Il destino dei traditori
Se avessi avuto davvero gli attributi avrei seguito il cuore e mi sarei iscritto alla facoltà di storia. Come tutti i coglioni che si rispettano a volte metto la testa dove non dovrebbe stare, diventando un esemplare magnifico di “Dick Head” e così ho finito per scegliere altro. La storia rimane ancora oggi il grande amore/cruccio della mia vita. Vabbè, diciamo uno dei tanti. Comunque, quando anni fa lessi “Q” dei Luther Blisset (gli attuali Wu Ming), in preda a una specie di delirium tremens, mi convinsi che avrei potuto/dovuto fare anche io qualcosa di simile. Se non proprio un romanzo, quanto meno un racconto.
Sull’onda emotiva scrissi allora “Il destino dei traditori” e lo mandai a un paio di concorsi letterari (a quel tempo credevo ancora che valesse la pena parteciparvi). Il risultato fu che non piacque a nessuno. Nessuna menzione, nessuna citazione speciale, men che meno nessuna proposta di pubblicazione. Nessuno che mi dicesse datti all’ippica, nessuno che suggerisse come migliorarlo. Niente vuol dire niente. Come se non l’avessi scritto.
Mi convinsi di aver presentato una gran boiata e che avrei dovuto lasciar perdere , archiviai il file da qualche parte e mi dedicai ad altro.
Facendo pulizia sul disco fisso del computer, per caso oggi l’ho ritrovato e, rileggendolo, mi è capitato di non provare il disgusto che a volte mi assale quando rileggo qualcosa che ho scritto in passato. Quel senso di disagio che spesso mi fa dire “ma te guarda che popò di troiaio ho partorito!”. E così ho deciso che, ma chi se ne frega, lo metto sul web a disposizione di chiunque ami il genere in questione, con la sola avvertenza che, se qualora qualcuno lo trovasse decente, ciò sarebbe la prova provata di quanto non ci capisca niente di letteratura.
Quindi le stroncature are very welcomed…
(P.S.: Ogni regalo chiama regalo…)
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Il destino dei traditori
Si era fermato davanti alla porta ansimando. Mentre attendeva che qualcuno venisse ad aprirgli, gli tornarono in mente le immagini del giorno più glorioso della sua vita. Tredici arroganti cavalieri francesi lanciati al galoppo, convinti di aver di fronte dei miserabili codardi italiani che, nel nome dell’orgoglio, li avevano sfidati per dimostrare a tutti di che cosa fossero invece capaci gli uomini nati nello stivale d’Europa. Ricordò la loro prima carica e di come lui e tutti i suoi compagni rimasero fermi con le lance abbassate, per mostrare a Guy de la Motte il significato che ha per un italiano la parola “coraggio”. E anche il frastuono assordante del rumore dei cavalli, mentre da austro spirava un vento fortissimo, sollevante nugoli di polvere che finivano sui loro visi che già avevano in faccia il sole. E poi solo, urla e polvere e sangue, mescolati assieme.
« Prego, accomodati»
L’uscio si era aperto all’improvviso. Un saluto frettoloso e l’uomo entrò sedendosi sulla prima sedia che trovò.
«L’ho visto. C’è anche lui»
«E’ impossibile, lo sai bene» rispose il padrone di casa cercando di non mostrare i dolori che lo stavano affliggendo.
