la voce del Grillo più forte
La pantomima grillesca sulla mozione presentata dai senatori del Movimento 5 Stelle per abrogare il reato di immigrazione clandestina, mozione sconfessata a mezzo blog dal “megafono” (“uno-vale-uno”, cioè centosessantatre) del Movimento Beppe Grillo e dal suo consulente Gianroberto Casaleggio ci dovrebbe imporre qualche riflessione, seria, sulla concezione della democrazia di questo piccolo caudillo telematico.
Con mio immane sforzo e trattenendo il disgusto, sono andato a prendermi le vive parole di Beppe Grillo dal suo post incriminato (volete il link? a vostro rischio e pericolo: esporsi alle scemenze è sempre dannoso, come radiazioni):
Ieri è passato l’emendamento di due portavoce senatori del MoVimento 5 Stelle sull’abolizione del reato di clandestinità. La loro posizione espressa in Commissione Giustizia è del tutto personale. Non è stata discussa in assemblea con gli altri senatori del M5S, non faceva parte del Programma votato da otto milioni e mezzo di elettori, non è mai stata sottoposta ad alcuna verifica formale all’interno. Non siamo d’accordo sia nel metodo che nel merito. Nel metodo perché un portavoce non può arrogarsi una decisione così importante su un problema molto sentito a livello sociale senza consultarsi con nessuno. Il M5S non è nato per creare dei dottor Stranamore in Parlamento senza controllo. Se durante le elezioni politiche avessimo proposto l’abolizione del reato di clandestinità, presente in Paesi molto più civili del nostro, come la Francia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, il M5S avrebbe ottenuto percentuali da prefisso telefonico. Sostituirsi all’opinione pubblica, alla volontà popolare è la pratica comune dei partiti che vogliono “educare” i cittadini, ma non è la nostra. Il M5S e i cittadini che ne fanno parte e che lo hanno votato sono un’unica entità. Nel merito questo emendamento è un invito agli emigranti dell’Africa e del Medio Oriente a imbarcarsi per l’Italia. Il messaggio che riceveranno sarà da loro interpretato nel modo più semplice “La clandestinità non è più un reato”. Lampedusa è al collasso e l’Italia non sta tanto bene. Quanti clandestini siamo in grado di accogliere se un italiano su otto non ha i soldi per mangiare? – Beppe Grillo, Gianroberto Casaleggio [sottolineature mie]
Allora, Beppe, cosa dite dell’aborto?
Comincerei col far notare un dato che potrebbe apparire secondario, ovvero la doppia firma Grillo-Casaleggio: dopo mesi nel ruolo di oscuro consulente, finalmente anche la voce di Casaleggio comincia a farsi sentire per quella che è: padrone del movimento.
Aldilà di questa nota, quasi di colore, direi che il testo del comunicato-diktat solleva due quesioni veramente interessanti per illuminare la profonda concezione politica del duo Grillo-Casaleggio (Lennon-McCartney ci fanno una pippa!):
- Il vincolo di mandato
Già quando uscì la dichiarazione di Grillo sull’abrograzione dell’art. 67 Cost. e conseguente istituzione del “vincolo di mandato” per i parlamentari, criticai aspramente una simile concezione della politica fondata sugli eletti come “portavoce” e non “rappresentanti” dei cittadini. Ma oggi, di fronte ad un tema di civiltà come il reato d’immigrazione, si impone una riflessione più approfondita.
Comincio con una considerazione giuridica: gli artt. 1387 ss del Codice Civile disciplinano la nozione di “rappresentanza” in senso civilistico, ma possono essere utili per anche per una riflessione costituzionale. Cito, art. 1388 cc: “Il contratto concluso dal rappresentante in nome e nell’interesse del rappresentato […]“, tradotto in termini costituzionalistici: i rappresentanti (deputati e senatori) agiscono in nome e nell’interesse dei cittadini, ovvero si sostituiscono a loro -in forza di una delega elettorale. Inoltre, per costante interpretazione, si ritiene che il rappresentante agisca in autonomia, ovvero non vincolato (se non nel fine) dal rappresentato. Tutto ciò come premessa.
Ma proviamo ad immaginare le conseguenze di un’applicazione concreta dei principi di Grillo. Cosa accadrebbe con l’abolizione dell’art. 67 Cost, ovvero se i parlamentari fossero soggetti ad un “vincolo di mandato”? Semplicemente, le assemblee politiche costituzionali e democratiche sarebbero svuotate di qualsiasi potere. Perché? Perché deputati e senatori sarebbero tenuti ad agire esclusivamente sulla base del (mitico, se non mistico) “programma elettorale”, senza alcuna autonomia, discrezionalità o possibilità di iniziativa. Il potere decisionale sarebbe trasferito nelle mani di chi fa il programma.
