Pillole di giustizia: controllo elettronico della velocità
Come probabilmente molti di voi, sono da poco tornato dalle comandate ferie d’agosto, dai kilometri d’autostrada, dalle code ai caselli e dal duello quotidiano con i limiti di velocità.
Duello tendenzialmente perso in partenza, dai limiti.
Come probabilmente molti di voi, ho vissuto le mie ore alla guida per le svariate strade del nostro paese in un mix allucinogeno di velocità futurista e di terrore per le sorti della mia patente. Perché un mostro si aggira per le nostre strade: gli autovelox.
Gli autovelox potrebbero esser presi a specchio della società italiana, della sua concenzione del traffico automobilistico e del rispetto delle regole.
Per quanto estremamente fastidiosi all’autista che voglia “correre” in libertà come nelle grandi praterie, gli autovelox svolgono persino una funzione sociale importante: assicurare il rispetto delle regole e la sanzione di eventuali infrazioni.
Ripeto: sono effettivamente una gran seccatura. Ma sono pur sempre uno strumento di controllo sociale.
O forse proprio per questo sono una seccatura.
Ma sarebbero una seccatura accettabile (o, almeno, io la considererei accettabile) se fossero onesti.
In realtà, chiunque abbia guidato un pò in Italia sa che non è esattamente così.
Perché la normativa nazionale ne impone la “presegnalazione […] sia per quelli fissi che per quelli mobili“. Il che, detto così, parrebbe pure un’ottima cosa: un doveroso preavviso per tutti gli automobilisti (o, in alternativa, sa anche di presa in giro: “so che ti dovrei mettere la multa, ma ti offro un’ultima possibilità per evitarla, rallentano per un secondo”).
In realtà, già la normativa apre a qualche bizzaria: gli autovelox devono infatti essere presegnalati fra una distanza massima di 4 km ed una minima di 80 metri. Segnalazione ripetuta dopo ogni intersezione stradale.
Insomma, oltre a lasciare una discrezionalità impressionante per le distanze, l’obbligo di ripetizione da adito ad una pletora di segnalazioni cui quasi sempre non segue l’efettiva presenza del macchinario. Circostanza accentuata dal fatto che le amministrazioni locali ormai piazzano segnalazioni fisse anche per gli autovelox mobili (quelli delle pattuglie di polizia), che quindi molto spesso non sono presenti.
Insomma, nella prassi l’automobilista sa che dovrebbe esserci una correlazione fra segnalazione e dispositivo di controllo elettronico della velocità. Ma in realtà per lo più non ve n’è alcuna.
In termini di comportamento sociale, significa che non vi può essere alcuna reale aspettativa sulla presenza del dispositivo o meno in seguito alla segnalazione. Insomma, la segnalazione stessa perde qualsiasi senso. Questo perché la normativa letterale contraddice nei fatti la prassi, ovvero la norma intensa nel senso del’id quod plerumque accidit che secondo alcuni autori (quali Bruno Leoni) è il fondamento della norma giuridica. O, in termini luhmaniani, l’aspettativa cognitiva contraddice l’aspettativa normativa (p.10ss), ove la prima indica una disposizione ad adeguarci ai fatti che deludono le nostre attese, corregendo le nostre aspettative per il futuro, e la seconda una disposizione a mantenere le stesse fisse ed immutabili, perché collegate a conseguenze socio-giuridiche (scrive Luhmann: “il diritto stabilizza le aspettative normative rendendo più stabili le incertezze del futuro“).
Detto in termini pratici: vedendo il segnale “controllo elettronico della velocità“, noi sappiamo che probabilmente non seguirà un autovelox, ma siamo comunque costretti (fortemente spinti) ad adattarci all’indicazione del segnale.
Vi siamo costretti perché sappiamo che l’eventuale sanzione conseguente all’infrazione del limite potrebbe essere particolarmente grave (in termini economici, di punti della patente o persino della futura disponibilità della stessa).
Tutta questa lunga disamina mi serve ovviamente per un motivo ben preciso (oltre a quello, eventualmente, di suscitare qualche curiosità verso Luhmann e qualche concenzione del diritto): illustrare il paradossale (e deleterio) rapporto fra cittadini italiani e norme. O, che è lo stesso, fra Stato e cittadini.
Come diceva il mio professore di diritto penale “esistono fondamentalmente due modi di approcciare una politica penale: l’uno con pene altissime e pochi controlli, l’altro con pene miti e molti controlli“. Il secondo, per inciso, è quello di “certezza della pena” privilegiato già da Cesare Beccaria. Il primo, a contrario, si fonda sull’idea di una “pena esemplare”. Insomma, in un caso si vogliono scoraggiare comportamenti socialmente riprovevoli tramite le pene elevate, nel secondo tramite controlli frequenti (nello schema-rischio adottato dalle Nazioni Unite, stiamo giocando sulle variabili impact e probability: lesività dell’evento e probabilità che si realizzi -qui un esempio grafico).