«Per l’amor del cielo Domenico, per chi mi hai preso? Ti dico che l’ho visto»
Anche Domenico de’ Marenghi, che tutti i soldati di ventura conoscevano con il nomignolo di Riccio da Parma, era stato tra i tredici cavalieri italiani che diciotto anni prima avevano difeso l’onore della loro Patria. Dopo quel memorabile giorno del 1503 era ritornato a vivere nella sua Parma, che aveva appena contribuito a difendere dall’assedio delle armate veneziane e francesi dove, tanto per cambiare, si era di nuovo distinto combattendo eroicamente al Bastione della Stradella. Per il valore mostrato il governatore papale, Francesco Guicciardini, lo aveva persino ricompensato con un generoso vitalizio. Durante i giorni dell’assedio, il destino aveva deciso che si ritrovasse accanto il siciliano Francesco Salamone, che aveva combattuto al suo fianco a Barletta, nella disfida di cui tutti oramai parlavano. Questi si era arruolato, qualche tempo prima, nelle armate del papato e, quando qualche mese prima il pontefice aveva annesso Parma, vi ci era entrato al seguito delle truppe pontificie. Quella sera era proprio Salamone a esser andato a cercare Riccio nei suoi alloggi, dove si era confinato a causa di una brutta febbre che lasciava presagire novità nefaste. Nella bassa padana era scoppiata, infatti, un’orribile epidemia di peste, che era poi stata uno dei motivi della cessazione dell’assedio e già si temeva il contagio in città. Quando il siciliano gli disse cosa aveva visto, Riccio non volle crederci. Conosceva l’amico come un buontempone che amava, oltre che le belle donne, anche irridere le persone e per un attimo aveva creduto che cercasse solo di prendersi gioco di lui. Tuttavia lo sguardo dipinto sul suo volto, mentre egli continuava a incalzarlo di domande, gli fecero capire che questa volta non stava affatto scherzando.
«Ho visto con i miei occhi ti dico. Uno dei francesi catturati aveva tirato fuori questa storia parlandone dentro il carcere. Il mio scudiero l’ha saputo e sono andato personalmente a parlarci con quel cavaliere. E mi ha confermato tutto. Sono montato allora a cavallo, spiando l’armata di Francesco I in ritirata e l’ho visto.»
«Come hai fatto a trovarlo?»
«Sapevo dove cercare. Il prigioniero aveva parlato della cavalleria posta in retroguardia.»
«Magari è uno che gli somiglia.»
«Credimi è lui.»
«Mio Dio, non può farla franca. Non di nuovo. Lo dobbiamo al capitano»
«E’ per questo che sono qua.»
«Vado a sellare il cavallo. Fatti servire un pasto caldo da mia moglie mentre aspetti. Stanotte chiuderemo il conto» disse alzandosi dalla sedia. Chiamò Andriola de Lucanis, la donna che aveva sposato in seconde nozze e la informò di quanto stava succedendo, pregandola di rifocillare il suo amico. Lei ascoltò in silenzio, poi abbassò la testa in segno di rispetto, evitando di ricordare all’uomo che divideva il letto con lei che avevano ancora quattro figlie da sposare che non avrebbero avuto alcuna dote se lui fosse morto prima. Del resto sapeva bene che qualunque cosa avesse potuto dire, niente avrebbe fatto cambiare idea al marito. L’uomo che Francesco Salamone aveva visto era l’essere più odiato da chiunque avesse a cuore una terra divisa in cento piccole parti ma che, in segreto, ambiva ritornare a essere considerata una Patria. Di tutti i tradimenti infatti, quello più infamante è il rinnegare le proprie origini e Claudio Graiano D’Asti, il 13 febbraio del 1503, aveva deciso di compiere il peggior vituperio. Quando Guy de la Motte, dopo aver contestato il valore dei combattenti italiani accusandoli di codardia, accettò di risolvere la disputa con un duello e costruì la “squadra” francese, inserì anche lui nella lista dei tredici cavalieri con il nome di Claude Grajan d’Aste.
«Signor mio, proprio adesso che gli assedianti sono stati obbligati ad andarsene, siete sicuri di volerli inseguire?» chiese Andriola con voce sommessa a Salamone mentre gli portava la zuppa avanzata dalla cena.
«Non inseguiamo i francesi, inseguiamo solo un uomo» rispose Francesco cercando di minimizzare.
«Voi cercate il passato ma io guardo al futuro»
«Non possiamo averne uno se non mettiamo ordine in ciò che è stato»
«Che ordine potrà mai essere trovato nell’andare a sfidare un uomo per una storia di vent’anni fa? Ho un brutto presentimento signore. Vi prego lasciate che mio marito non vi segua in questa avventura stavolta. Sapete anche che ha la febbre molto alta.» supplicò Andriola.
