Britpop (Parliamoci Chiaro #4)

Ah, i Nineties! La sempre apprezzabile Paola Maugeri (Parental Advisory-sarcastic content, eh) su Virgin Radio parlerebbe di grunge, e di Seattle, e di camicie a quadri. Sbagliando scientificamente la pronuncia di tutti questi termini, peraltro. Nel frattempo, dalla parte di qua dell’Oceano, ma dalla parte di là della Manica, la scena musicale pullulava di fighetti vestiti bene, pettinati bene, che strizzavano l’occhio in maniera ammiccante. Oppure vestiti così e così, pettinati piuttosto male e dai toni decisamente aggressivi, ma solo per fingersi un po’ bastiancontrari.

Il britpop for dummies venne visto da noi come la lotta Blur-Oasis, con una spolverata di Verve. C’è invece tutto un mondo dietro, a metà tra la geniale innovazione e il replicantismo più becero, dischi sempre uguali e brani che non invecchieranno mai. Senza volersi addentrare troppo nel britpop semisconosciuto, mettiamo sul tavolo due pezzi che chiunque si sia sorbito almeno un indie-rock dj set in vita propria avrà certamente sentito.

Jarvis Cocker e i suoi Pulp furono forse il lato più geniale del britpop. Difficile definirli derivativi, fedeli a se stessi e a quell’aura di belli&dannati che si sono trascinati fino alla reunion del 2011. E questa “Common people” è un inno generazionale, oggi come ieri.

Meno sofisticati, più simili al lato pop del britpop, con quella voce che i detrattori non esitano a definire lagnosa ma che era tipica di molte band, anche gli Suede di Brett Anderson si sono recentemente ricomposti, pubblicando pure un nuovo album in questo 2013. Ma a noi piace ricordarli com’erano diciassette anni fa, quando cantavano “Trash”.