Alla luce delle riflessioni citate, credo sia abbastanza facile comprendere quale sia il modello adottato nel nostro paese.
Giusto stamattina sentivo un esimio professore universitario lamentare che “siamo il Paese europeo con il minor numero di ispettori scolastici“. Certamente ognuno di noi potrebbe pensare, nel proprio ambito di riferimento, alla carenza endemica di controlli (dico il mio: gli ordini professionali rispetto al comportamento dei propri iscritti). E, specularmente, ognuno di noi è cosciente dell’importanza (spesso della sproporzione) delle sanzioni eventualmente communate per ogni infrazione nel proprio settore di riferimento.
Continuava il mio prof “il primo modello, è sostanzialmente quello adottato anche negli Stati Uniti: solo che lì i controlli [per quanto rari] li fanno davvero e se ti beccano -per esempio, a taroccare i bilanci come Enron- finisci veramente in carcere“. Lì.
In Italia, invece, i controlli sono rari, occasionali se non proprio casuali (gli autovelox annunciati che poi non ci sono). A questo, aggiungete i mille cavilli (processuali e non) per evitare comunque la sanzione.
La reazione sociale, quindi, non è tanto quella di doverosa apprensione e disincentivo dal commettere comportamenti riprovevoli, quanto semmai, un astio ed un’insofferenza da “proprio a me doveva toccare!” (seguiti, magari, dalla constatazione “ma a quello che [passava col rosso a 150 km/h non gli hanno fatto niente!“). Reazione che, ovviamente, non incentiva affatto al futuro rispetto delle norme.
Colonnine arancio (che pare siano inutilizzabili ai fini legali, se non presidiate da pattuglia) che lampeggiano minacciose lungo le strade di paese. Pannelli che indicano la velocità a cui stai viaggiando (altrettanto inutilizzabili) che vengono usati come Speed Trap dai ragazzotti, e chi fa segnare il valore più alto vince il premio “Felipe Massa di stocazzo”. Muoversi in auto qui significa fondamentalmente farsi venire la strizza per niente.
Sarà forse un caso che per vent’anni da queste parti ha riscosso enorme seguito il partito che più di tutti propagandava l’inasprimento delle pene, dal carcere per tutti alla castrazione chimica al tagliare le mani ai ladri alla pena di morte a pioggia, senza mai curarsi di applicare quelle già esistenti, spesso più che commisurate, e men che meno di ri-educare le persone ad un maggiore senso civico. Siamo fatti così, amiamo sentirci impauriti ma al tempo stesso reclamiamo il diritto ad essere liberi di infrangere le regole.
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sulle colonnine arancio non so dare una risposta precisa, ma generalemente parlando, ricordo esiste una distinzione fra gli “autovelox” automatici per i quali non serve la presenza di una pattuglia ed altri “velox” che possono esser anche fissi (dalle mie parti son blu) ma per i quali serve sia presente una pattuglia.
In sostanza, credo questi ultimi rappresentino delle postazioni privilegiate per i vecchi autovelox mobili.
Concordo totalmente col resto della risposta.
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Personalmente ho fatto un fioretto.
Prima di essere completamente deperito fisicamente e nello spirito mi munirò di una Louisville Slugger Warrior in alluminio anodizzato e sfogherò tutto l’accumulo di frustrazione di cui sopra su un numero indeterminato di colonnine.
Poi si vedrà.
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Immagina un paesino di mare con una strada di un paio di chilometri che lo delimita. La strada è larga ed “invita” alla velocità. E’ ricca di abitazioni e negozi ed e’ molto trafficata di auto e di pedoni che devono persino attraversarla per raggiungere la spiaggia. Il Comune piazza un velox fisso e lo segnala a grandi caratteri.In molti pensarono fosse finto o fosse spento in inverno e non fecero caso. Poi arrivarono le salatissime multe a casa. In due anni tutti capirono che quel comune non scherzava e che teneva all’incolumità dei suoi residenti. Ora sai come si comportano gli automobilisti su quella strada? da 80-100 di velocità, scendono bruscamente a 40, godendo del bel paesaggio marino, ma superati i 200 metri di raggio autovelox,riprendono di tavoletta.
Nessuna ri-educazione, solo fifa per le sanzioni. Li inforcherei!