«Vostro marito è un valoroso che non deve temere alcunché»
«Lui, infatti, è come voi dite. Ma io so che il valore non si dimostra solo nel combattere i propri nemici con la spada in mano. A volte lo si può fare anche facendo il contrario»
«Signora, non insultate la grandezza dell’uomo che Dio vi ha voluto dare in dono, con paure che non sono degne di lui»
«Cos’avrà mai fatto colui che cercate di così grave, tanto da obbligarvi a fargliene rendere conto adesso a distanza di tanto tempo?»
Non avendo alcuna risposta a quella domanda la donna disse ad alta voce, come tra sé e sé: «Solo una scelta di campo diversa dalla vostra.»
Francesco Salamone si alzò risentito a quelle parole.
«Non dirò nulla a Domenico della bestemmia che avete appena detto pronunciato, solo perché so che essa è dovuta al timore ingiustificato che avete di perderlo. Il tradimento però, è una scelta di campo, come l’avete appena chiamata, che si paga con la vita.»
La donna tacque. Aveva compreso l’inutilità di ciò che stava facendo, ma il soldato di ventura invece aveva ancora voglia di parlare:
«Graiano, il piemontese, davanti al nostro capitano Ettore Fieramosca, che gli chiedeva spiegazioni della scelta di combattere con i francesi contro l’onore degli italiani, disse che aveva in tasca gl’Italiani, l’Italia e chi le vuol bene. Serviva chi lo pagava lui, e dov’era il pane per lui era la Patria»
In quel momento rientrò in casa Riccio e non ci mise molto a capire ciò che stava succedendo. Diede uno sguardo torvo alla moglie, poi rivolgendosi all’amico disse:
«Adesso ti metti a discutere con le donne su cosa è giusto o non è giusto fare?»
Questa volta fu il siciliano a tacere. Riccio si avvicinò alla donna e la prese tra le braccia e le intimò di essere forte come il momento richiedeva. Poi aggiunse:
«Gli uomini d’onore sanno benissimo che la pazienza è la dea delle anticamere. Ora finalmente è arrivato il momento in cui ella ci ricompensa. E noi crediamo che l’onore sia ancora qualcosa per cui valga la pena di vivere. E quindi di morire.»
Quello che intendeva dire Domenico de’ Marenghi era che, Claudio Graiano, dopo che i francesi ebbero perso la disfida, una volta liberato con il pagamento del riscatto di cento ducati d’oro, era praticamente scomparso e non se ne era saputo più nulla. Non prima però di essersi fatto ancora beffa degli avversari. Era infatti andato in giro a raccontare che fu solo la sfortuna a decidere l’esito della tenzone di Barletta, accusando i cavalieri italiani anche di aver utilizzato trucchi non ammessi, come l’aver in modo deliberato allargato il campo di gara. Raccontò inoltre che Riccio da Parma, che lo aveva ferito in modo grave in combattimento, non aveva avuto il coraggio di affrontarlo ad armi pari, ma solo dopo che era stato disarcionato e aveva perso la spada e il suo elmo, perché altrimenti non ne avrebbe avuto il fegato. Che fine avesse fatto il piemontese che si era venduto la Patria per qualche denaro, era stato oggetto di molte discussioni. Alcuni dissero che era morto a causa delle ferite ricevute, altri che era andato a cercare fortuna nelle terre lontane del nord Europa. E quando nessuno sperava più di ritrovarselo di fronte, la dea della pazienza aveva finalmente fatto il suo regalo. Lui era là, a pochi chilometri di distanza dall’uomo che aveva infamato in modo ignobile, restandone impunito. I due amici si tirarono il cappuccio sugli occhi e chiusi nei loro mantelli, uscirono di casa. Quando Domenico montò su Barbera, il suo cavallo preferito, ebbe l’impressione che fosse più bello e veloce del solito. Lo aveva sellato alla maniera dei lunghi viaggi perché Riccio aveva ben chiaro che non sarebbe mai tornato indietro finché non avesse affrontato di nuovo Graiano.
