Pillole di giustizia: del giudizio in Cassazione
Trovo oggi un nuovo post di bortocal con alcune importanti considerazioni sul processo a Berlusconi dinnanzi alla Corte di Cassazione.
In particolare, mi focalizzerò sulle parole di Beppe Grillo in merito al giudizio dinnanzi alle SS. CC.
Non riusciendo a trovare dal blog del mitico peppe il post o comunque le parole citate da bortocal che intendo valutare, le trarrò direttamente dal post del discutibile collega (il quale confido mi perdonerà di questa citazione non richiesta):
[….] la vera funzione della Corte di Cassazione, che i giornalisti presentano come se potesse esprimere giudizi di merito; l’unico che ha riportato la questione coi piedi per terra e nei suoi termini esatti è Beppe Grillo (forse perché anche lui se ne intende di persona):
Costituzione art. 111 c. 6: “Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge.”
(…) la Cassazione non giudica se il già condannato è colpevole o innocente, giudica se nel condannarlo i giudici hanno violato qualche disposizione di legge, tra le quali rientra che le motivazioni di una sentenza devono essere logiche e documentate, o se hanno agito in un quadro omogeneo nazionale di interpretazione del diritto:
così dice l’art. 65 della legge sull’ordinamento giudiziario: “La Corte suprema di Cassazione assicura l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni; regola i conflitti di competenza e di attribuzioni ed adempie gli altri compiti ad essa conferiti dalla legge“
non vi è nessuna possibilità di una assoluzione di merito nel processo, ma solo semmai la constatazione che nel processo ci sono dei vizi insanabili che lo rendono non conforme ad un giusto processo.
Il che è formalmente del tutto corretto. Ma non lo darei per così chiaro nella prassi. Anzi: non è neppure questione di teoria/prassi, quanto piuttosto di attribuire un esatto significato all’opera svolta dalla Corte di Cassazione.
Ammetto che io stesso sono rimasto colpito dalla fascinazione di questo ragionamento, la prima volta che lo sentii (per bocca di un giovane studentello di giurisprudenza), tuttavia, ad una sua più attenta analisi -ed anche di questo son grato a bortocal-, mi pare presentare alcune gravi imprecisioni.
In estrema sintesi, detta teoria vorrebbe che, non giudicando la Corte di Cassazione nel merito, i fatti accertati nelle precedenti fasi processuali “facciano stato” e siano immodificabili. Insomma, si sostiene che il giudicato sul fatto si forma già al termine del giudizio di merito ed esso sia pertanto immodificabile anche dalla stessa Cassazione.
In primo luogo occorre precisare che questa interpretazione è lacunosa rispetto ad un punto importante.
Infatti la Suprema Corte di Cassazione, anche per effetto di alcune riforme intervenute nei codici di procedura, può in alcuni casi giudicare anche sul merito (i fatti) e non attenersi esclusivamente alla legittimità. Trattasi di ipotesi certo limitate e remote, ma non da escludere, nelle quali la Corte ritenga possibile un giudizio di merito senza alcun bisogno di nuova attività istruttoria (ovvero, valutando sulla base delle prove già a disposizione) e finalizzato quindi ad evitare un giudizio di rinvio.
In secondo luogo, vi è l’ipotesi di cassazione della sentenza impugnata con conseguente rinvio ad altro giudice di pari grado. Nel conseguente giudizio di rinvio, il nuovo giudice dovrà applicare la massima di diritto come esplicata dalla Corte di Cassazione. Nel fare ciò, il giudice di rinvio avrà i medesimi poteri “che aveva il giudice la cui sentenza è stata annullata” (art. 627 c.p.p.) e potrebbe quindi disporre anche un’eventuale integrazione probatoria e senza dubbio potrà giudicare nel merito dei fatti. Solo, nel far ciò dovrà attenersi ai principi indicati dalla Cassazione. Se quindi in tale ipotesi non è la Corte di Cassazione stessa a giudicare nel merito, non si può neppure affermare che essi formino già di per sé un giudicato incontrovertibile.
Ciò si spiega, “semplicemente”, con la constatazione che i fatti oggetto di giudizio non sono meri fatti, bensì fatti giuridicamente qualificati. Ovvero fatti che acquisiscono un proprio valore solo alla luce delle norme applicabili.
