Primo Mogio

bandiera_rossa

 

Guardo la solita folla sfatta, sfranta, allegra di un’allegria che ha ragion d’essere solo nella sua natura di evento sporadico che porta via le anime annoiate dai paesini del sud o da qualche provincia del nord annacquata nella nebbia. Lo so che sono in pochi quelli vanno al concerto del primo maggio a Roma consapevoli di partecipare in qualche modo a una dimostrazione di forza, per sostanziare la presenza viva di chi non si è ancora dimenticato la propria coscienza di classe. Ma quest’anno.
Quest’anno il pubblico di giovani ubriachi di festa e di vino sembrava un deserto. Davanti al palco nemmeno una bandiera a sventolare, non una bandiera rossa né quella immancabile del Che, neanche uno stendardo della Juventus. Un mare di teste vuote che si agitavano a vanvera, tutti impegnati a rappresentare con efficacia il nostro nuovo secolo ricco solo di povertà umana. Poi a un certo punto un buffone qualsiasi ha detto una cosa qualsiasi e qualsiasi persona si è identificata in quel vuoto strutturale che non si occupa più di rivendicare ma solamente di abbaiare alla luna. Che io quel cane ce lo porterei sul serio sulla luna, per vedere se è vero che basta la pancia per aggiustare un treno, o se è come penso io che il treno s’è fermato e adesso stiamo tutti lì, sulla banchina, guardando l’orologio per lamentarci di quanto è in ritardo il futuro. Affogano tra le cicche di passeggeri appiedati tutte le speranze che avevo aiutato a seminare. Affogano in un inquadratura aerea di giovani che non invecchieranno mai, tutte le mie voglie di considerarvi ancora esseri umani.