«Come pensi che potremmo incontrarlo senza essere massacrati dai francesi?» chiese a Salamona che gli cavalcava accanto. In un barlume di lucidità, infatti, si era reso conto che raggiungere l’obiettivo prefissato non era però così semplice come gli era parso in un primo momento.
«Ho pensato anche a questo» sibilò il compagno «Fidati di me e seguimi»
In poco meno di mezz’ora arrivarono alle prigioni di Santa Maria, dov’erano stati ammassati i prigionieri catturati nei giorni precedenti. Scesero e, una volta dentro, si fecero largo tra i carcerieri in cerca di Messer Masuccio, il borgomastro responsabile. Non riuscirono a trovarlo nei suoi alloggi, poiché stava festeggiando la vittoria con la gran parte della cittadinanza. Uscirono dalle segrete e furono attorniati da soldati visibilmente alticci che, avendoli riconosciuti, cominciarono a innalzare lodi ai loro nomi. Cercarono di schernirsi come poterono e, a uno di quelli che sembrava meno ubriaco, chiesero dove avrebbero potuto trovare il borgomastro. Quando l’uomo gli disse che quella sera sarebbe stato impossibile trovar qualcuno, fu loro chiaro che non avevano il tempo di ottenere le autorizzazioni di cui necessitavano. Rientrarono dentro il carcere e si diressero verso la cella del francese e una volta raggiunta, Riccio intimò ad una delle guardie di aprirla. Il giovane, non aveva più di quindici anni ma cercò lo stesso di opporre resistenza. Una lama puntatagli al collo dal soldato di ventura siciliano lo convinse ad assecondare le sue richieste. Quando si aprì la porta, trovarono il soldato sdraiato sul pagliericcio, che li guardò per un attimo stupito, riconoscendo però la figura imponente di Francesco Salamone. Il francese presentava evidenti ecchimosi sul viso e sangue sui vestiti, che erano là a testimoniare di come avesse cercato strenuamente di difendersi prima d’esser catturato. Con lentezza, appoggiò i gomiti per terra e poi si rimise in posizione eretta.
«L’ha visto, non è così?» disse in un buon italiano appena scalfito dall’accento transalpino.
«Ho un affare da proporle e ha tempo due minuti per decidere.» disse Salamone
«So già di cosa si tratta. Accetto» rispose prontamente il soldato. Poi si voltò verso l’altro e aggiunse «Lei dev’essere quello che tutti chiamano Riccio da Parma»
«E’ sveglio. E lei invece come si chiama?» rispose il parmigiano.
«Francois de Puyol, sono un cavaliere e in quanto tale riconosco il diritto dei miei pari, qualunque nazionalità abbiano e non amo, allo stesso modo in cui non li amate voi, né i tradimenti né le viltà»
«E perché? Non state forse per farne uno adesso, vendendo un vostro pari per avere in cambio la libertà?» chiese sarcasticamente Riccio.
«Noi, messere, siamo cavalieri della disperazione. Imperatori della sconfitta. L’arte della guerra non è vincere, ma riconoscere la bellezza di un tentativo fallito. Noi abbiamo perso la disfida vent’anni fa a Barletta, ma è inaccettabile che venga sporcato quel tentativo da qualcuno che non mostra onore, non riconoscendo il successo dell’altro.»
«Poche chiacchere. Abbiamo bisogno che lei faccia uscire Graiano dal resto dell’armata al resto penseremo noi. E deve farlo subito» disse Salamone.
«Farò di più signore. Io farò in modo che egli venga con alcuni nostri compagni d’arme in un luogo che voi mi indicherete e posso garantirvi che io e gli altri che lo accompagneranno garantiremo un duello leale e equo. Perché questo volete o mi sbaglio?»
«Sapete parlar bene, cavaliere, ma non mi sono mai fidato di quelli come voi» fece Riccio.
«Come avete intenzione di fare?» chiese invece il siciliano.
«Manderò un messo a mio cugino, il duca di Ligny, dicendogli semplicemente la verità. Che voi cioè, volete scambiare me, con la possibilità di sfidare a duello Grajan d’Aste. Il vostro “amico” non ha tantissimi ammiratori neanche tra le nostre fila, non sarà difficile da organizzare la cosa.»
