Fragilità – Intesomale – Come ti senti?

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Si chiama Disturbo Narcisistico della Personalità. NPD. Come Nantucket Police Department. Come Non Passarmi Davanti. Mi hanno spiegato come funziona, me lo hanno spiegato tre persone diverse che si occupano per lavoro di controllare che il cervello degli altri non esca loro dalle orecchie o da fori meno naturali. Ed è una cosa seria, perché è una cosa endemica. Ci sono stati decenni in cui il male endemico era l’isteria. Poi ci sono stati decenni in cui il male endemico era l’anoerssia. E adesso il male endemico è il narcisismo.

Sostanzialmente, sei in parte anafettivo e in parte dipendente, o almeno così l’ho capita io. Anaffettivo perché usi gli altri, e non te ne accorgi, credi di partecipare a uno scambio d’amore e presenza e in realtà ti nutri della loro attenzione, della loro stima, del loro affetto. Dipendente perché se questa attenzione e questa stima non arrivano tu muori di fame. Hai un vuoto che devi riempire, ma non sai ammettere che questo vuoto esiste, perché ammettendolo falliresti, e il fallimento non è concesso. Così la disperazione viene mascherata da forza, e il comportamento si ripete, e si ripete di nuovo, e si ripete ancora, indifferente ai risultati che puoi aver conseguito. Puoi trovare un lavoro magnifico (o anche solo un lavoro, di questi tempi), ma non sarà abbastanza. Puoi trovare un amore vero, di quelli che la sera ti mettono a letto e sai che domattina saranno ancora lì, e neppure questo basterà. Puoi vedere il tuo nome scritto su un quotidiano, o apparire in TV, o parlare alla radio, e anche questo, una volta accaduto, ti lascerà svuotato, vittima di quello che sembrerebbe un calo di tensione, ma ha radici ancora più profonde.

E allora che cosa fai? Ti scegli un’arma. Fai come quel mio parente che ha pagato fior di quattrini per inventarsi di essere quello che non è, oppure riempi la tua insoddisfazione professionale, in molti casi immotivata o quantomeno eccessiva, con trecento tweet al giorno e diecimila follower che ti dicono quanto sei bravo, o ancora ti trovi un(‘)amante in ogni città che frequenti.

E vuoi solo che a un certo punto la tua voce interiore, che poi è la voce degli altri che immagini di sentire, ti dica: va bene così, ora ce l’hai fatta, riposa. Ma questo non succede, perché è la società che ti ammala, con la sua corsa alla competizione che avrebbe dovuto regalare una casa con giardino a tutti gli americani del mondo, e invece ci regala unghie masticate. Con la sua retorica della lotta, del ritorno a categorie troppo semplici e barbare perché la nostra mente le possa sopportare.

E allora sgomiti e colpisci, prima che colpiscano te. Per assomigliare al maschio dominante – siamo in così tanti a fare questa parte che non si capisce più bene chi sono i maschi recessivi – o alla donna forte e moderna che sparpaglia amori per evitare che gli amori sparpaglino lei.

Sgomiti e colpisci, ma basta un colpo, un rifiuto, ad affossarti, perché sei un vaso di coccio travestito da vaso di ferro. Ma se curare un paziente, dicono, è possibile, curare una società è più complicato.

Forse basterebbe che invece di scambiarci la nostra forza ci scambiassimo la nostra debolezza, e ci dicessimo a vicenda cosa ci fa male. Forse così troveremmo un modo diverso di essere felici, che potrebbe anche essere migliore, e più semplice. Come una canzone per cui bastano due accordi, tipo come ti senti, amico, amico fragile?