Insomma, se per paradosso l’Austria ci invadesse e nulla fosse previsto nel programma elettorale, i parlamentari non potrebbero votare una dichiarazione di guerra o nessuna delle misure necessarie all’autodifesa.
Ammettiamo anche, per un istante, che detto principio sia mitigato da consultazioni permamenti sulla rete: anche qui, il potere sarebbe trasferito altrove. In particolare, nelle mani di quei pochi attivisti che (avendo tempo e risorse) possono leggere, commentare e votare costantemente le questioni politiche sottoposte al loro giudizio. Attivisti senza alcuna legittimazione, né democratica, né meritocratica (di competenze). E pochi: ovvero, si avrebbe la medesima distorsione che con la democrazia rappresentativa! Ma senza la trasparenza di selezione del processo elettorale.
Terza ed ultima ipotesi: temi e tempi della discussione sono dettati dal gestore del blog di riferimento… Identico esito: trasferimento della sovranità ad altri, antidemocratici. - “Educare” i cittadini
Altro tema interessante: il ruolo del politico si limita a riflettere la volontà popolare o debba cercare di portare avanti alcune istanze innovatrici, che tendano a cambiare l’esistente, anche quando le stesse siano osteggiate dalla cittadinanza.
La prima ipotesi potrebbe ben essere definita da Josè Ortega y Gasset (“La ribellione delle masse“) come il più greve populismo: il convincimento che la mediocrità di massa, per il solo fatto di essere maggioranza sia anche un modello etico e sociale. Da wikipedia: “I migliori (in base alle loro qualità) vengono assorbiti dalla massa […] La massa non è solo un fatto quantitativo, ma anche qualitativo che palesa una media tendente verso il basso. Il componente della massa non si sente tale e, quindi, si sente tutto sommato a suo agio: non realizza la condizione di conformismo in cui è sprofondato [….] Si manifesta nella massa che vuole governare con i luoghi comuni, la vita dell’uomo-massa è priva della volontà di progredire e di partecipare ad un processo di evoluzione della società [….] Il venir meno delle discussioni: questo è il regime che piace all’uomo-massa. La massa, invece, odia a morte ciò che gli è estraneo: non dà cittadinanza politica a chi ha opinioni dissenzienti.” Non è difficile intravedere nell’analisi di Ortega y Gasset la rappresentazione, con decenni d’anticipo, del mito tutto italiano del politico che “non vuole cambiare i cittadini”.
Né è difficile, per chi voglia vederlo, constatare come il rifiuto del cambiamento sociale, l’appiattimento sui desideri della massa/maggioranza sia in realtà un regresso, tanto etico quanto sociale.
Avevo già scritto in passato che il ruolo del politico si distingue in un difficile equilibrio fra lead e follow: guidare e seguire. Per quanto ogni politico debba in larga parte seguire i desideri dei cittadini, ogni grande politico individua anche dei temi nei quali è disposto a mettersi contro la maggioranza: dei temi nei quali “guida” un cambiamento. Un politico che si limiti a seguire gli umori del momento condanna il suo paese alla stasi, al declino. E condanna sé stesso all’inutilità.
In sintesi, Beppe Grillo e il suo sodale Casaleggio si confessano per quello che sono: antidemocratici e populisti. Lo si ripete da tempo, purtroppo gli italiani continuano a preferire che gli urla che sono bravissimi come sono, invece di chi li sollecita a migliorare.
D’altronde, diceva Don Marquis: “If you make people think they’re thinking, they’ll love you; but if you really make them think, they’ll hate you“.
per fortuna che , nonostante tutto, c’è chi continua ad usare la propria testa……altrimenti quel movimento sarebbe peggio di una setta….
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Hai avuto coraggio ad aprire quel blog e non restarne offeso. Sappi, certo che lo sai, che linkare il blog di Grillo, comporta, al suddetto, un accumulo di denaro, dovuto proprio a quel clic.
Ti ringrazio quindi di aver trascritto il post: ingrassare Grillo e Casaleggio e la loro dittatura ideologica mi avrebbe fatto ribrezzo.
Detto questo, ancora sono qua a domandarmi come la gente lo abbia potuto ascoltare e votare…..
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oibò, questa mi era sfuggita, chiara. non clicco ma son curioso: quali sono gli adv che usa?
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adv intendi advertisement? pubblicità?
da un po’ non ci passo, ma ci sono tutti i link al suo merchandisign; diversi siti di vendita pannelli fotovoltaici. Il link al fatto quotidiano…
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Fino a qualche tempo fa c’erano i banner di Amazon, adesso quelli di Hightail (ex Yousendit).
