la voce del Grillo più forte

La pantomima grillesca sulla mozione presentata dai senatori del Movimento 5 Stelle per abrogare il reato di immigrazione clandestina, mozione sconfessata a mezzo blog dal “megafono” (“uno-vale-uno”, cioè centosessantatre) del Movimento Beppe Grillo e dal suo consulente Gianroberto Casaleggio ci dovrebbe imporre qualche riflessione, seria, sulla concezione della democrazia di questo piccolo caudillo telematico.

Con mio immane sforzo e trattenendo il disgusto, sono andato a prendermi le vive parole di Beppe Grillo dal suo post incriminato (volete il link? a vostro rischio e pericolo: esporsi alle scemenze è sempre dannoso, come radiazioni):

Ieri è passato l’emendamento di due portavoce senatori del MoVimento 5 Stelle sull’abolizione del reato di clandestinità. La loro posizione espressa in Commissione Giustizia è del tutto personale. Non è stata discussa in assemblea con gli altri senatori del M5S, non faceva parte del Programma votato da otto milioni e mezzo di elettori, non è mai stata sottoposta ad alcuna verifica formale all’interno. Non siamo d’accordo sia nel metodo che nel merito. Nel metodo perché un portavoce non può arrogarsi una decisione così importante su un problema molto sentito a livello sociale senza consultarsi con nessuno. Il M5S non è nato per creare dei dottor Stranamore in Parlamento senza controllo. Se durante le elezioni politiche avessimo proposto l’abolizione del reato di clandestinità, presente in Paesi molto più civili del nostro, come la Francia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, il M5S avrebbe ottenuto percentuali da prefisso telefonico. Sostituirsi all’opinione pubblica, alla volontà popolare è la pratica comune dei partiti che vogliono “educare” i cittadini, ma non è la nostra. Il M5S e i cittadini che ne fanno parte e che lo hanno votato sono un’unica entità. Nel merito questo emendamento è un invito agli emigranti dell’Africa e del Medio Oriente a imbarcarsi per l’Italia. Il messaggio che riceveranno sarà da loro interpretato nel modo più semplice “La clandestinità non è più un reato”. Lampedusa è al collasso e l’Italia non sta tanto bene. Quanti clandestini siamo in grado di accogliere se un italiano su otto non ha i soldi per mangiare? – Beppe Grillo, Gianroberto Casaleggio [sottolineature mie]

Allora, Beppe, cosa dite dell’aborto?

Comincerei col far notare un dato che potrebbe apparire secondario, ovvero la doppia firma Grillo-Casaleggio: dopo mesi nel ruolo di oscuro consulente, finalmente anche la voce di Casaleggio comincia a farsi sentire per quella che è: padrone del movimento.

Aldilà di questa nota, quasi di colore, direi che il testo del comunicato-diktat solleva due quesioni veramente interessanti per illuminare la profonda concezione politica del duo Grillo-Casaleggio (Lennon-McCartney ci fanno una pippa!):

