All in
Giorni fa, prima del referendum in Grecia, stavo lavorando a questo post che non poi fatto in tempo a pubblicare.
Alla luce dei recenti dati sul negoziato, mi pare ancora attuale e ve lo propongo ora con piccole modifiche.
Alcuni anni fa, mentre ero nel pieno dello studio appassionato per l’esperimento Milgram, vidi un programma tv francese – “La zone Xtreme“– che ne riprendeva la logica e la struttura.
Il documentario, il cui titolo è “Le jeu de la mort” (il gioco della morte) immaginava una sorta di concorso a premi televisivo nel quale due concorrenti cooperavano per ottenere un premio in denaro e nel quale, come per l’esperimento Milgram, quando uno falliva nel dare la risposta esatta, l’altro poteva (doveva) infliggergli come punizione una (finta) scarica crescente di svariate centinaia di volt, sino a divenire potenzialmente letale.
Come per l’esperimento l’idea alla base del documentario era di verificare l’obbedienza ad ordini illeciti e nocivi, nonostante le proteste dell’altro soggetto, quando questi provengono da un’autorità superiore, in questo caso un mix di “autorità” composta dal conduttore televisivo, dal pubblico inneggiante e dalla prospettiva di conquistare un ricco premio.
Durante il gioco, accadeva abbastanza frequentemente che, al momento di lasciare la scarica elettrica “punitiva” nei confronti del concorrente che sbagliava la risposta, l’altro concorrente si rifiutasse e cercasse di opporsi all’invito via via più pressante del conduttore.
All’opposizione, seguiva un nuovo invito, che progressivamente esercitava una pressione sempre maggiore sul concorrente sino a divenire una sorta di intimazione.
Il dato veramente interessante, almeno a mio giudizio, riguarda l’effetto dello scontro crescente fra la “disobbedienza” all’ordine da parte del concorrente che non voleva inviare la scarica elettrica e le intimazioni dell’autorità-conduttrice televisiva.
Infatti, ad ogni scambio rifiuto-intimazione a proseguire seguiva un aumento della “posta in palio” fra il concorrente ed il conduttore: con il proseguire delle intimazioni, ogni successivo nuovo rifiuto comportava uno sforzo di resistenza maggiore. In un certo senso, un costo “psico-sociale” maggiore.
C’è, insomma, un escalation: ad ogni successivo step, ciascuna delle parti ha qualcosa in più “da perdere” rispetto a prima, dunque tende ad irrigidirsi nella propria posizione.
Logicamente, come quasi sempre accade, a forza di irrigidirsi sempre più, alla fine uno dei due di spezza.
Badate: non “si piega”; si spezza proprio. Perde qualsiasi capacità di resistenza.
Così, più in là un concorrente si è spito nel rifiutarsi di obbedire, più poi -una volta “piegato” all’obbedienza- non avrà remore a spingersi sino a voltaggi estremi che altri concorrenti hanno decisamente rifiutato (vedere, ad esempio, i minuti da 56:26 a 59:57 e poi da 1:07:39 a ).
Questo meccanismo psicologico si ritrova anche in altri contesti apparentemente assai differenti. E’, ad esempio, il meccanismo impiegato retoricamente dall’autorità durante una guerra e ben descritto, fra i tanti, da Zoja: non possiamo arrenderci ora, altrimenti tutte le morti precedenti non avrebbero alcun senso.
E se la logica dello scontro diviene questa, inevitabilmente esso non potrà che proseguire fino alla resa totale di una delle parti, per le quali è divenuto ormai impossibile raggiungere un compromesso.
Perché vi sottopongo questo ragionamento? Perché mi pare di aver rivissuto questa situazione negli ultimi mesi.
Non dico di averla rivissuta personalmente, ma nella trattativa fra Unione Europea, FMI e Grecia.
Ovviamente, non ho altri dettagli se non quelli accessibili a tutti noi “profani” e pubblicati sui giornali, ma ho la viva impressione -arrivati sin qui, alla vigilia di un referendum popolare con la sua soluzione manichea “si/no”- che quanto accaduto con i negoziati sia stato proprio un progressivo radicalizzarsi delle posizioni, sino allo scontro totale.
Non voglio in alcun modo sostenere che una qualsiasi delle parti del negoziato UE-FMI-Grecia sia divenuta irragiovenolmente radicale nelle proprie posizioni: non ho le competenze economiche né d’altro genere per un giudizio simile.
Non posso fare a meno, tuttavia, di constatare lo stato dei fatti cui si è giunti: l’indisponibilità a trattare, l’assoluta radicalizzazione delle posizioni. E, con essa, l’enorme posta in gioco.
Sembrerebbe quasi una partita a poker, dove per non cedere ciascuna delle parti ha continuato ad alzare la posta, sino ad un all-in, quasi si trattasse di vita o di morte.
In effetti, proprio di questo sembra trattarsi: il primo ministro greco Tsipras sembrava aver comunicato che in caso di sconfitta nel referendum, si dimetterà. Una morte politica in perfetto stile: da tragedia greca, verrebbe da dire.
Così è stato per il ministro Varoufakis.
Poi il “no” al referendum ha vinto. E cos’è accaduto?
Ovviamente, la Grecia è dovuta tornare a trattare. Perché uscire dall’Euro non era un’opzione (e per fortuna!).
E dunque? Dunque, i partner europei più intransigenti hanno ottenuto un accordo con prestiti e piani di riforme che dovrebbe essere un pò più a lungo termine e dare più respiro allo Stato greco, ma impone riforme drastiche ed immediate.
E tanti di quelli che esultavano prima per il risutlato del referndum, ora lamentano le condizioni capestro imposte alla Grecia.
Ma davvero! Davvero credevate che la Germania ed i suoi politici più intransigenti il giorno dopo la prova di forza di Tsipras avrebbero “calato le braghe” accettando un compromesso più favorevole alla Grecia? Davvero.
Davvoer non avete capito che ormai non esiste più alcun compromesso? Che le parti -entrambe- hanno tirato troppo la corda e si è persa qualsiasi opportunità di una “sconfitta onorevole”?
Ormai si è andati “all in” ed è troppo tardi per i compromessi onorevoli.
Complimenti a tutti.
Questa è la fine arte del poker, ma certo non quella della politica.
molto bello il parallelismo.
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Davvero il parallelo è azzeccato. Condivido anche l’apprezzamento sull'”impolicità” della condotta tenuta da Tsipras e Varoufakis, il quale deve aver letto un pò troppi trattati sulla teoria dei giochi tralasciando Machiavelli e von Clausewitz.
Alla fine un brutto accordo, e ottenuto con modalità brutali.
E comunque con un 60% di responsabilità da parte Greca.
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