Per chi non è avvezzo alle sottigliezze giuridiche la distinzione potrebbe apparire balzana, tuttavia proverò a spiegarla con alcuni (temo non facili esempi).
I primi fra essi, spero calzante, mi vengono non già dall’ambito giuridico, ma da quello linguistico:
1) in Giappone esiste un’unica parola “ao” per indicare sia il colore “verde” che il colore “blu“: con l’introduzione dei semafori occidentali rosso/verde, questo causò qualche difficoltà. Infatti, “ao” assunse sempre più il significato di “blu”, mentre per indicare il verde si utilizzava la parola “midori“. Così, pur di non cambiare il nome, i giapponesi hanno virato il colore verde dei loro semafori verso tonalità più bluastre (tratto da “La lingua coloro il mondo” di Guy Deutscher);
2) secondo alcuni studi, gli Eschimesi avrebbero moltissime parole per indicare “neve” (o ghiaccio), ciascuna di esse caratterizzante alcuni aspetti specifi del fenomeno osservato, ovvero ciascuna dotata di un diverso significato ad evidenziare un peculiare aspetto dello stesso (qui, qui e qui altri link sul tema). E’ intuitivo, quindi, che per noi parlare di “neve” (“ghiaccio”) con gli Eschimesi sarà pressoché impossibile fintantoché non avremmo chiarito il significato delle varie sfumature linguistiche.Similmente, per tornare a casi più vicini a noi basterà menzionare qui il fatto che in tedesco esistano due differenti vocaboli per indicare “esperienza”: Erfahrung ed Erlebnis.
Veniamo quindi ad una valutazione più strettamente giuridica e prendiamo qualche esempio concreto:
3) il primo, tratto dal diritto civile, riguarda le “condizioni generali di contratto” di cui all’art. 1341 c.c., ossia quelle condizione utilizzate per una pluralità di contratti. Bene, una delle questioni che si è posta per l’applicazione di detto articolo riguarda proprio la “pluralità“: ovviamente tale termine esclude che ci si possa riferire ad un singolo contratto, ma a due? La questione è dibattuta. Posso solo dire che in Germania si è ritenuto che esse sia applicabili a contratti standard conclusi con almeno tre differenti parti: di consenguenza, condizioni “capestro” contenute in due soli contratti non sarebbero ritenute in quel paese invalide anche in assenza delle apposite sottoscrizioni.
4) ma prendiamo un esempio dal diritto penale: esso potrebbe ben essere l’art. 346 c.p. “millantato credito“: in esso si punisce chi “millantando credito presso un pubblico ufficiale […] riceve o fa dare o fa promettere denaro o altra utilità“. Come minimo dovremmo chiarire cosa si intende per “millantare” e “credito“. Rispetto a quest’ultimo, sarebbe sufficiente una qualsiasi influenza sul pubblico ufficiale, o questa dovrebbe essere qualificata? Ancora, il reato sussiste solo se il “credito” è inesistente od anche se esso esiste ma viene esagerato?
E la “millanteria” dev’essere una vanteria esplicita o potrebbe anche essere implicita?
(oppure, 5), prendiamo l’art. 554 c.p. in cui si punisce l’incesto solo qualora causi “pubblico scandalo“: se i vicini di casa ne sono a conoscenza, ma non ne sono scandalizzati -magari non bisbigliano in paese o non urlano ai giornali- si realizza il reato?)
Come si ben comprende, tutte queste questioni esigono un’elaborazione giuridica, un’interpretazione del dettato verbale della norma, interpretazione relazionata agli specifici fatti oggetto di causa ed interpretazione soggetta a modificazioni nel tempo.
Non sarebbe certo uno scandalo se la Corte di Cassazione, dinnanzi ad una sentenza in cui si qualifica come reato anche un “millantanto credito” solo esplicito (e quindi, magari, ad un’assoluzione), dicesse che -al contrario- esso può ben essere anche implicito riformulando di conseguenza il giudizio sul fatto.
Ora, si dirà, “ma ‘esplicito’ od ‘implicito’ sono elementi di fatto che non dipendono dalle nostre parole!“. Ciò è vero solo in parte: dove tracciamo la linea di confine esplicito/implicito è abbastanza opinabile: in certe circostanze, anche una strizzatina d’occhio può essere ben più esplicita di un articolato discorso.