  1. Il vincolo di mandato
    Già quando uscì la dichiarazione di Grillo sull’abrograzione dell’art. 67 Cost. e conseguente istituzione del “vincolo di mandato” per i parlamentari, criticai aspramente una simile concezione della politica fondata sugli eletti come “portavoce” e non “rappresentanti” dei cittadini. Ma oggi, di fronte ad un tema di civiltà come il reato d’immigrazione, si impone una riflessione più approfondita.
    Comincio con una considerazione giuridica: gli artt. 1387 ss del Codice Civile disciplinano la nozione di “rappresentanza” in senso civilistico, ma possono essere utili per anche per una riflessione costituzionale. Cito, art. 1388 cc: “Il contratto concluso dal rappresentante in nome e nell’interesse del rappresentato […]“, tradotto in termini costituzionalistici: i rappresentanti (deputati e senatori) agiscono in nome e nell’interesse dei cittadini, ovvero si sostituiscono a loro -in forza di una delega elettorale. Inoltre, per costante interpretazione, si ritiene che il rappresentante agisca in autonomia, ovvero non vincolato (se non nel fine) dal rappresentato. Tutto ciò come premessa.
    Ma proviamo ad immaginare le conseguenze di un’applicazione concreta dei principi di Grillo. Cosa accadrebbe con l’abolizione dell’art. 67 Cost, ovvero se i parlamentari fossero soggetti ad un “vincolo di mandato”? Semplicemente, le assemblee politiche costituzionali e democratiche sarebbero svuotate di qualsiasi potere. Perché? Perché deputati e senatori sarebbero tenuti ad agire esclusivamente sulla base del (mitico, se non mistico) “programma elettorale”, senza alcuna autonomia, discrezionalità o possibilità di iniziativa. Il potere decisionale sarebbe trasferito nelle mani di chi fa il programma.
    Insomma, se per paradosso l’Austria ci invadesse e nulla fosse previsto nel programma elettorale, i parlamentari non potrebbero votare una dichiarazione di guerra o nessuna delle misure necessarie all’autodifesa.
    Ammettiamo anche, per un istante, che detto principio sia mitigato da consultazioni permamenti sulla rete: anche qui, il potere sarebbe trasferito altrove. In particolare, nelle mani di quei pochi attivisti che (avendo tempo e risorse) possono leggere, commentare e votare costantemente le questioni politiche sottoposte al loro giudizio. Attivisti senza alcuna legittimazione, né democratica, né meritocratica (di competenze). E pochi: ovvero, si avrebbe la medesima distorsione che con la democrazia rappresentativa! Ma senza la trasparenza di selezione del processo elettorale.
    Terza ed ultima ipotesi: temi e tempi della discussione sono dettati dal gestore del blog di riferimento… Identico esito: trasferimento della sovranità ad altri, antidemocratici.
  2. “Educare” i cittadini
    Altro tema interessante: il ruolo del politico si limita a riflettere la volontà popolare o debba cercare di portare avanti alcune istanze innovatrici, che tendano a cambiare l’esistente, anche quando le stesse siano osteggiate dalla cittadinanza.
    La prima ipotesi potrebbe ben essere definita da Josè Ortega y Gasset (“La ribellione delle masse“) come il più greve populismo: il convincimento che la mediocrità di massa, per il solo fatto di essere maggioranza sia anche un modello etico e sociale. Da wikipedia: I migliori (in base alle loro qualità) vengono assorbiti dalla massa […] La massa non è solo un fatto quantitativo, ma anche qualitativo che palesa una media tendente verso il basso. Il componente della massa non si sente tale e, quindi, si sente tutto sommato a suo agio: non realizza la condizione di conformismo in cui è sprofondato [….] Si manifesta nella massa che vuole governare con i luoghi comuni, la vita dell’uomo-massa è priva della volontà di progredire e di partecipare ad un processo di evoluzione della società [….] Il venir meno delle discussioni: questo è il regime che piace all’uomo-massa. La massa, invece, odia a morte ciò che gli è estraneo: non dà cittadinanza politica a chi ha opinioni dissenzienti.” Non è difficile intravedere nell’analisi di Ortega y Gasset la rappresentazione, con decenni d’anticipo, del mito tutto italiano del politico che “non vuole cambiare i cittadini”.
    Né è difficile, per chi voglia vederlo, constatare come il rifiuto del cambiamento sociale, l’appiattimento sui desideri della massa/maggioranza sia in realtà un regresso, tanto etico quanto sociale.
    Avevo già scritto in passato che il ruolo del politico si distingue in un difficile equilibrio fra lead e follow: guidare e seguire. Per quanto ogni politico debba in larga parte seguire i desideri dei cittadini, ogni grande politico individua anche dei temi nei quali è disposto a mettersi contro la maggioranza: dei temi nei quali “guida” un cambiamento. Un politico che si limiti a seguire gli umori del momento condanna il suo paese alla stasi, al declino. E condanna sé stesso all’inutilità.

small_130930-141828_to300913pol_0507-300x199In sintesi, Beppe Grillo e il suo sodale Casaleggio si confessano per quello che sono: antidemocratici e populisti. Lo si ripete da tempo, purtroppo gli italiani continuano a preferire che gli urla che sono bravissimi come sono, invece di chi li sollecita a migliorare.
D’altronde, diceva Don Marquis: “If you make people think they’re thinking, they’ll love you; but if you really make them think, they’ll hate you“.