Semplicemente una bella persona

M. sosteneva di essere una donna di taglia 42 che si teneva avvolta nel grasso per evitare contusioni. Quando la conobbi, a Siena, durante il corso di sociologia, pesava 120 chili e quindi, la M. magra all’interno, era abbondantemente al sicuro. Di qualche anno più grande di me, portava i capelli lunghi che però odiava e li teneva raccolti in una crocchia solo perchè il fidanzato le proibiva di tagliarli.Fu solo quando la conobbi meglio che mi fermai a riflettere e mi resi conto di ciò che aveva fatto. Non era una come la gran parte di noi che era finito a vivere nella città del Palio come fosse un qualsiasi campus universitario americano. M. si era sobbarcata per anni una marea di viaggi da una cittadina dell’Umbria dove viveva prendendosi cura dei suoi quattro fratelli più piccoli dopo che la madre era morta, lavorando contemporaneamente presso l’emporio del padre. La sua carne troppo soda si era sciolta per lo stress e i disagi e le pressioni che subiva da ogni parte, il sovraccarico dei corsi, il proibitivo programma estivo e le discussioni con i consulenti accademici che sembravano trovarla decisamente antipatica. Era finita fuori corso ma lo stesso, con fatica immane, stava riuscendo nella titanica impresa di tenere la sua vita nella giusta rotta raggiungendo tutti gli obiettivi che si era posta.

Aveva inserito l’esame di Sociologia tra gli ultimi da dare perchè amava profondamente la materia e intendeva farci la tesi di laurea, io invece l’avevo scelta tra i “complementari” del primo anno solo perchè certo che avrei preso un gran voto che mi serviva per la media. Passammo l’anno assieme e apprezzai la sua passione per cose alle quali io non davo la stessa importanza. Tuttavia, come spesso accade in queste circostanze, il suo grande amore non si tradusse in un profitto decente. Nei test intermedi ebbe degli scores miserabili rispetto a quanto lei si aspettava di ottenere. Il professore stesso non mostrava alcun timore nel farle comprendere la poca stima che provava nei suoi confronti. M. , con una faccia tosta micidiale, andò comunque a chiedergli di poter fare la tesi con lui. Quando mi raccontò del colloquio aveva le lacrime agli occhi. Disse che le aveva ficcato un paletto nel cuore sostenendo che lei non stesse prendendo molto sul serio l’obiettivo del corso. Arrivò anche a sostenere che solo grazie a un approccio più femminile al dialogo lei sarebbe riuscita a rompere l’egemonia del patriarcato nella sua vita. M. raccontò di essersi alzata lentamente dalla sedia di fronte alla scrivania del prof, senza nemmeno fingere di avere ancora qualche dignità. Era contusa e sanguinante. Gli disse solo:

“Io ce la posso fare. Mi dia una possibilità”.

Lui nemmeno le rispose.

Quando finì il racconto aggiunse che aveva deciso di abbandonare. Non ne poteva più. Il ruolo a cui era predestinata era quello di mamma e donna di famiglia e che aveva ragione il professore. Era tempo di mollare. Io, che non sono mai stato un uomo che tollera simili assurdità in parole o in opere, risposi a M. che a costo di appenderla per i pollici lei avrebbe preso quella fottuta laurea. Poi le chiesi di che tipo di tesi avrebbe voluto scrivere e non appena M. cominciò a spiegarmela, vidi nei suoi occhi una sorta di catarsi. Era come se di colpo le fosse diventato tutto più chiaro. Si precipitò a casa e cominciò a tirar giù le tracce. Tornò poi dal professore con gli appunti che si era fatto e con essi e con tutta la passione che finalmente era riuscita a esplicitare, ottenne anche il via libera ufficiale a poterci lavorare. Basò le sue argomentazioni sulla vulnerabilità citando Auden, un poeta che una volta era stato coinvolto in una rissa, Macchiavelli e un’altra decina di autori che adesso non ricordo. Ciò che rammentò era il principio base della tesi per cui secondo M. non esisteva principio che giustificasse la ricerca di una falsa vulnerabilità e che non c’era alcun valore nel conseguirla.

Qualche mese dopo M. laureò con il massimo dei voti grazie a quella super tesi che le fece recuperare un sacco di punti che si era lasciato indietro nei vari esami nei quali aveva accettato voti stiracchiati. Il professore, lo stesso che l’aveva tanto osteggiata in fase iniziale, le propose di pubblicarla congiuntamente con il proprio nome davanti. In fondo era lui quello con le credenziali.

M. si limitò ad allargare le braccia sorridendo e gli rispose:

“La prenda. La prenda pure, a me non serve!”