Col traffico che ha anche 1 cent a visita fa parecchio denaro.
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Aspetta che ci mettiamo a fargli seriamente concorrenza… (e, come si dice dalle mie parti, “ha finito di viver bene!”)
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YEAH!
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FUCK yeah!
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Ho letto qualche tempo fa dell’uso agghiacciante che fa Grillo di Twitter, con link che portano ad altri link che portano ad altri link ancora (sostituire link con click e click con soldi). Prima provavo scarsa curiosità nell’aprire raramente il suo blog, da quel momento è diventata avversione.
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‘sto cornuto!
Ma quanto mi fa incazzare la gente che non si rende conto del suo bluf….
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Lo so, maledizione, lo so.
Avrei preferito evitare, però a) mi sembrava corretto verificare la notizia e b) come metodo mi pare giusto lasciare a voi la possibilità di fare altrettanto.
Quindi, mio malgrado, l’ho linkato….
Quanto a perché la gente l’abbia votato, le risposte sono molte e realtivamente semplici: 1) siamo stupidi (ed è un dato di fatto) http://redpoz.wordpress.com/2013/10/11/berlusconi-ha-vinto-ancora-2
2) il governo tecnico ha dato proprio l’impressione che Grillo voleva, ovvero che la politica fosse inutile e dannosa;
3) il populismo ha presa facile, specie in tempo di crisi, quando fa comodo avere un nemico esterno (banche, UE….);
4) molti si sono nuovamente illusi che lui potesse essere la vera “rivoluzione” d’Italia come Berlusconi nel ’94, che fosse più di sinistra della sinistra…
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I link ai discutibili li seguo molto più volentieri.
Sì, l’ho sempre immaginato che siamo stupidi. Un paese che tira calci ad una bara e non ha mai avuto coraggio di tirare un pugno prima, è un popolo di stupidi.
Credo inoltre ci sia una grande stanchezza di base e in Grillo molti abbiano visto “quello che fa al posto nostro”
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ops *che fossimo” anche se il tempo presente rende maggiormente.
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Bhè, allora cercheremo di abbondare con i discutibili link….
Direi che il vedere in Grillo “quello che fa per noi” corrisponde sostanzialmente a quanto io definivo col rinnovato mito di una “rivoluzione” (liberale o simile).
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( tu dici come uno che sa, io come il popolino 😉 )
“quello che fa al posto nostro” intendo che l’italiano resta sul suo divanetto ( ehehe..ricordi il post sul volontariato?) mentre il grillone voce forte e vaffa in canna, urla e strepita al suo posto.
Però, che tristezza…..
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Pingback: la voce del Grillo più forte | redpoz
Stavolta sono in disaccordo (quasi) completo col contenuto del post. Per argomentare a pieno dovrei scrivere un commento più lungo del post stesso. Cercherò di essere conciso e ordinato. 1. Sul vincolo di mandato: qualunque definizione va calata in una realtà ed è soggetta al buon senso. Nessuno pensa che, se si presentasse un esercito a circondare il parlamento, i rappresentanti dovrebbero interrogare la rete per decidere il da farsi. Ma, quando possibile, non vedo che cosa ci sia di più efficace e più giusto che rendere attiva la comunità nelle decisioni. Il principio del referendum si basa su quello: tu pensi che il referendum sia antidemocratico perché anti-rappresentativo? Pensi che la democrazia diretta non sia democrazia perché non-rappresentativa? La democrazia rappresentativa è vecchia, malata e difettosa. Grillo non è certo la cura (lo sta dimostrando ampiamente), ma smettiamo di difendere il sistema attuale e smettiamo di citare la costituzione come se fosse vangelo.
2. Sull’educare i cittadini. Quello, semplicemente, non è compito del politico. Non bisogna confondere la dittatura della mediocrità con l’esigenza della leadership. Non è che in un paese dove il politico non si fa innovatore, la popolazione si appiattisce verso il basso. Sono altre le istituzioni che devono promuovere il nuovo, educare i cittadini e stimolare lo sviluppo culturale. La politica deve “gestire” o, come si dice “governare”. Vista la classe politica italiana e il periodo storico, poi, teorizzare questo compito per la politica, nella fattispecie, è un’idea rivoltante. Brunetta e Giovanardi a “educare” il cittadino? Siamo seri. Questo solo per limitarmi alle riflessioni più immediate.
