La #pg

E’ diventato financo un hashtag, che ho usato su twitter per un po’. Condividendolo con amici che ne hanno sentito parlare.
#pg significa Perfida Genitrice. Mia madre, in a nutshell. O meglio, la madre di mia sorella, come spesso le dico via sms: “Sai cosa ha combinato TUA madre?”, al quale lei risponde di norma “No, dimmi cosa ha combinato, TUA madre”.
Potrei parlare per ore, della #pg.
La tiro in ballo oggi, dopo un po’ di vicissitudini. Un mesetto fa circa, dopo aver fatto una lastra ai polmoni, è uscito che aveva un tumore. Premessa doverosa, mio padre è morto 5 anni fa di cancro ai polmoni. Il pensiero di rivivere la stessa ordalia è stato immediato, sino a che un chirurgo di una famosissima equipe, eccellenza europea, ha pronunciato la parola magica: “operabile”. E quindi abbiamo organizzato tutto, in gran segreto, io e la sorella, perché ci sembrava inutile preoccuparla anzitempo, e tanto abbiamo detto e tanto abbiamo fatto che, al di là di sospetti derivanti da molte analisi ed esami effettuati in poco tempo, e tutti alla presenza di entrambi i figli, non ha avuto evidenza di nulla sino a 5 giorni dall’intervento.
L’intervento è invasivo, consiste nell’asportazione della metà superiore del polmone, con annessa grossa cicatrice, dolori post-operatori e riduzione della capacità respiratoria di circa un 15% (ci sono ragioni profonde per cui non è il 25% ma sarebbe lungo e tedioso spiegarle). Il tutto con la spada di damocle della potenziale creazione di metastasi che ovviamente, se da minaccia si trasforma in realtà, rende l’intervento quasi del tutto inefficace.
Ebbene, a due settimane dall’intervento possiamo dire che le metastasi non ci sono, l’esame istologico è andato bene, i punti sono stati tolti. Ciò nonostante siamo tornati agli antichi fasti, con il malcelato tentativo di appropriarsi della vita di tutti, agendo come una sanguisuga che succhia energia vitale da quelli cui si attacca, ma preservando l’apparenza della tenera, altruista, e generosa vecchina. Ecco questa è una vera specialità della #pg. Maestra d’apparenza, riesce a far passare un’immagine di sé molto differente dalla realtà. Si autodipinge donna forte e generosa, accogliente e attenta alle piccole esigenze di tutti. Bullshit. Stronzate. La #pg ha una sola, vera, unica passione. La contemplazione del proprio ombelico, centro dell’universo tutto. E in nome di questo ineffabile motore immobile, punto nevralgico del creato, tutto è sacrificabile.
Non voglio fare un processo, queste informazioni servono a contestualizzare, a stabilire le condizioni al contorno dell’equazione differenziale. Se io leggessi quanto ho scritto e lo avesse scritto un altro, forse mi verrebbe voglia di rileggere, forse mi domanderei “ma è veramente così?”. Ebbene sì. Per quanto sia doloroso ammetterlo, per quanto sia stato difficile arrivarci completamente e compiutamente, è proprio così. Ma, come mi disse una persona saggia, questa è l’unica madre che ho. E non posso cambiarla. Posso, però, cercare di lavorare per trovare la giusta distanza, e non avvicinarmi troppo per non essere risucchiato nel gorgo oscuro, ma non allontanarmi troppo per perdere completamente il contatto.
La cosa che trovo più triste di tutte, è che lei per prima non vive bene. Perché ovviamente, con questo tipo di atteggiamento è inevitabile rimanere soli.
Si diceva del ritorno agli antichi fasti. Gli antichi fasti prevedono che non si faccia MAI menzione di quale sia il reale problema, tenendolo rigorosamente nascosto, e trasformando la vita delle persone che sono accanto in un allegro inferno con pene che vanno dall’arrostimento semplice sino ai paletti roventi usati come strumento per sodomia. Per cui se il problema è, che so, la paura di togliere i punti, perché bambinescamente si rimane ancorati ad un episodio vissuto circa cinquanta anni prima, unico intervento chirurgico subito in ottant’anni di vita, un parto cesareo, nel quale i punti andarono in suppurazione, se il problema è la paura di togliere i punti si dirà tutto tranne che questo. Ci si farà trovare piagnucolanti mentre si millanta un orrendo dolore alla vita, con annessa nausea che impedisce di mangiare qualunque cosa (salvo avventarsi su spaghettoni acqua e farina con sugo di pomodoro aglio olio e peperoncino, per dire). E su questo, con sapiente tecnica diversiva degna di un capo dell’intelligence di un paese arabo, si costruirà un castello di menzogne mirate al compatimento e alla ricerca spasmodica di soluzioni che ovviamente, essendo soluzioni per un problema reale ma che non è il problema che affligge la povera vecchina, si riveleranno inevitabilmente inefficaci.
Inutile presentarsi con il Plasil, efficacissimo farmaco antiemetico, perché la nausea è una fola. E ingollato il Plasil la nausea sarà più forte e più grande che pria.
E così via, in un crescendo rossiniano di tregenda e di autocommiserazione sapientemente innaffiata da lacrime di commozione e/o di disperazione, erogate al bisogno ma con intensità inversamente proporzionale alla distanza fisica dell’interlocutore e alla sua possibilità di arrivare. Se sono sul posto, sarà un micro-piagnucolio. Se sono in ufficio, in riunione e all’altro capo della città, sarà un pianto accorato, che denuncia dolore fisico e morale, senso di abbandono e terribile solitudine.
Ah, la solitudine. Ovvero, come al suo cospetto si possa sentirsi invisibili. Dopo quindici giorni passati alternandoci al suo capezzale, cosa non indispensabile, ma in qualche modo sentita da entrambi noi figli come una sorta di dovere morale, in considerazione dell’età e della gravità dell’intervento, e il giorno dopo ricevuta la risposta in merito all’esame istologico, che sostanzialmente dice che l’intervento è stato risolutivo e non richiede terapie (chemio o radio) di appoggio, alla mia telefonata mattutina, dopo la risposta in lacrime, e la domanda di rito “qual è il problema”, la risposta stizzita è stata “quale vuoi che sia, il problema! ho un cancro, mezzo polmone in meno, e sono sola!”
La risposta “grazie mamma della considerazione, è bello vedere che io e mia sorella siamo completamente invisibili” è stata a stento trattenuta. Si noti che la parola “cancro”, rigorosamente evitata sino all’esito dell’esame istologico, esce magicamente proprio nel giorno in cui è definitivamente acclarato che il cancro non c’è più. Perché “#pg impavida” è un ossimoro a petto del quale “ghiaccio bollente” è una pallida imitazione. In questa situazione di emergenza ho potuto avere la prova provata che la paura, la paura fottuta che ti attanaglia le viscere e ti fa domandare se questi saranno i tuoi ultimi giorni, quella paura è l’unico deterrente ai capricci della #pg. Passata la paura, si torna all’antico.
Una mia amica blogger, che non citerò affinché non incappi nella maledizione della #pg, poco prima del 21 dicembre 2012 diceva “essa non teme i maya”. Io inizio a pensare che “essa ci seppellirà tutti”.