Oxi, oxi oxi (no, oggi no, ovvero: alcune considerazioni sull’accordo di Bruxelles)

Dicevo qualche tempo fa, in un mini post che parlava di tutt’altro, che ritenevo fosse saggio attendere qualche giorno, prima di scrivere qualcosa a proposito del più che positivo risultato del referendum greco sulle proposte dell’Europa per accedere ad un nuovo prestito.

L’accordo raggiunto in queste ore a Bruxelles mi conferma che avevo fatto bene.

La settimana scorsa, di fatti, era facile farsi prendere da facili entusiasmi, e considerare la percentuale schiacciante con cui l’οχι una vittoria di Davide contro Golia non solo per il modo in cui era stata riportata, ma anche per le conseguenze che avrebbe avuto. In altri termini: credevamo che la volontà espressa dai greci avrebbe portato non solo noi (che la necessità di questo la sosteniamo da tempo immemore), ma anche gli altri a rivedere tutte le idee che avevano sull’Europa, sugli aiuti agli stati membri, sulla solidarietà e, in una parola, sul futuro. Questo è l’errore che ha commesso, ad esempio, il mio amico unpodimondo.

Ma, come ogni volta che in qualche modo si afferma un qualcosa di sinistra, il riflusso era lì, in agguato, pronto a trascinarci in una situazione peggiore di quella che c’era prima. E se, una volta, per questa discesa negli abissi servivano dieci anni, oggi, che tutto è più veloce, sono bastati solo otto giorni.

Tsipras ha detto di sì su tutto: sulle privatizzazioni, sui licenziamenti collettivi, sulle pensioni, perfino sui tempi demenziali (due giorni) che l’UE gli ha imposto per “fare le riforme” (=smantellare quello che è rimasto dello stato sociale greco). Certo, ha fatto la scena da grande eroe tragico, levandosi la giacca e dicendo: “Toh, prendetevi pure questa!”, ma sta di fatto che, per dirla con Salvini (quanto costa, dare ragione al leader della Lega), si è levato i pantaloni, oltre che la giacca. Non è stato semplicemente sconfitto: è stato letteralmente umiliato. L’Eurogruppo avrebbe potuto chiedergli per davvero di consegnargli anche la giacca, e lui avrebbe dovuto farlo; d’altronde, lui aveva da oppore soltanto la volontà democraticamente espressa del popolo che l’ha eletto, alla minaccia concreta di vedersi cacciato insieme a quel popolo dall’Europa, e di diventare in pratica un pezzo di Terzo Mondo, solo casualmente sito nello stesso continente di Germania, Francia, Italia.

Qualcuno dirà che è andata bene così, che se Tsipras non si fosse piegato le conseguenze sarebbero state drammatiche per tutti e, in primo luogo, per l’Italia; qualcun altro dirà che i greci dovrebbero ringraziare, per quello che hanno ottenuto, visto che questo è il settimo default cui sono andati incontro, a causa della loro farraginosa burocrazia, dell’evasione fiscale da record e dalla corruzione, che è più una regola che un’eccezione: in questi termini, ad esempio, si era espressa la cara iome (una che ne capisce, insomma). Quanto detto, da lei e da altri, non lo nego, potrebbe anche essere vero: sta di fatto, però, che nessuno ha chiesto a Tsipras di combattere la corruzione, né di escogitare un qualche modo per recuperare le tasse che gli vengono sottratte (in modo, ahimé, legale, visto che in Europa l’unica cosa garantita è la libera circolazione dei capitali); né, d’altronde, qualcuno ha mai rinfacciato alla Germania (che è uno Stato da meno tempo della Grecia) i suoi tre default, ed il fatto che abbia interpretato in modo un tantino diverso il principio secondo cui “i debiti vanno pagati”, riguardo i debiti di guerra di cui è ancora creditrice (sì, anche verso la Grecia).

La “cura” europea continua ad essere sempre quella: la “medicina cattiva”, che non sappiamo nemmeno se servirà a salvare il malato (visto che già in precedenza erano state attuate misure altrettanto draconiane che, come gli eventi di questi giorni dimostrano, non sono servite a nulla). Ed è ironico, che a doverla somministrare ad un popolo che aveva fatto capire di preferire l’eutanasia debba essere proprio il medico Alexis. Ironico, ed insieme drammatico.

Entrato nel consesso come Davide, Tsipras ne è uscito con la stessa credibilità internazionale e caratura politica di Enrico Letta. Più furbo e lungimirante di lui, Varoufakis ha abbandonato per tempo una barca che deve essersi accorta che stava affondando, ma che comunque lo trascinerà sul fondo. Oggi, a Bruxelles, non è stato sconfitto solo Alexis Tsipras, e non è stata sconfitta solo Syriza (che già da segni di cedimento, di fronte alle più che giustificate rimostranze di chi pensava che il proprio segretario fosse andato in Europa con ben altro spirito): è stata sconfitta l’idea che un “euroscetticismo” di sinistra potesse esistere ed avere successo, soprattutto mediatico.

In Italia, gli unici che hanno salutato i risultati del referendum greco con entusiasmo, sono stati la Lega ed i Cinque Stelle, che però l’hanno raccontata in modo sottilmente diverso da come è andata davvero (“Ecco, finalmente qualcuno fa la voce grossa in Europa per difendere la sua gente“: la Nazione, una delle idee senza parole che definiscono la narrazione di destra) o, almeno, da come sarebbe potuta andare: cioè, con qualcuno che metteva in discussione il fatto che un’istituzione che ha vinto un Nobel per la pace si basi su una regola che può essere così riassunta.

Finché tutto va bene, stiamo insieme e tu ci dai dei soldi; quando le cose iniziano ad andare male… cazzi tuoi!