«Francesco, io non mi fido di quest’uomo. Lui ha messo volutamente in giro la voce della presenza di Graiano perché sapeva che noi due eravamo qua a difesa dei bastioni e che saremmo stati incuriositi da questa sua diceria. Ci sta prendendo per il naso e ci tirerà un’imboscata. Graiano è già morto. Non è qua»
«Ti dico che l’ho visto. L’ho visto con i miei occhi»
«No Francesco, tu hai visto qualcuno che gli assomigliava. Da lontano e con il monocolo è possibile sbagliarsi e questo francese lo sapeva.»
«Vi dò la mia parola d’onore che Graiano d’Asti è nell’armata che sta lasciando l’assedio della vostra città, signore.»
«E io non credo alla sua parola, “signore”. Andiamo Francesco. E’ finita.» disse Riccio e vide che dentro gli occhi dell’amico adesso si era insinuata la possibilità che egli avesse ragione.
«Aspetti» urlò il francese «Grajan ha una voglia a forma di pesca sull’avambraccio destro»
«Questo lo sanno tutti coloro che l’hanno incontrato, non significa però che sia ancora vivo e che soprattutto sia qua a Parma adesso» fece Riccio uscendo dalla porta.
«Lui però a me ha detto che lei ne ha una simile sul suo. E poiché io non l’ho mai incontrata prima e che vent’anni fa ero ancora in Francia, non può che avermelo detto lui.»
Domenico de’ Marenghi, si voltò di scatto, torno sui suoi passi e lo prese per il bavero
«E cos’altro ti ha detto quel bastardo?» gli chiese quasi sputandogli in faccia, mentre l’altro cercava di trattenerlo.
«Molte cose alle quali non ho dato peso. So riconoscere gli uomini d’onore, i veri cavalieri e Grajan non lo è di sicuro.»
Riccio mollò la presa e rimase là a guardarlo, indeciso se credere alle parole di un nemico vinto che aveva tutto l’interesse a raccontargli una bella storia inventata. Francesco Salamone invece non aveva più alcun dubbio al riguardo.
«Non abbiamo molto tempo. Scriva una lettera a suo cugino e ci dica come rintracciarlo. La daremo in mano a un ragazzo veloce e svelto che la consegnerà prima che siano troppo lontani. Gli dica che ci dovrà raggiungere domani mattina all’alba, sulla piana di Soragna, vicino alla chiesa sconsacrata. E’ facile riconoscerla, non avrà difficoltà. Scriva che dovrà venire con solo due soldati e che lei sarà nostro ostaggio.»
«Farò di più signore » rispose Francois de Puyol in modo che parve a tutti sincero «gli scriverò che se non farà quanto chiedete, mi dichiarerò vostro servo per la vita e rifiuterò di essere rilasciato dietro riscatto come d’uso»
Salamone gli passò un foglio di carta e un pennino con cui vergare, dell’inchiostro e anche un piano di legno che nel frattempo Riccio si era procurato al corpo di guardia in modo che potesse scrivere con più facilità. Come il prigioniero restituì la lettera, Riccio la lesse e, mentre Salamone provvedeva a sigillarla con la ceralacca riscaldata e fusa sulla carta, chiese:
«Ho letto tutto quanto avete scritto. Ci state mettendo più zelo di quanto ne servirebbe. Perchè?»
«Voglio riacquistare la mia libertà s’intende, ma voglio anche che la dignità e la rispettabilità di noi francesi sia salva e non infangata da persone come Grajant. Io mi vanto di essere stato un allievo del Baiardo, il più grande cavaliere del mondo. Lui mi ha insegnato cosa è giusto e cosa è sbagliato. E quello che Grajant ha fatto e detto è sbagliato quindi preparatevi a incontrarlo di nuovo, signore. Mio cugino in un modo o nell’altro lo porterà a quella chiesa. Poi sarà di nuovo solo una questione d’onore tra voi due»
«Non chiedo di meglio» mormorò Riccio.