Ovviamente gli esempi sopra riportati sono abbastanza banali. Ma immaginiamo per puro gioco di trovarci dinnanzi ad una complessa costruzione di “scatole cinesi” finalizzata all’evasione fiscale… è evidente come ogni singolo termine della questione imponga una puntuale interpretazione e come in base differenti soluzioni adottate su ciascuno di essi, differiscano le conclusioni: come si caratterizzano delle “scatole cinesi”? come l’ “evasione fiscale”?
Insomma, essendo il diritto un fenomeno linguistico, più i fatti oggetto di giudizio sono complessi e più sono complesse le definizioni normative degli stessi, tanto più aumenta un certo margine d’incertezza sulla qualificazione dei fatti. Proprio questo margine affronta la Corte di Cassazione nel suo ruolo di nomofilachia.
Non sempre il verde ao è tanto verde: a volte potrebbe essere bluastro. E tracciare un confine fatti/interpretazioni (qualificazione) non è sempre scontato.
Preciso a questo punto di non aver seguito le vicende processuali nel caso Berlusconi e di non poter di conseguenza esprimere un giudizio sulle eventuali conclusioni della Corte di Cassazione. Quel che mi premeva, tuttavia, è sgombrare il campo da un ragionamento che rischia di rivelarsi fuorviante.
Niente fatti, solo interpretazioni.
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non mi spingerei tanto in là, anche se l’impressione può sembrare quella.
ma dobbiamo esser coscienti di come il linguaggio, tanto più un linguaggio tecnico, inquadra il mondo.
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E’ semplicemente la summa del pensiero di Nietzsche. La traduzione di quanto hai esemplarmente dispiegato.
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sì, so cosa dice Nietzsche. Ma questo non è quanto intendevo in ambito giuridico
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Invece Nietzsche affonda proprio il coltello in quella questione. I fatti non sono alcunché di neutrale. Non esiste una realtà oggettiva, ma la realtà stessa muta seguendo lo sguardo e le pratiche che la chiamano in causa.
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d’accordo, ti ringrazio della precisazione.
Credo concorderai comunque che, almeno nella vulgata, la frase di Nietzsche viene -appunto- interpretata come simboleggiante un certo nichilismo che nega qualsiasi valore ai fatti
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Certo.
Ma né io né te siamo in odore di vulgata… 😉
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beh, è bello essere co-blogger di una “luce” in ambito legislativo!
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semplicemente, grazie.
🙂
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mi spiace se ho dato l’impressione di avere attribuito a Grillo quelle che sono soltanto considerazioni mie (poi confermate, ho visto con piacere, dal Procuratore Generale della Cassazione: l’ho citato qui: http://discutibili.com/2013/07/30/336-berlusconi-per-graziarlo-occorre-prima-condannarlo/)
avevo fatto solo una citazione generica di Grillo, non avendo tempo e voglia di risalire alla fonte e riportare virgolettando le sue parole, e poi sono andato avanti per mio conto col riferimento alla Costituzione e alla legge.
da quel che ho scritto non si ricava affatto che la Cassazione non possa giudicare indirettamente sui fatti, così come sono stati posti alla base delle sentenze precedenti: figurati se non lo so, ci sono passato! e se trova anomalie di ragionamento sui fatti o ricostruzioni illogiche, in questo caso fa proprio il suo mestiere: “cassa”, cancella la condanna senza rinvio, come capitato a me, per la palese inconsistenza e pretestuosità di tutto il processo (nel mio caso era una punizione per non avere dato seguito ai desiderata professionali della moglie – che lavorava sotto la mia direzione – di uno dei pezzi più grossi del Tribunale di Brescia, morto poco dopo di tumore, peraltro).
la Cassazione può giudicare che i fatti non ci sono o che non sono qualificabili come reati (come nel mio caso) o che il processo fatto così male da essere totalmente irrecuperabile.
ma questo non cambia l’asse del procedimento in Cassazione, che resta sempre impostato sulla valutazione del processo e non su quella dei presunti reati compiuti dall’imputato.
il fatto che la Cassazione, se ritiene un processo carente, debba rinviarlo ad altro giudice di merito, conferma e non smentisce che la Cassazione non può rifare il processo a carico dell’imputato, non tocca a lei.