Sia chiaro che non è una difesa nel merito della questione del post Grillo-Casaleggio sugli immigrati, che è stato rivoltante quasi quanto una foto di Brunetta, per ri-citarlo. Anzi, a proposito: quando si riuscirà a fare una discussione serena e obiettiva sulla democrazia, sulle innovazioni della politica, sulla partecipazione dei cittadini e, di conseguenza, anche sui movimenti, distinguendo il problema dalle figure promotrici, dagli atteggiamenti di Grillo, dalle teorie di Casaleggio?
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Capisci che ovviamente l’esempio di guerra voleva essere una mera ipotesi assurda.
Ma rende bene l’idea. Ed il problema si riproporrà a breve con l’aborto…
Comunque:
1. un conto è rendere la cittadinanza “attiva” nelle decisioni, un altro è vincolare i rappresentanti all’opinione espressa in un dato momento, in un dato contesto e con date informazioni dalla cittadinanza (che poi è sempre PARTE di essa, mai tutta). Io sono totalmente favorevole alla partecipazione dei cittadini, in moltissime forme (nel mio comune ho fatto approvare il regolamento comunale per i referendum!), ma dobbiamo esser coscienti che ciascuna di queste forme ha i suoi limiti. E quelle telematiche più di tutti.
“Vincolo” invece significa non potersi discostare da quanto deciso ed è demenziale. Demenziale perché non tiene conto delle mutate circostanze, dei nuovi problemi e -non da meno- delle coscienze individuali.
Io non ho parlato di referendum, perché non c’entra con l’ipotesi in questione (e se ci tieni, no: non lo ritengo antidemocratico): nel referendum si consulta la popolazione, ma poi il Parlamento può intervenire sulla questione, pur rispettando le indicazioni ricevute. Il tema è complesso, ma basti dire che a) l’espressione uscita dall’esito del referendum è generalmente considerata sottoposta ad un limite temporale, ovvero non è che quella norma non potrà mai più esser proposta; b) che una data norma sia abrogata, non significa che sulla stessa materia non si possa proporre una norma diversa.
Penso che la democrazia diretta, almeno per come immaginata da Grillo, non sia democratica perché la partecipazione di tutti è impossibile, dunque: come si sceglie chi partecipa? in base a cosa son legittimati? Io vedo due opzioni: elezioni trasparenti o competenze (e già questa seconda non è democrazia). La proposta di Grillo non ne garantisce nessuna. Se vi sono risposte sul punto, possiamo discuterne. In assenza, la conclusione resta invariata.
Tutto questo non vuol dire “difendere il sistema attuale”, ma smascherare problemi.
2. Intanto io non parlo di esigenze di leadership: parlo dell’esigenza -o dovere morale- che nella società vi siano alcune istanze di progresso socio-culturale. E di queste istanze non di rado si fanno portatori i politici lungimiranti (leader, se vuoi, ma leader nelle idee!), anche contro l’opinione della massa.
Ma, scusa, secondo te Kennedy non doveva lanciare la “nuova frontiera” dei diritti civili solo perché i cittadini erano contrari? Far cambiare idea alle persone, anche questo è educare.
La politica non deve solo gestire, questa è una concezione che riduce il ruolo politico al “bravo amministratore” (quello che voleva Giannini e “l’uomo qualunque”) e nega una parte importantissima della politica: guardare al futuro, programmare, immaginare il domani. E questo non è limitato alla infrastrutture, ma deve coinvolgere anche “filosofia”, la concezione dell’uomo e della cittadinanza.
Se un paese ha leggi incivili perché i suoi cittadini le vogliono, si deve anche avere il coraggio di dire che questo è sbagliato. Ragionando a contrario, l’infibulazione in certi paesi dovrebbe essere assolutamente accettata!
Che poi vi siano politici indecenti, questo non nega la validità del ragionamento: la politica è una sfida ed è in questa sfida che le idee migliori devono sorgere e cercare di affermarsi. Ma ritirarsi dalla sfida solo perché concorre un Brunetta, bhè è perdere in partenza e lasciar campo all’esistente.
3. Sulla partecipazione dei cittadini esistono già svariati studi, ben antecedenti ai pazzi Grillo e Casaleggio.
Fra i molti, posso ricordare quelli del francese Pierre Rosanvallon, anche se non so se sono tradotto in italiano.
Vi è poi James Fishkin con la sua “deliberative democracy”.