«Adesso riposate cavaliere» disse Salamone «tra qualche ora verremo a prendervi e se le cose andranno come avete promesso sarete libero.»
Come presero congedo dal prigioniero i due soldati cercarono di raccogliere le autorizzazioni per ottenere la consegna dell’uomo che avevano interrogato. Un conto, infatti, era forzare per ottenere un colloquio dentro il carcere, altra cosa far uscire il prigioniero dalle segrete. Sapevano bene che non sarebbe stato affatto semplice ottenere il salvacondotto. Un cavaliere come de Puyol valeva molti ducati d’oro di riscatto e nessuno si sarebbe voluto privare di quella somma. Le cose erano anche complicate dalla festa per la vittoria in corso e trovare qualcuno che avesse il potere di decidere si rilevò compito molto difficile. Così, dopo aver tentato inutilmente di nuovo di trovare il borgomastro e dopo che il comandante Aloisio Gonzaga, che avevano rintracciato e interrotto mentre stava per accoppiarsi con due mercenarie, sostenne, forse per ripicca, che non spettava a lui tale scelta, si recarono direttamente a casa del commissario papale e governatore apostolico che reggeva la città.
Francesco Guicciardini, aveva preso qualche mese prima possesso di Parma, in nome di Leone X e, con la saggezza della malinconia, aveva posto freno a ogni discordia interna ai vari clan della città ed era stato il vero artefice di quella vittoria sugli eserciti francese e veneziano adesso in fuga. Aveva organizzato una resistenza da grande stratega, ma soprattutto aveva convinto la popolazione a soffocare la paura e a correre in difesa della loro libertà. Per questo godeva di grande rispetto tra tutti gli abitanti. Quando il suo attendente gli riferì che i due soldati avevano chiesto di parlar con lui, egli non trovò nessuna scusa, come avrebbe potuto, per evitarli. Ascoltò con molta attenzione tutta la loro storia, ma quando questi gli chiesero il lasciapassare per poter liberare Francois de Puyol, mostrò dei turbamenti. Disse che la vendetta non è degli uomini e che comunque i soldi del riscatto sarebbero serviti molto di più di essa. I due soldati provarono ad argomentare qualcosa, tuttavia, non avendo l’eloquio di Guicciardini, a questi fu facile smontare i loro discorsi. Quando Riccio alzandosi con sdegno fece per andarsene, urlandogli che se per lui l’onore non valeva cento miserabili pezzi d’oro forse non era la persona giusta per governare, ebbe però un ripensamento. Si alzò e cominciò ad andare su e giù per la stanza in silenzio.
«Voi.. voi osate parlare a questo modo a me…» disse sdegnato.
I due soldati non risposero. Il silenzio ferì ancora di più il Guicciardini.
«Voi non capite. Voi pensate in modo semplice quando occorre farlo in maniera obliqua…. Voi…» non riusciva a terminare le frasi.
Di nuovo nessuno gli rispose. Continuò a muoversi come un ossesso, poi si avvicinò alla sua scrivania e vergò qualcosa su una pergamena e disse:
«Ecco. Tenete. E adesso andate via prima che io cambi idea.»