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Conosco benissimo la situazione (quanto descrivi è pressoché identico ad un paesino dalle mie parti).
Ovviamente gli autovelox non servono a “rieducare” e se la fifa per le sanzioni aiutasse a tenere un comportamento più civile, mi starebbe pure bene.
Ovviamente non è così.
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Vero.
Pene altissime e pochi controlli : ci sarà sempre quella moltitudine di cittadini che penserà di farla franca.
Pene miti e molti controlli: i controllori (che brutto termine ho usato…) hanno un costo elevato e lo stato non può permetterseli. Se, poi, la pena è minima non scoraggia adeguatamente.
Educazione, senso civico e responsabilità: sono la vera base su cui lavorare. Sempre, in ogni dove e come.
Difficile, lo so, molto difficile.
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D’accordissmo, solo correggerei l’affermazione secondo cui “la pena minima non scoraggia adeguatamente”. Se la pena è ben calibrata e certa, ha il massimo effetto dissuasivo.
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Le pene, minime, massime, devono avere effetto dissuasivo sul colpevole per non persistere e su chi colpevole (ancora) non è. E’ uno dei cardini della Legislatura.
Andando in altri e ben più gravi campi della società odierna, tu sai cosa si dice oggi : “Ma tanto…poi dalla galera si esce subito!”
Ed è qui che crolla tutto.
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Ma senza dubbio.
E questo è quel che si chiama “certezza della pena”: se uno è condannato ad X anni, che stia in carcere per X anni. E, soprattutto, che si arrivi rapidamente ad una condanna (od assoluzione).
Quel che mi preme precisare è che, a livello sociale, si ottiene un effetto dissuasivo migliore con pene certe -seppur “basse”- che con pene altissime, ma incerte.
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Sì, penso pure io così.
Vado a chiudermi in cucina per evitare che “crolli” la casa. 🙂
Argomento molto interessante. Grazie per la discussione.
Ciao, buon pranzo.
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Non so se tu abbia mai avuto la (s)fortuna di subire il traffico della autostrade cinesi o indiane, ma ti assicuro che gli autovelox presenti in Italia sono ancora troppo pochi, diafani o meno.
Ti consiglio di prendere l’autobus per le prossime vacanze 🙂
Per quanto riguarda il rapporto tra le norme e gli italiani riporto un brano che ho sempre trovato illuminante:
“Mancavano nel Medioevo tutti quei sentimenti che hanno reso timido e oscillante il nostro concetto di giustizia: l’idea della semi-responsabilità, l’idea della fallibilità del giudice, la coscienza che la società è corresponsabile dei misfatti del singolo, la questione se non val meglio correggere il colpevole che farlo soffrire. O forse si dovrebbe dire: non mancava un oscuro sentimento di ciò, ma si concentrava, non espresso, in un immediato impulso di compassione e di perdono che, indipendentemente dalla colpa, improvvisamente interrompeva la crudele soddisfazione per il trionfo della giustizia. Laddove noi conosciamo delle pene ridotte o inflitte con esitanza e quasi con cattiva coscienza, la giustizia medievale non conosce che i due estremi: la piena misura di una pena crudele o la grazia.”
(da “Autunno del Medioevo”, di Johan Huizinga, BUR, pag. 27)
Ecco, lo zilione di leggi, ed il conseguentre trizilione di scappatoie, è, di per sé, cause della disaffezione degli italiani per qualsiasi tipo di regola, sempre più una cateno che non una tutela.
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azz… e meno male che non ho commentato dal telefono!
Riformulo:
“Ecco, lo zilione di leggi, ed il conseguentre trizilione di scappatoie, è, di per sé, causA della disaffezione degli italiani per qualsiasi tipo di regola, sempre più una catenA che non una tutela.”
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Ho sperimentato le “autostrade” di diversi paesi (Cambogia, Vietnam, Cile, Argentina, Uruguay, Tanzania, Kenya….) ma Cina ed India mi mancano.
Così come ho fatto moltissimi viaggi coi mezzi più disparati… insomma,l’autobus non mi manca (e per una volta volevo provare qualcosa di diverso).
Come certamente avrai capito, il mio problema non riguarda le “limitazioni” che gli autovelox impongo alla circolazione.
La citazione di Huizinga mi ricorda un passo di Gaber (da “Se fossi dio”): “se fossi Dio
rimpiangerei il furore antico / dove si odiava e poi si amava / e si ammazzava il nemico”.
Mi sento abbastanza d’accordo con la tua conclusione, anche se ovviamente la questione è complessa e riducendola ad un paio di righe si perde sicuramente qualche aspetto significativo.
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