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Sul punto 1: era chiaro che l’esempio della guerra era iperbolico, lo era anche il mio del referendum, proprio per dire che ragionando per iperboli non si va da nessuna parte. D’altronde il post nasce da considerazioni su Grillo, che offre il destro a questo tipo di ragionamenti perché è offensivo nei modi e tranciante nei giudizi e quindi è fin troppo facile rendergli la pariglia. Per quanto riguarda la democrazia diretta potrei parafrasarti: ritirarsi dalla sfida solo perché concorre Grillo significa lasciar campo all’esistente, e questo mi sembra che basti da solo per rendere l’ipotesi inaccettabile, visto che l’esistente è, per me, decisamente inaccettabile.
Sul punto 2 mi sono espresso in un altro commento. Qui vorrei solo aggiungere che il concetto stesso di leadership dovrebbe essere superato. Finché non cominciamo a immaginare (ma dando a queste immagini forma concreta) strutture diverse da quelle verticistiche, non faremo mai un passo in avanti. Anche nelle monarchie assolute, se il sovrano era illuminato, il governo poteva funzionare bene e il popolo poteva essere guidato verso nuovi orizzonti. Non mi sembra che questa possa essere una buona argomentazione a favore di monarchie o dittature, o sbaglio?
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Intanto non mi sembra affatto che qui si ipotizzi di ritirarsi da alcuna sfida… semmai, si tratta di impostare la sfida in modo accettabile. E quello di Grillo non lo è.
L’esistente ha senza dubbio moltissimi problemi, ma questi derivano soprattutto da un approccio socio-culturale dei cittadini italiani, prima che dall’ “architettura” democratico/istituzionale: possiamo cambiare tutti i sistemi e tutte le istituzioni del mondo, ma finché gli italiani restano come sono sarà inutile.
Rispondo sotto sul punto 2, ma credo sia opportuno sviluppare qui il ragionamento sulla leadership: io non sto pensando a situazioni di “Fuehrerdemokratie” con un leader forte e carismatico, dico semplicemente che nella società non ci si può arrestare al flusso della corrente della massa, ma occorre che qualcuno cerchi di condurre campagne politiche ideali. Questo può essere un singolo, un partito, un’associazione o semplicemente dei cittadini: il concetto non cambia.
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La situazione italiana è particolarmente drammatica, ma i problemi del governo di una società non è che ce l’abbia solo l’Italia. Io non credo che la democrazia rappresentativa sia una forma di governo evoluta, ecco tutto.
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Sono in pieno e totale disaccordo col tuo punto 2. L’educazione del cittadino è di fatto parte della poltitica. Poi si può decidere in che misura vadano posti i confini al potere della politica sulla formazione dei giovani ma che la scuola in ogni sua forma sia emanata, finanziata e gestita dallo stato e quindi influenzata dalla cultura dirigente è un fatto inevitabile… in teoria dovrebbe crearsi un circolo virtuoso in cui buoni cittadini scelgono buoni politici che sostengono la creazioni di nuove generazioni di cittadini ancora migliori… di fatto non accade, e allora il rapporto di influenza diventa deleterio. Ma innegabile…
Sulla democrazia diretta: penso che non funzioni perché siamo un popolo di orrendi ignoranti con una classe dirigente mafiosa e oligarchica. Ma in realtà temo che la democrazia non funzioni proprio, non nei termini assoluti in cui viene posta. Io ho laurea triennale, specialistica, dottorato di ricerca e un diploma di scuola normale, e se mi chiedi di pronunciarmi su una Finanziaria, per i tre quarti che non riguardano le cose di cui mi occupo non saprei da che parte cominciare…
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Però quello che tu intendi come “educazione del cittadino” in politica non risponde all’idea che io cercavo di trasmettere.
Anche io sono convinto che l’educazione (pubblica e non) sia un tema di discussione politica e di iniziativa politica dello Stato innegabile e fondamentale.
Ma quello cui mi riferivo con questa formula (probabilmente meglio spiegata nel post che cito) è un’educazione socio-culturale rispetto ad alcuni grandi temi sui quali l’opinione pubblica è già formata (vedi pena di morte), ma va cambiata.
Ovvero, consiste nel prendere decisioni politiche contro la maggioranza.
Sulla democrazia.
Intanto non mi pare affatto che quella di Grillo sarebbe né democrazia, né diretta. Per le ragioni sopra esposte: non è trasparente e non tutti possono partecipare.
In ogni caso, son d’accordo che l’idea “assoluta” di democrazia sia senza senso: non abbiamo le competenze per affrontare ogni questione e almeno in minima parte dobbiamo affidarci a “specialisti” (o, meglio, la democrazia funziona meglio in modo -relativamente- selettivo, cioè quando ciascuno si focalizza sui temi rispetto ai quali è più competente: ma, appunto, anche questa funzione selettiva è insita nel concetto di rappresentanza!). Si tratta sempre di rendere trasparenti questi processi.