il resto del tuo ragionamento non riesco a seguirlo, non perché non capisca quello che vuoi dire o perché non lo trovi interessante, ma perché non mi risulta pertinente.
onestamente e detto con schiettezza trovo fuorvianti gli ultimi due terzi del tuo intervento che esibiscono competenze giuridiche divagando dal tema su questioni per niente pertinenti e semplicemente sbagliata la tesi della prima parte :).
ma per fortuna non sono io a dire quest’ultima cavolata ma il Procuratore Generale della Corte di Cassazione nell’esordio della sua arringa per chiedere la conferma della condanna di Berlusconi, attestando, per quel che ha potuto verificare, la correttezza dello svolgimento del processo 😉
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sarà opportuna una precisazione su Grillo, forse.
ciò detto, e dando ovviamente per implicito che questa non è una sorta di “accusa” al tuo post, la tesi mi pare abbastanza semplice: (ancora, a prescindere dalle ipotesi menzionate cui la Cassazioen valuta direttamente i fatti), la Corte di Cassazione verifica la regolarità giuridica del procedimento, ma trattandosi -ovviamente- di fatti giuridicamente qualificati, nel valutare la correttezza giuridica del giudizio dato dai giudici antecedenti, dà anche un giudizio sugli stessi.
il mio ragionamento non è tanto contro l’asserzione che la “Cassazione non può giudicare nel merito”, quanto contro quello che “sul merito si è già formato un giudicato” (ovvero una certezza sui fatti).
Questo non mi pare affatto contraddetto dalle parole del p.g.: se dal controllo risultano vizi, tutta la decisione viene “cassata” (o tutta la relativa parte) e rivalutata ex novo.
insomma, non si può dire: “vengono cassati e rivalutati solo gli aspetti giuridici”, ma sono i fatti nel loro valore giuridico ad essere nuovamente oggetto di giudizio.
sempre i fatti giurdicamente qualificati.
non stiamo discutendo di “Hitler ha invaso la Polonia nel settembre 1939”, bensì di “l’invasione della Polonia rappresentava una guerra d’aggressione”.
probabilmente ricorderai quel caso abbastanza shock in cui la Corte di Cassazione decise che se la “vittima” indossava dei jeans, quella non poteva essere una violenza sessuale perché quel tipo di pantaloni esigevano collaborazione per esser sfilati.
ecco, come vedi la Corte di Cassazione ha dato un chiarissimo giudizio su dei fatti (indossare i jeans) nel loro valore giuridio (commettere un reato di stupro).
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be’, scusami tanto redpoz, tu hai fatto una critica, civilissima ed interessante come sempre, ma mescolando in modo molto pasticciato la mia posizione con quella di Beppe Grillo (e sono diverse in parte anche su questo punto specifico) e polemizzando CON ME, mica con altri, contro una frase che io non ho mai detto né in questo topic che tu citi qui né nel precedente su questo tema (e Beppe Grillo sì, mi pare): “sul merito si è già formato un giudicato” – sono andato anche a rileggermi, e non c’è da me da nessuna parte (non ho riletto i commenti, però, mi viene in mente).
colgo quindi l’occasione per dire la mia sulla questione: “sul merito si è già formato un giudicato” è comunque una frase ineccepibile, che descrive una situazione di fatto.
ma questo giudicato è di secondo grado, non è definitivo a norma di Costituzione, e se conseguito con metodi scorretti la Cassazione lo cancella del tutto o in casi eccezionali lo riforma direttamente su aspetti di dettaglio, o infine lo rimanda al Tribunale perché valuti di nuovo i fatti, dicendogli dove ha sbagliato.
se qualcuno vuol fare intendere che il giudicato sui fatti raggiunto in secondo grado è definitivo questa è una totale e assoluta sciocchezza; io non credo che neppure Grillo volesse dire questo.
tanto meno volevo dirlo io, visto che non l’ho detto nei due topic.
