la verità – è non dover mai dire “mi credi?” – adp

È il quattordici del mese di agosto, vigilia del giorno in cui per consuetudine Milano dimostra al mondo che il vuoto cosmico può esistere, e i discutibili milanesi scrivono di verità. C’è però chi lo fa in maniera seria, e scrive bellezze come questa, e chi invece si propone un post leggero leggero, di accompagnamento, più che altro per diletto e per ricordare che ferragosto potrebbe essere un ottimo giorno per liberare la vostra creatività e trasferire pensieri e parole sulla tastiera e quindi in una mail destinata all’oggetto del qui presente banner, l’ormai noto concorso discutibile “In viso veritas“.

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Il qui scrivente confida, impegni lavorativi del prossimo futuro permettendo, di portare presto contributi di maggior sostanza, con particolare riferimento alla ricerca della verità nonché alla verità della (e nella) ricerca; vi parlerà della verità negli articoli scientifici, laddove questa venga messa in discussione dagli stessi autori degli studi se non dalla comunità scientifica (come ad esempio nella storia raccontata qui), nonché racconterà di come lo spasmodico inseguimento della verità nella scienza possa esser quasi considerato fatto patologico, secondo quanto ebbe a dire il Premio Nobel per la chimica Irving Langmuir già ben una sessantina d’anni fa.
Per non farvi mancare un’anteprima di quel che sarà il tenore del racconto (e soprattutto, per pararsi le terga nel caso in cui non riuscisse a scrivere di tutto quanto sopra citato), il suddetto decide di peccare di autoreferenzialità e va così a ripescare un suo vecchio post (questo), a cui restituisce visibilità data la poco avuta, allora, per ovvie ragioni anagrafiche (relative all’età del blog, non dell’autore).

Per oggi, non essendo in grado di assolvere a tale compito (ribadisco, essendo il quattordici di agosto e non provando nemmeno ad emulare i livelli raggiunti dal discutibile collega di cui sopra), il qui scrivente si limita ad offrire una disquisizione da filosofia spicciola in tema di verità.
Lo farà prendendo spunto dagli specchi deformanti, riflettendo (in tutti i sensi, trattandosi di specchi) sul fatto che un individuo di sesso maschile, posto frontalmente ad uno specchio deformante convesso ed all’altezza giusta, risulterà molto più muscoloso ed aitante di quanto la realtà vorrebbe. Il medesimo individuo, posto di fronte al medesimo specchio ed all’altezza inappropriata, risulterà semplicemente obeso.
La verità è una questione di prospettive: per non rischiare, meglio cercare di deformarla il meno possibile.

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