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sono abbastanza d’accordo, e temo di aver annidiato male il commento, che era riferito alla risposta di swann in questo caso…
non vedo una grossa distinzione però fra i diversi tipi di formazione del cittadino
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Io trovo che quello che voi dite della funzione educativa della politica sia proprio grave. Dire che il politico non solo può, ma deve arrogarsi il diritto di indirizzare la cultura del popolo significa spalancare le porte a gestioni come quella di Berlusconi, che in 20 anni ha sapientemente alterato la nostra percezione della realtà, piegandola alla sua. Qua si parla di principi, non di quello che “è inevitabile” data la nostra ignoranza o data la provenienza dei soldi che finanziano la scuola (sennò lasciamo pure che la scuola sia privatizzata e che i finanziatori delle scuole private decidano come educare le prossime generazioni). Io sono un fermo assertore della separazione delle carriere (nel mio piccolo, lo ripeto sempre all’interno dell’accademia). Chi “gestisce” non può indirizzare il pensiero, perché è un vero e proprio conflitto di interessi. Tenete presente che laddove si giungesse ad una (utopica?) società orizzontale, il problema non si porrebbe proprio più: la distinzione fra politico e cittadino andrebbe persa e tutti farebbero solo l’interesse di tutti, per semplificare. Ma questo è un altro discorso.
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Matassa non ho detto che possa o debba ma di fatto accade. E la cosa va gestita
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male (cognome di inteso), il dualismo reale-ideale vale per qualunque discussione di principio, e alla fine va sempre gestito. Io esprimevo solo delle idee, il resto viene dopo.
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Ma di cosa stiamo parlando? Le gestioni come quella di Berlusconi (e di Grillo, per dirla tutta) si sono imposte proprio sotto il modello opposto di “non modifichiamo i cittadini, non facciamoli cambiare”.
Hai presente Massimo D’Azeglio? “Gl’Italiani hanno voluto far un’Italia nuova, e loro rimanere gl’Italiani vecchi di prima, colle dappocaggini e le miserie morali che furono ab antico la loro rovina; […] pensano a riformare l’Italia, e nessuno s’accorge che per riuscirci bisogna, prima, che si riformino loro.”
Un politico deve avere anche il coraggio di denunciare queste “miserie morali” e provare ad “educare” i cittadini a partire da singole politiche, per cambiarli.
Invece, Berlusconi che citi ha operato surrettiziamente. Proprio sotto la tua bandiera di “non cambiare” ha fatto i disastri che ha fatto, assecondando gli istinti più bassi degli italiani. Invece, io dico (e con me molti nobili Statisti: Adenaure, Brandt, Mitterand…) che serve il coraggio di denunciare ciò che non va e proporre vie per cambiare.
Questo è chiudere la porta in faccia a Berlusconi! Altro che splancarla.
Ciò detto, non pensare che questo voglia essere un inno ad una qualche “società totalitaria” dove, lì sì, si “indirizzano” completamente i pensieri: questa è la logica della battaglie politiche, focalizzate su specifici temi (non su una generica “morale”).
Limitare il politico alla gestione del presente significa piegarsi alle tendenze della massa, della mediocrità e tagliare ogni spazio per qualsivoglia alito di progresso umano, sociale e culturale. L’alternativa di aggrapparsi al presente è comoda solo per mantenere la comoda posizione (divenire inammovibili).
Ripeto: hai presente la storia della pena di morte in Francia? Se il tuo discorso fosse corretto, vi sarebbe ancora. Invece no: perché un politico ha avuto il coraggio di “sfidare” i suoi stessi elettori con un grande tema civile. Come l’infibulazione: perché non mi rispondi su questa? Dovremmo forse accettarla? O, per tornare a noi Italia, come lo ius soli o la battaglia contro il razzismo? Dobbiamo forse tollerare esternazioni becere, ignoranti e violente solo perché espressione della maggioranza presente?
No, io credo che dobbiamo sfidarle e cercare di cambiarle.
E non deve essere per forza il politico a farlo, ma la politica è il luogo naturalmente deputato a ciò. Potrebbe essere chiunque si faccia portatore di una simile istanza di miglioramento.
Ecco, per concludere la risposta al tuo discorso, che anche l’ipotesi di una società orizzontale ha i suoi pericoli: quello della massa denunciata da Ortega y Gasset, quello di un conformismo al ribasso dove ogni eccellenza viene zittita perché disturba.
La logica della democrazia dovrebbe essere, appunto, quella di cercare i “migliori” fra i cittadini, coloro che eccelgono. Non i mediocri per il solo fatto che son maggioranza.
