimo accomodati a bordo piscina con le gambe in acqua, senza mai buttarvi dentro il resto del corpo. Alla fine, uno sente freddo ed esce definitivamente dall’acqua, senza aver
Se nel caso dell’Euro si continua a ripetere che ad esso sarebbero dovute seguire politiche fiscali comuni, nel caso di Schengen si sarebbero dovute introdurre politiche d’immigrazione comuni (non solo i visti…), una maggiore cooperazione fra le forze di polizia (una polizia frontaliera comune?): alle tante, piccole, frontiere nazionali avremmo dovuto cominciare a sostituire un’unica, grande, frontiera europa.
In fondo, per le merci già si fa esattamente così (è l’UE ad imporre e riscuotere eventuali dazi verso l’estero). E, per riprendere Diamanti, le merci non hanno confini.
Sarebbe anche stato il più palese ricoscimento di quell’intrinseco razzismo che adesso la “fortezza Europa” realizza a morceaux: un muro a Ceuta, uno fra Grechia e Turchia, Ungheria, Croazia, Mare Nostrum/ Frontex… A quel punto sarebbe stata una scelta politica chiara, una policy esattamente come la famigerata white Australia.
E sarebbe tornato ad essere un tema di dibattito collettivo, inevitabile per la politica (europa) e per ciascuno di noi.
Invece ci siamo lasciati prendere dalla miopia: abbiamo guardato all’immediato (i venire meno dei “confini interni” con Schengen) senza porci la domanda di cosa sarebbe avvenuto (o dovrebbe avvenire) a quelli “esterni”.
Ma senza chiarezza sul destino dei confini esterni, senza sicurezze da offrire ai cittadini europei (ecco: si sarebbe anche contribuito a creare un’ “identità europea”… magari un pò troppo “contro” tutto quello che rimaneva fuori, ma pur sempre “europeo”), ci stiamo rifuggiando nelle sicurezze e nelle identità nazionali rimaste.
L’Europa di oggi sembra un’Idra cui tagliata una testa (monete nazionali, confini nazionali…) paiono ora rispuntarne due, in una terribile crisi di rigetto.
Concludo nuovamente citando Diamanti, particolarmente lucido:
“l’Europa. Lo spazio entro il quale non abbiamo bisogno di passaporti da esibire alle frontiere. Perché non ci sono controlli alle frontiere. Anzi, non ci sono frontiere. Lo spazio dove, cioè, possiamo dirci — e sentirci — europei. Non uno Stato nazionale, ma una Confederazione di Stati nazionali. Che condivide alcuni interessi ma, anzitutto, un sentimento comune.
Per questo, come hanno osservato, polemicamente, Lagarde e Renzi, le limitazioni imposte alle frontiere di alcuni Stati europei rischiano di provocare il fallimento del Trattato di Schengen. E, insieme, del progetto europeo.“
L’ha ribloggato su redpoz.
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