I due uomini non si lasciarono pregare e corsero alfine alla prigione, consegnarono il documento che erano riusciti a ottenere all’ufficiale preposto e, dopo poco tempo, gli fu portato il prigioniero francese. Francesco Salamone si fece dare anche un cavallo dagli uomini del corpo di guardia, pagandolo più di quanto fosse il suo reale valore perché non c’era a quel punto più tempo da perdere. Quando uscirono dalla città per dirigersi a Soragna si ritrovarono ognuno con i propri pensieri e nessuno proferì parola su quello che tutti sapevano sarebbe successo di là a poche ore. Arrivati alla Chiesa sconsacrata, non dovettero attendere molto tempo prima di sentire il rumore di cavalli provenienti da ovest, dove si stavano dirigendo le armate che avevano cinto di assedio Parma. Si sporsero per vedere meglio e intravidero quattro soldati francesi. Il ragazzo che Salamone aveva spedito per consegnare la missiva doveva aver raggiunto il cugino di de Puyol per tempo e questi era stato molto efficiente nell’organizzare quanto gli era stato chiesto. I due italiani uscirono allo scoperto e fecero in modo di attrarre l’attenzione dei quattro uomini a cavallo che in breve tempo gli furono davanti. Quello che era agghindato con i segni di comando si tolse l’elmo e si guardò attorno e scorse poco più in là il parente liberato poche ore prima dalla prigione parmense che gli sorrise, salutandolo con un cenno:
«Sono stato di parola e vedo che lo siete stati anche voi.» poi si rivolse alla sua destra e disse «Monsieur Grajant, vi avevo detto prima di partire che saremmo andati a prenderci un bottino importante.» fece una pausa poi aggiunse «Io l’ho appena conquistato, riavendo con me il caro cugino Francois de Puyol. Lei potrà averlo, riconquistando, sul campo, il suo onore e la sua dignità di cavaliere. Adesso non è più affar mio» poi salutò i due italiani e scese di sella imitato dai due soldati che gli coprivano le spalle e se ne andò ad abbracciare il parente.
Il piemontese, che aveva una bella armatura a strisce dorate sull’acciaio brunito, si alzò l’elmo e riconobbe i due uomini che gli si pararono di fronte e con un sorriso sarcastico disse:
«Chi non muore si rivede.»
«Mi spiace non avervi potuto mandare l’invito personalmente, ma avevamo sentore che avreste rinunciato a venire» gli rispose Riccio.
«Che volete» rispose Graiano «il duca di Ligny non ha pensato di avvertirmi per tempo altrimenti vi avrei portato qualche dono in ricordò dei bei tempi andati. Ma lasciatemi dire che non mi sembra che ve la stiate passando troppo bene. Sembra che abbiate una febbre altissima. Siete forse malato?» e una risata stridula accompagnò le sue parole.
«Non abbastanza per non chiedervi di scendere da cavallo e finire ciò che vent’anni fa avevamo cominciato a Barletta.»
Graiano d’Asti si voltò verso gli uomini che lo avevano portato fin là come per chiedere spiegazioni, ma dal loro silenzio comprese che non avrebbe avuto alcun aiuto. Si guardò attorno e vide che Francesco Salamone e Francois de Puyol gli bloccavano ogni via di fuga, non poteva non accettare la sfida. Scese lentamente dal suo baio e mentre si preparava disse:
«Ho saputo che il vostro prode capitano, Ettore Fieramosca, è crepato qualche anno fa in Spagna mentre cercava di mendicare quanto dai loro governatori gli era stato promesso, dato e poi tolto»
«Io ho saputo invece che siete andato a dire a tutti che io sarei stato un vigliacco e che vi avrei attaccato solo quando eravate disarmato. Non solo avete tradito la vostra Patria ma anche l’onore di chi svolge la nostra professione e oggi pagherete per questo.. Prendete pure le armi migliori, attenderò fintato che non vi sentirete pronto prima di uccidervi»
«Quel che vi hanno detto non è del tutto vero. La disfida di Barletta è diventata tanto famosa tra le genti quanto poco conosciuta sul come si sono svolti i fatti. Ed è possibile che ciò che vi abbiano riferito non sia quanto io ho mai detto di voi.»
«Io invece credo che l’abbiate fatto. Siete quel tipo d’uomo. Lo eravate allora e lo siete adesso. Solo un traditore.»
«Voi pensate che aver vinto a Barletta abbia portato qualche giovamento alla causa italiana? Poveri stolti. Gli unici a trarne giovamento sono stati gli spagnoli.»
«Basta chiacchere adesso. Le armi da fuoco adesso falciano i combattenti senza distinzione di grado o bravura. Noi qua stasera mostreremo invece come si combatteva una volta. In guardia Graiano.»
Il suo avversario con la spada in alto parò il primo colpo di Riccio, poi si gettò con il capo basso addosso al parmigiano. La maglia di ferro attutì un fendente che sarebbe stato altrimenti fatale. Riccio allora riprese vigore e si lanciò di nuovo contro il piemontese e lo sforzo che fece gli gonfiò i muscoli delle sue gambe, ma anche quelli del collo e il sangue gli affluì alla testa facendolo diventare completamente rosso. Sferrò una serie di colpi che ferirono Graiano che, anche se per un attimo sembrò poter resistere, alla fine piegò le gambe e Riccio gli fu sopra come un antico gladiatore romano.