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Tu la vedi da tuo punto di vista (che, ovviamente, è anche il mio), in cui la cultura berlusconiana è non-cultura. Ma, ovviamente c’è un altro punto di vista (il suo, ad esempio) che è completamente opposto. Dal suo punto di vista anche quella è un’evoluzione: l’evoluzione verso una non-etica, verso il predominio del denaro e dell’immagine, ecc. Perché dici che questa è immobilità? Io i cambiamenti li vedo, in peggio ma li vedo. E il mio peggio non è il peggio di tutti, magari è il meglio di pochi. E poiché a quei pochi è dato di decidere per i molti, i molti vanno in quella direzione. Un ipotetico slogan berlusconiano “siamo belli come siamo” di fatto non serve a non cambiare, ma a cambiare verso una direzione decisa da lui; in questo caso enunciare il non-cambiamento serve a cambiare in una direzione che, se resa palese, sarebbe stata osteggiata, facendo leva sull’orgoglio di chi si sente “accettato”.
E io per società orizzontale non intendo “società di uguali”. Tra la dominanza e la diversità ci corrono molti concetti
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Ma la politica berlusconiana si camuffa sotto lo slogan del “non-cambiamento” etico! (oltreché del falso cambiamento economico).
Che dopo vi siano cambiamenti prodotti come effetto di questa politica lo vedo anche io, e l’ho detto.
Che questa direzione del cambiamento sarebbe osteggiata, io non lo credo: è la direzione nella quale la massa si sente più a suo agio.
Ma come sempre, occorre coerenza fra parola ed azione: allora, dico io, ad un’azione tesa a cambiare -anche moralmente- uniamovi senza paura anche l’affermazione che la politica può cambiare ed educare la cittadinanza.
Nascondersi dietro giochetti serve solo a favorire altri giochetti, come quello di Berlusconi e di Grillo.
Quanto alla società orizzontale, io non ho mai parlato di una “società di eguali” (qualnque cosa significhi): se rivedi quelle parole di Ortega y Gasset che ho citato nel post, non parlano di “uguaglianza”, ma di un effetto di conformismo.
La società orizzontale, pura, perfetta, non esiste: perché le risorse sono differenti, la partecipazione è differente, le competenze sono differenti… e affermarla ci fa arrivare esattamente alle distorsioni antidemocratiche che denuncio nel post.
Come si legittimano le decisioni in una società orizzontale? O riesci a far partecipare tutti (diciamo il 90%?) i cittadini, oppure hai già una forma surrettizia di rappresentanza. Rappresentanza che non ha legittimazione né elettorale, né per competenze.
Trovami una risposta a questo, poi cominciamo a parlarne.
Altrimenti, restiamo a quanto già detto: benissimo la partecipazione (anche la elezioni sono partecipazione!), ma questa -ad oggi- ancora non è in grado di sostituire la democrazia rappresentativa.
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Io non ho ricette per questo mondo, il mondo stesso non ne ha. Una società più partecipativa e più “giusta” sarebbe tutt’altro che utopica in piccole comunità – tipo polis greche. Non è detto che non ci si torni giocoforza, visto che il tenore attuale di vita è insostenibile e ci apprestiamo a superare la capacità portante dell’ambiente. Comunque vabbé, alla fine abbiamo divagato, pur senza spostarci di n millimetro.
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Mah, a me sembra invece che (soprattutto qui sotto) abbiamo fatto alcuni passi avanti.
Non stravolgimenti, ma mi pare già importante.
Ho già detto che sono assolutamente favorevole sia ad una società più partecipata, sia ad una più giusta (ove, per giusta, intendo con migliore redistribuzione del benessere, più attenzione alla persona umana ed ai suoi diritti, minor focus sul profitto e più attenzione all’ambiente).
Credo tuttavia che il problema della partecipazione non possa esser ridotto solo ai problemi dell’architettura istituzionale, ma riguardi in primissimo luogo anche l’atteggiamento dei cittadini verso la politica (intesa in senso ampio come spiegato sotto).
Solo una nota sull’ipotesi (molto più interessante e che mi trova assai più favorevole rispetto alle idee di “democrazia telematica”, da cui si discosta non poco): l’idea è apprezzabile. Ma dobbiamo definirne esattamente le competenze, perché ipotesi vetero “autarchiche” sono irrealizzabili, in un mondo legato da profonda complessità ed interdipendenza.
Insomma, anche una “federazione” di polis dovrà affrontare il cambiamento climatico (o i conflitti africani): come? Serve coordinamento.
Personalmente, trovo meno rappresentativo e garantista il modello “a gradini” (con i rappresentanti che si riuniscono e scelgono altri rappresentanti per il livello superiore) che quello democratico-rappresentativo classico (ovvero, di elezione nazionale. O sovranazionale).