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diamine, ho perso il commento! provo a ricostruirlo
innanzitutto mi preme precisare che io non sto affatto polemizzando con te e se hai tratto questa impressione, me ne spiaccio.
io sto argomentando contro un’idea sbagliata.
idea che non mi pare di averti attribuito ed esplicitata abbastanza chiaramente nel primo punto in rosso.
ho tratto una citazione dal tuo post (che se desideri son pronto a rimuovere) attribuendola interamente a Grillo, perché non facilmente distinguibile di chi fossero le parole in oggetto e precedute tutte dai due punti dopo il suo nome.
in esse v’è scritto “non vi è nessuna possibilità di una assoluzione di merito”, che se vogliamo fermarci al livello di critica delle erratissime affermazioni giornalistiche sta bene, ma non è del tutto corretto (come credo il citato caso dei jeans dimostri).
l’idea che “sul merito si sia formato un giudicato” è per me profondamente errata perché, come detto, sebbene attraverso la lente della correttezza procedimentale, la Corte di Cassazione incide sul merito.
e, poiché il giudicato = inappellabilità (anche in Cassazione), cioè definitività della decisione, questo è errato.
potrebbe esser corretto se parlassimo di diversi “petitum”, ovvero di diverse domande giudiziali decise con sentenza (chessò, un imputazione per stupro giudicata assieme ad una per rapina). ma, poiché la domanda è unica, non è possibile scindere un giudicato “sul merito” da quello “sulla correttezza procedimentale”: dovesse cadere quest’ultimo, potrebbe cadere anche il primo.
cosa che, peraltro (anche al netto della citata possibilità -in remoti casi- per la Corte di Cassazione di giudicare personalmente il merito), non è affatto smentita dalle parole del p.g.
(e, aggiungo, linguisticamente è anche errato parlare di un “giudicato di secondo grado”: vi è semmai, una sentenza di secondo grado che solo in seguito al suo mancato ricorso in Cassazione, farà stato come giudicato).
io probabilmente ho errato con la confusa citazione (e, come detto, son pronto a correggermi), ma le tue ultime parole -vuoi per atecnicismi lessicali- lasciano proprio intravedere l’errore che cerco di correggere.
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non mi hai affatto convinto: nel merito si è formato, eccome, un giudicato, o se preferisci perché dici che la parola è impropria, una sentenza di secondo grado, che diventa definitiva se la Cassazione trova regolare e coerente il procedimento che ha portato alla convinzione dei giudici.
non sono offeso dalla citazione di me, anche se risultata un poco fuorviante per responsabilità di entrambe le parti direi, e men che meno dalla polemica obiettivamente nei miei riguardi, dato che ritengo la discussione, cioè la dialettica, se corretta, una via maestra per avvicinarsi alla verità e raggiungere una migliore comprensione dei problemi.
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allora, siamo precisi: c’è stata una sentenza di secondo grado.
questa diventa definitiva, cioè giudicato, SE E SOLO SE non sottoposta a ricorso per Cassazione o il ricorso viene dalla stessa rigettato.
Fino a quel momento, parlare di “giudicato” è atecnico e quindi errato.
Quindi, fintantoché la sentenza è sottoposta a ricorso per Cassazione ogni e ciascuna sua parte non costituisce ancora “giudicato”.
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aiuto! mi pare di essere finito nei Duellanti di Scott.
d’accordo, ho usato il termine “giudicato” in modo improprio, non essendo del mestiere; chiedo venia.
ma questo non cambia di una virgola che la Cassazione non ridiscute i fatti, ma al massimo esamina la coerenza dell’interpretazione dei fatti.
sarebbe ridicolo se potesse riesaminare in poche ore i fatti di un processo a volte durato mesi.
e comunque non giudica i fatti in se stessi; gli unici in grado di valutarli sono i tribunali di primo e secondo grado, tanto è vero che se l’interpretazione dei fatti appare carente e se ne deve ridiscutere, la Cassazione rimanda la causa a loro
nel caso di Berlusconi, ad esempio, il Tribunale aveva acclarato che la firma delle dichiarazioni infedeli era la sua; questo fatto nessuna Cassazione avrebbe potuto rimetterlo in discussione.
in questo senso ribadisco la mia tesi originaria che è sbagliato dire, se non a livello popolare, che un imputato è condannato o assolto in Cassazione: è condannato o assolto in primo o in secondo grado, se ha fatto appello; ma è QUESTA sentenza che diventa “giudicato” se la Cassazione non la cassa o non la modifica.
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