Pulp! – Wish – Delitti Esemplari
Alla mia scuola di scrittura abbiamo fatto un esercizio proprio in linea col tema settimanale. Esiste un libello di Max Aub, edito da Sellerio, dal titolo per l’appunto “Delitti Esemplari”. Si tratta di racconti brevissimi, al limite dell’aforisma. L’esercizio consisteva nello scriverne qualcuno. Ve ne propongo quattro.
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Ero in fila dietro di lui. Una strada a scorrimento veloce. Di quelle che sono perennemente intasate. Parlava al telefono. L’auto davanti a lui si mosse, ma lui rimase fermo. Parlava, parlava, gesticolava. Lo vedevo da dietro, muoveva le mani, indicava, alzava il braccio, muoveva tutto il corpo. Poteva avanzare di una quindicina di metri, ma niente. Fermo. Ho suonato, un colpettino gentile. Niente. Urlava, ora. I metri erano cinquanta, oramai. Altro colpo di claxon. Niente. Sono sceso, mi sono accostato alla sua portiera, mi sono chinato, ho dato un colpetto al finestrino. Lui ha abbassato il finestrino, ha scostato il telefono dall’orecchio e con la faccia dura mi ha detto “che cazzo vuoi”. Gli ho piantato il cacciavite nell’occhio.
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Era una riunione come tante altre. Quello del marketing tirava su col naso. Parlava, stava presentando i requisiti del prodotto, e ad ogni frase tirava su. Sniff. Perché il prodotto finito deve indirizzare le famiglie di medio reddito. Sniff. E deve essere gradito ai single. Sniff. E deve avere un prezzo contenuto. Sniff. Soffiati il naso, pensavo. Perchè diamine non te lo soffi. Hai anche un pacchetto di fazzolettini davanti a te, santo cielo, usali. Apri quel pacchettino, prendi un fazzolettino, e soffiatelo quel naso, no? Sniff. Sniff. Sniff. Non seguivo più la presentazione, aspettavo soltanto lo sniff successivo. Cominciai a contarli. Uno, due, tre, cinque, dieci, venti. Se arriva a cinquanta lo ammazzo, pensai. Gli fracassai la testa sul tavolo riunioni.
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Stavo mangiando in santa pace, era una trattoria di poche pretese, ma con cibo genuino, ed economica. Ci andavo spesso, mi conoscevano e mi davano sempre il tavolo d’angolo. Accanto a me un ciccione aveva ordinato pasta e fagioli. Non la mangiava. La respirava. Faceva un rumore insopportabile, un orrendo risucchio che sembrava partire dagli anfratti più remoti della sua pancia. La respirò tutta, quella pasta e fagioli. Quando alla fine, dopo l’ultima cucchiaiata, respirò anche il vino, gli misi il tovagliolo attorno al collo e lo strangolai.
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Mi piace molto il caffè. Lo prendo amaro, e mi piace bere un bicchiere d’acqua, prima. Una vecchia abitudine presa molti anni fa. Ne prendo molti, e ovviamente il bar sotto l’ufficio è il più frequentato. Ho cambiato diverse sedi, nel corso della mia vita professionale. E quindi molti bar. Quel che accade è che dopo qualche settimana, qualunque barista impara che voglio un bicchiere d’acqua. E’ solo un bicchiere d’acqua di rubinetto. Non chiedo mica la luna. E cosa ci vuole a impararlo? Non perdiamo tempo entrambi. Io non chiedo, tu sai che lo voglio, lo prendi quando sei comodo. Altrimenti devo chiedere, ti distraggo da quel che stai facendo, per sentire me magari non senti qualcun altro, alla fine conviene a entrambi. Ma se tu dopo tre mesi che ho iniziato a venire tutti i giorni al bar, e ti ho chiesto tutti i giorni almeno 5-6 volte al giorno il mio caffè e il mio bicchiere d’acqua, se tu dopo tre mesi ancora non ricordi, e io devo chiedertelo, il mio bicchiere d’acqua, non meravigliarti se una mattina che sono particolarmente teso tiro fuori la mia Glock e ti sparo in mezzo alla fronte mentre ti chini per mettermi il caffè sul piattino.
Apprezzo la calma che si percepisce dalle descrizioni, proprio quella calma inquietante e silenziosa che dovrebbe ricordarci di diffidare dall’apparenza, e di non calcare mai troppo la mano.
L’ultima l’ho amata.
Complimenti.
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Eheheheheheheh paura eh? 😉
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Santa pazienza! >_<
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Ci sono due cose divertenti di questo esercizio. La prima è che in questi racconti non si solidarizza mai con la vittima, ma con l’assassino. La seconda è che si dà voce alle piccole nevrosi quotidiane a fronte delle quali spesso si pensa “questo lo ammazzerei”. Ecco, Aub (e meno abilmente io) dà voce a questi istinti primordiali, legittimando la nostra rabbia. 🙂
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Va bè ma quella de caffè…come si fa a solidalizzare con l’assassino, un pò difficile eh…
Sono di una freddezza impressionante…con non scialances, come se fosse tutto normale….
per esserlo, divertente…lo è….
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Eh allora vuol dire che ho sbagliato, perché è necessario trasmettere compiutamente il fastidio che si prova, per far sì che il lettore dica qualcosa del tipo “eh va beh, ma pure lui se l’è cercata…” 😉
A scuola mi hanno detto che il migliore è il secondo, quello della riunione. 🙂
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Concordo!
Perchè in questa ci scappa la risata, ecco perchè! di giallo..proprio di “giallo”, forse, ha solo i fagioli!
😉
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mi piace!
i primi due sono decisamente i più efficaci. nel secondo ci poteva anche stare qualche swear word per renderlo ancora più realistico, sarebbe stato perfetto 😉
nel terzo è geniale l’uso della parola “respirare”!
bell’esercizio, potrei farmi prendere la mano, da una cosa così 🙂
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Mi fa pensare al tizio del film, Un giorno di ordinaria follia. Soprattutto il primo. Ahah!
Invece, dio, mi sento l’assassina del terzo brano. Sono io, un giorno o l’altro farò una strage a mensa. O ammazzerò la nonna, non lo so.
E comunque qui al sud l’acqua la danno e basta, non devi chiederla. E’ immorale il caffè senza l’acqua. Non puoi berlo con la bocca impastata d’altro, devi essere pulito, devi apprezzare tutto.
Bravissimo Max!
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…esercizio divertente. Il primo mi sembra il migliore perché l’atto finale, il culmine, è raggiunto attraverso una sequenza di azioni, piccole ma necessarie. Grazie e ciao!
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