Lo stipendio delle donne
Stati Uniti. Nel 1980, lo stipendio medio femminile era il 65% di quello maschile. Nel 2000 è arrivato al 76%. Poi ha smesso di aumentare. (Fonte: Paula England)
Ripeto. Poi. Ha. Smesso. Di. Aumentare.
E continuiamo a dire che QUESTI sono anni di progresso, solo perché si può raccontare liberamente su un blog o su un social quello che ci passa per la testa?
Viviamo in un mondo triste,tristissimo e stiamo a guardare…
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che poi tutto ciò ha anche casualmente coinciso con gli anni di giorgetto cespuglio figlio. ma sarà un caso, via.
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Uhm. Solo all’inizio temo
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Credo si sia preso alla lettera il fatto che noi donne deriviamo dalla costola dell’uomo, ossia un 76% del loro essere.
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Tralasciando me che sono l’ultima arrivata, nel mio ufficio ci sono un collega uomo e una donna. Ruoli nominalmente diversi ma pari importanza, anzi, senza la donna il mio capo non si muove. Lei prende il 65% di quello che prende lui. Nonostante abbia circa 4 anni di anzianità in più nel suo ruolo.
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Ecco. Vorrei red mi spiegasse come funziona. Negli orridi Usa è almeno formalmente illegale dal sessantatre
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Facile: basta dare un nome diverso allo stesso lavoro. Come la raccomandata che, appena arrivata e con un titolo di studio inferiore al mio, ha avuto da subito livello e stipendio che io avevo avuto dopo un anno (e comunque il livello poi me l’hanno dovuto ulteriormente alzare, causa titolo di studio)… è bastato dare un altro nome a un ruolo che era identico.
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si si questo è il trucco, un po’ dappertutto… mi chiedevo come funzionino le legislazioni, perché mi accorgo di dare per scontate tutele che, nel nostro paese, non sempre sono poi così scontate. Era una curiosità sulle leggi, la mia. Ad esempio, negli Usa è facile aggirare l’Equality Act, perché si dice che se le posizioni sono identiche, ma ci sono risultati diversi (in termini di una vaga definizione di performance), non c’è discriminazione… e chi giudica le performance? I datori di lavoro… quindi…
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Sinceramente non lo so, il diritto del lavoro è un campo complesso che non ho mai approfondito.
Ma se ti interessa posso chiedere….
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E’ una situazione assolutamente normale. E da nessuno contestata o contrastata. Men che meno dalle associazioni di categoria, dai sindacati e da tutte queste che s’affacendano per le quote rosa. Parlando però di quantità (di posti), mica di qualità (della remunerazione). Altra questione, fateci caso: sono altamente femminilizzate quelle professioni a bassa remunerazione. Accade a tutti i livelli. Nel mondo della scuola c’è una preponderanza demminile sino alla scuola superiore. Nelle università, la tendenza si inverte, e se andiamo a vedere le nomine di ordinari lo sbilancio è visibile anche senza fare raffinate statistiche. E non perchè i docenti universitari vengano in sé strapagati (seppur comunque meglio pagati di quanti si muovono nel restante mondo della scuola), ma perchè il ruolo in sé stesso consente l’accesso a consulenze strapagate e a seggiole nei cda che consentono di guadagnare cifre importanti senza fare assolutamente una mazza. Lo stesso nel mondo medico. Strapiene le corsie degli ospedali ma i posti da primario, o da chirurgo, restano per lo più appannaggio degli uomini. Il mondo dell’impresa, invece, sfrutta le competenze tentando laddove possibile di minimizzare i percorsi di carriera. Anche per colpa nostra. Ci limitassimo a fare ‘esattamente’ ciò per cui siamo pagate, molte aziende franerebbero come un castello di carte.
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Profondamente vero. Aggiungo, sempre leggendo la England, che ci sono ancora professioni a magggioranza femminile e professioni a maggioranza maschile, che sono nominalmente distinte anche se hanno prerequisiti analoghi, e molto spesso gli stipendi delle professioni a maggioranza femminile sono collocati più in basso negli organigrammi. In editoria i commerciali sono quasi tutti uomini e guadagnano più di editor e redattori che hanno una forte penetrazione femminile… Organigrammi delle aziende, ma anche delle istituzioni. ad esempio è resta evidente che i bassi stipendi degli insegnanti delle scuole (non delle università) alimentano questo fenomeno, e sono retaggio del fatto che si considera l’insegnamento scolastico ancora una professione a maggioranza femminile.
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