«Togliietevi l’elmo» gli disse «voglio vedervi in volto mentre vi uccido» Graiano se lo sfilò e poi rispose.
«Siete stato molto abile e coraggioso. Avete avuto il vostro premio, non serve che mi uccidiate»
«Avete vissuto troppo a lungo da quel giorno. Dovevate crepare a Barletta.»
«Forse è come dite. Ma adesso che senso ha? Vi porterebbe qualche gloria ammazzarmi di fronte a pochi intimi qua in questa piana? Nessuno lo saprebbe mai.»
«Io lo saprei e mi basterebbe.»
«Non converrebbe invece che io rendessi testimonianza dei fatti di quel giorno a Barletta in modo che tutti sappiano la verità?»
«Siete un verme. Mendicate per aver salva la vita, nessun cavaliere lo farebbe. Siete talmente vigliacco che persino vostra madre vi sconfesserebbe.» fece Riccio. Poi guardò i soldati francesi senza odio e aggiunse «Vi regalo la vita che chiedete in onore del nostro capitano che l’ha perduta. Mi fate pena e schifo. Adesso i vostri compagni d’arme potranno dire che vivete solo grazie alla mia pietà»
Detto questo si voltò e fece per andarsene. Graiano si alzò con una lena che poco prima non si sarebbe detta e mentre Domenico de’ Marenghi gli dava le spalle lo colpì a morte staccandogli un pezzo di testa. Francesco Salamone corse verso l’amico agonizzante.
«Ti faccio ancora pena Riccio?» gli urlò Graiano mentre il sangue usciva copioso dalla gola di Domenico «riesci a sentirmi Riccio? sono quello che ti ha mandato al Creatore…»
Non riuscì però a finire la frase che una spada gli entrò nel costato, passando dalle feritoie dell’armatura che si era nel frattempo slacciato, spegnendo la luce dei suoi occhi.
Francois de Puyol aveva appena vendicato l’uomo che aveva combattuto contro i francesi nella piana di Barletta.
Riccio non disse più una parola e morì tra le braccia dell’amico. D’accordo con il duca di Ligny si decise di non proferir parola di quello che era capitato quella mattina davanti alla chiesa sconsacrata. Nessuno doveva sapere che Domenico de’ Marenghi era stato ucciso a tradimento da un vigliacco che aveva addosso le mostrine francesi. Francesco Salamone lo riportò a casa dalla moglie dai cui occhi non uscì una lacrima né un inutile rammarico. Fu concordato di far sapere in giro che Riccio da Parma era morto a causa della peste che stava perseguitando la pianura parmense. Francesco Guicciardini, che seppe la verità, fece in modo che fosse la città a donare la dote nuziale alle figlie ancora da maritare.
Le ossa di Graiano furono seppellite in un luogo che non fu mai rivelato perché il destino di un traditore è quello di essere dimenticato da tutti.
Ok…..allora si vede che non ci capisco proprio un tubo di letteratura perchè non è che l’ho trovato decente…..ma l’ho letto d’un fiato perchè mi è proprio piaciuto! 😉
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Ancora non l’ho letto, sinceramente, però, il ‘like’, è per il fatto di rivederti online. Welcome back.
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Ho trovato il tempo per leggerlo, non è il tuo solito scrivere … ma devo dire che mi ha appassionato…io proverei ad inviarlo. Hai visto mai…
bentornato
ciao
.marta
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ODDIO MASTY SEI TUUUU!!! SEI QUI!!! CHE BELLO, ORA LEGGO *_*
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bello, veramente bello! è difficilissimo scrivere un racconto storico, e non tutti sanno leggerlo, o capirlo, bravo! ❤
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masty, ora non riesco a leggere. però mi accodo al ‘like’ di r. e poi leggo con calma.
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