Animali Social(i) – Redpoz

Ebbene, ci sono cascato anche io (sabato scorso, quando in diretta mentre lo speaker presentava il libro io ne caricavo la foto compiaciuto sul social di turno).
Nonostante tutti i proclami sul distacco dai social network, sulle conseguenze distorsive e potenzialmente nefaste che hanno sulle nostre vite, ci sono cascato.
Per lo più, uso l’unico social network cui sono iscritto come una mera cassa di risonanza: pubblico link (e link, e link e link…) di ogni cosa che mi pare meriti un pò d’attenzione. Cerco anche d’essere selettivo: infatti, prediligo contenuti socialmente rilevanti (campagne politiche, ambientaliste, analisi sociali) rispetto a quelli puramente di svago. Oppure, se parlo di me, lo faccio in modo volutamente criptico con citazioni strane di cui solo pochi possano cogliere il nesso, preferibilmente in lingue minoritarie fra i miei stessi “amici”.

In realtà, la cosa più intelligente che ad oggi abbia sentito sui social network me l’ha detta Sofia appena iscritto a facebook: “non aggiungo come amici persone che ho dall’altro lato del corridoio“. ‘Azz, aveva ragione la ragazza!
In effetti, la prima vera motivazione che mi aveva spinto fu conoscere un sacco di gente dai quattro angoli del globo: volevo restarci in contatto. E, checchè se ne dica, anche un regolare scambio di e-mails non è la stessa cosa.
A parte il fatto che nessuno (nessuno) riesce a scrivere regolarmente e-mails ad una dozzina di amici (o a sentirli in skype) e soprattutto, nessuno riesce ad avere sempre qualcosa di interessante da comunicare loro; resta il fatto che -come dice saggezza popolare- “anche l’occhio vuole la sua parte”.
E’ questo l’enorme vantaggio di social come facebook: creando quella che a me piace chiamare una “piazza virtuale” (surrogato di quella vera), permettono a tutti di esporre i fatti loro, di metterli in mostra per chiunque sia interessato.
Come sta Tizio? Ecco la foto sul Monte Bianco. Caia? Ah, si è sposata…
Naturalmente, le foto hanno un potere evocativo anche maggiore (diverso) delle parole: scatenano le nostre fantasie, danno libero sfogo alle emozioni, ai ricordi. Danno soddisfazione, convincendoci di essere parte di quelle vite che vediamo nello schermo e che altrimenti avremmo perso molto tempo fa.

Questo il lato buono, per me, dei social. Buono… discretamente buono, almeno fino a quando non prende il sopravvendo sull’altra “piazza”, quella fuori dalla porta. Questo è il “condivido, dunque sono” di cui parlavo in un altro post. Od il controllo compulsivo delle notifiche, l’aggiornamento costante del proprio status.
Il bisogno di trasferire il proprio vissuto sul web.
C’è solo la strada“, cantava Gaber. Bhè, qualcuno se l’è bella e dimenticata.

Ricordo che tempo addietro andava molto di moda “Second Life“: io ce l’avevo a morte con “Second Life“. Arrivai a teorizzare che assieme ai social network fosse l’equivalente telematico dell’alienazione marxiana. E in qualche modo ne sono ancora convinto.
Perché nei social creiamo un’immagine “idealizzata” di noi stessi, una “beautiful life” corrispondente all’idea che vogliamo diffondere (e, diciamocelo, quasi nessuno diffonde l’idea di sé stesso che bestemmia la mattina alle 6:30 in tangenziale). La stessa idea di “like” risponde a questo modello.

La rete è assertiva ed autoreferenziale” diceva l’altra sera un signore. Un vecchio signore, che probabilmente ce l’ha a morte con un medium che non padroneggia. Ma diceva una cosa vera.
Intanto, se non sei su facebook “non esisti” (poverino), come diceva Caterina Guzzanti. La vita diventa il tweet di quello che hai mangiato a pranzo, di come l’hai digerito e di come ti scazza essere al lavoro (e ci si dimentica volentieri di una certa netiquette per i social).
Poi, mai e poi mai mettersi a fare l’ “asociale” (o asocial): mai commentare in modo negativo, caustico, sprezzante, critico. L’esempio migliore che ricordi è di un’ex compagna di liceo: pubblicò una campagna francamente demenziale ‘se noi togliamo il crocifisso, tu ti togli il burqa’ e non mi trattenni dal rispondere domandando dove mai aveva visto un burqa in Italia… Poche ore dopo non la trovai più fra gli “amici”. Ovviamente, non ne sento la mancanza.
Infine, il tempo. Comprendiamo tutti che il tempo nei social non è il tempo nella real life: tramite i social network, abbiamo a disposizione un flusso ininterrotto di informazioni sulle persone che ci interessano. Potenzialmente, dalla nascita a trenta secondi fa (e se non hanno postato nulla negli ultimi trenta secondi, probabilmente sono mooooorti!!). Perfetto per gli stalker, verrebbe da dire. O per una generazione che, come scrisse Baricco, oggi respira con delle “branchie”.

Così, trovo assolutamente coerente detestare i google glass che temo infesteranno a breve la nostra esistenza. Ma forse, sono solo l’ennesimo passo verso le branchie.
No, la vita è altrove.