Dalle mie parti si è sperimentata una “federazione dei comuni” che funziona molto bene, ma le resistenze sono ancora tante e resta ancora da capire che altri passi avanti si potranno fare: come vedi, le questioni chiave le stiamo appena intaccando ora.
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Alla prima parte del commento ho risposto altrove. Anche alla seconda parte, in verità, ma qui voglio dire: innanzitutto non si parla solo dell’Italia, ma dell’uomo, quindi più che popolo di orrendi ignoranti, allora dovremmo dire specie orrendamente ignorante. E poi fammi capire: quando mai nella storia è stato realizzato qualcosa di significativo preoccupandosi dei limiti di questo povero popolo (specie) ignorante? Le svolte nella storia avvengono proprio perché si superano delle barriere, con tutti gli effetti collaterali che questo comporta. Certo, forse qualcuno avrebbe fatto bene a pensare “non può funzionare questo bipede con tutta questa corteccia prefrontale, non è pronto, meglio che continui a grugnire e a raccogliere bacche e frutta”, ma non è andata così, e noi ci stiamo parlando schiacciando tasti di un computer…
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Forse non cogli la contraddizione del tuo ragionamento: parli di “superare barriere” ma neghi che qualcuno (“politico”) possa spingerci a superarle.
Secondo te è solamente un processo naturale o di massa? Io non credo. Io credo che a volte qualcuno debba anche spingere gli altri, questo è il senso di “educare”. O “sfidare”, come ho detto poi.
Purtroppo, ed è dimostrato non da me ma da ben eminenti studiosi e pensatori, nel grande numero si tende al conformismo ed alla mediocrità. Quindi io non credo a questi processi “di massa”.
Vuoi esempi di quando nella storia si è realizzato qualcosa di significativo pensando ai limiti umani? Non crederai manchino, spero: l’abolizione della pena di morte da cosa deriva? (suggerimento: dall’umana possibilità di errare, nel commettere crimini, nel giudicare, nel punire e nel redimersi) la “distensione” post-Guerra Fredda, non è forse legata ai limiti umani di paura, errore, aggressitivà ed istinti? Il diritto umanitario? Persino la democrazia è questione di limiti (“check and balances”!).
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Ovviamente non colgo la contraddizione del mio ragionamento, altrimenti sarei stupido a perseguirlo. Potrei anche essermi espresso in modo non felice. Probabilmente non ci capiremo né con un post né con uno scambio infinito di commenti, e altrettanto probabilmente se ci capissimo alla fine resteremmo comunque in disaccordo. Voglio solo chiarire per un’ultima volta: sono d’accordo sulla gran parte dei principi da te espressi e, visto che ci tieni, è ovvio che penso che qualcuno dovrebbe far aprire gli occhi alla popolazione sul problema dell’infibulazione. Quello che contesto è che tutto questo sia compito della politica. Io penso proprio che la politica vada “depotenziata”, come con la divisione dei poteri giudiziario, legislativo ed esecutivo. Per gli stessi motivi l’educazione, l’evoluzione culturale, il confronto sociale vanno condotti al di fuori della politica. Chi ha in mano il potere di manipolare sia quelli che le la loro applicazione, chi può disporre del presente e plasmare contemporaneamente il futuro di un popolo, finirà inevitabilmente per fare gli interessi di se stesso e di pochi altri.
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Allora, se il piano del ragionamento diventa questo, posso fare un passo avanti.
Innanzitutto, ho già detto che non deve essere necessariamente compito della politica (intesa come partiti, Parlamento etc), ma possono essere anche i cittadini comunque organizzati.
….ma questo non vuol dire escludere partiti o Parlamento, insomma “politica” istituzionale.
Ciò detto, un paio di precisazioni: innanzitutto io ho una visione ampia, direi “olistica” della politica. Per cui non trovo che questo concetto sia limitativo, anzi: è connaturale alla società.
Anche i cittadini con le loro azioni fanno “politica” (policy-polis).
Eppoi, come tu stesso dici, spesso la politica (istituzionale) è l’unica ad avere i potenti mezzi necessari a questi cambiamenti.
In secondo luogo, se insisto sul concetto di politica (anche istituzionale) è perché oggi le norme sociali sono fatte in queste sedi istituzionali e per certi cambiamenti occorrono norme.
Ho già citato svariati esempi che negano la tua affermazione conclusiva, quindi non li ripeto ulteriormente. Pochi? Minoritari? Forse, ma ciò non nega la fondatezza del mio ragionamento.
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