La #pg
E’ diventato financo un hashtag, che ho usato su twitter per un po’. Condividendolo con amici che ne hanno sentito parlare.
#pg significa Perfida Genitrice. Mia madre, in a nutshell. O meglio, la madre di mia sorella, come spesso le dico via sms: “Sai cosa ha combinato TUA madre?”, al quale lei risponde di norma “No, dimmi cosa ha combinato, TUA madre”.
Potrei parlare per ore, della #pg.
La tiro in ballo oggi, dopo un po’ di vicissitudini. Un mesetto fa circa, dopo aver fatto una lastra ai polmoni, è uscito che aveva un tumore. Premessa doverosa, mio padre è morto 5 anni fa di cancro ai polmoni. Il pensiero di rivivere la stessa ordalia è stato immediato, sino a che un chirurgo di una famosissima equipe, eccellenza europea, ha pronunciato la parola magica: “operabile”. E quindi abbiamo organizzato tutto, in gran segreto, io e la sorella, perché ci sembrava inutile preoccuparla anzitempo, e tanto abbiamo detto e tanto abbiamo fatto che, al di là di sospetti derivanti da molte analisi ed esami effettuati in poco tempo, e tutti alla presenza di entrambi i figli, non ha avuto evidenza di nulla sino a 5 giorni dall’intervento.
L’intervento è invasivo, consiste nell’asportazione della metà superiore del polmone, con annessa grossa cicatrice, dolori post-operatori e riduzione della capacità respiratoria di circa un 15% (ci sono ragioni profonde per cui non è il 25% ma sarebbe lungo e tedioso spiegarle). Il tutto con la spada di damocle della potenziale creazione di metastasi che ovviamente, se da minaccia si trasforma in realtà, rende l’intervento quasi del tutto inefficace.
Ebbene, a due settimane dall’intervento possiamo dire che le metastasi non ci sono, l’esame istologico è andato bene, i punti sono stati tolti. Ciò nonostante siamo tornati agli antichi fasti, con il malcelato tentativo di appropriarsi della vita di tutti, agendo come una sanguisuga che succhia energia vitale da quelli cui si attacca, ma preservando l’apparenza della tenera, altruista, e generosa vecchina. Ecco questa è una vera specialità della #pg. Maestra d’apparenza, riesce a far passare un’immagine di sé molto differente dalla realtà. Si autodipinge donna forte e generosa, accogliente e attenta alle piccole esigenze di tutti. Bullshit. Stronzate. La #pg ha una sola, vera, unica passione. La contemplazione del proprio ombelico, centro dell’universo tutto. E in nome di questo ineffabile motore immobile, punto nevralgico del creato, tutto è sacrificabile.
Non voglio fare un processo, queste informazioni servono a contestualizzare, a stabilire le condizioni al contorno dell’equazione differenziale. Se io leggessi quanto ho scritto e lo avesse scritto un altro, forse mi verrebbe voglia di rileggere, forse mi domanderei “ma è veramente così?”. Ebbene sì. Per quanto sia doloroso ammetterlo, per quanto sia stato difficile arrivarci completamente e compiutamente, è proprio così. Ma, come mi disse una persona saggia, questa è l’unica madre che ho. E non posso cambiarla. Posso, però, cercare di lavorare per trovare la giusta distanza, e non avvicinarmi troppo per non essere risucchiato nel gorgo oscuro, ma non allontanarmi troppo per perdere completamente il contatto.
La cosa che trovo più triste di tutte, è che lei per prima non vive bene. Perché ovviamente, con questo tipo di atteggiamento è inevitabile rimanere soli.
Si diceva del ritorno agli antichi fasti. Gli antichi fasti prevedono che non si faccia MAI menzione di quale sia il reale problema, tenendolo rigorosamente nascosto, e trasformando la vita delle persone che sono accanto in un allegro inferno con pene che vanno dall’arrostimento semplice sino ai paletti roventi usati come strumento per sodomia. Per cui se il problema è, che so, la paura di togliere i punti, perché bambinescamente si rimane ancorati ad un episodio vissuto circa cinquanta anni prima, unico intervento chirurgico subito in ottant’anni di vita, un parto cesareo, nel quale i punti andarono in suppurazione, se il problema è la paura di togliere i punti si dirà tutto tranne che questo. Ci si farà trovare piagnucolanti mentre si millanta un orrendo dolore alla vita, con annessa nausea che impedisce di mangiare qualunque cosa (salvo avventarsi su spaghettoni acqua e farina con sugo di pomodoro aglio olio e peperoncino, per dire). E su questo, con sapiente tecnica diversiva degna di un capo dell’intelligence di un paese arabo, si costruirà un castello di menzogne mirate al compatimento e alla ricerca spasmodica di soluzioni che ovviamente, essendo soluzioni per un problema reale ma che non è il problema che affligge la povera vecchina, si riveleranno inevitabilmente inefficaci.
Inutile presentarsi con il Plasil, efficacissimo farmaco antiemetico, perché la nausea è una fola. E ingollato il Plasil la nausea sarà più forte e più grande che pria.
E così via, in un crescendo rossiniano di tregenda e di autocommiserazione sapientemente innaffiata da lacrime di commozione e/o di disperazione, erogate al bisogno ma con intensità inversamente proporzionale alla distanza fisica dell’interlocutore e alla sua possibilità di arrivare. Se sono sul posto, sarà un micro-piagnucolio. Se sono in ufficio, in riunione e all’altro capo della città, sarà un pianto accorato, che denuncia dolore fisico e morale, senso di abbandono e terribile solitudine.
Ah, la solitudine. Ovvero, come al suo cospetto si possa sentirsi invisibili. Dopo quindici giorni passati alternandoci al suo capezzale, cosa non indispensabile, ma in qualche modo sentita da entrambi noi figli come una sorta di dovere morale, in considerazione dell’età e della gravità dell’intervento, e il giorno dopo ricevuta la risposta in merito all’esame istologico, che sostanzialmente dice che l’intervento è stato risolutivo e non richiede terapie (chemio o radio) di appoggio, alla mia telefonata mattutina, dopo la risposta in lacrime, e la domanda di rito “qual è il problema”, la risposta stizzita è stata “quale vuoi che sia, il problema! ho un cancro, mezzo polmone in meno, e sono sola!”
La risposta “grazie mamma della considerazione, è bello vedere che io e mia sorella siamo completamente invisibili” è stata a stento trattenuta. Si noti che la parola “cancro”, rigorosamente evitata sino all’esito dell’esame istologico, esce magicamente proprio nel giorno in cui è definitivamente acclarato che il cancro non c’è più. Perché “#pg impavida” è un ossimoro a petto del quale “ghiaccio bollente” è una pallida imitazione. In questa situazione di emergenza ho potuto avere la prova provata che la paura, la paura fottuta che ti attanaglia le viscere e ti fa domandare se questi saranno i tuoi ultimi giorni, quella paura è l’unico deterrente ai capricci della #pg. Passata la paura, si torna all’antico.
Una mia amica blogger, che non citerò affinché non incappi nella maledizione della #pg, poco prima del 21 dicembre 2012 diceva “essa non teme i maya”. Io inizio a pensare che “essa ci seppellirà tutti”.
ho messo Like per simpatia,
sai come la penso in punto
In soldoni: la rimpiangerai. E rimpiangerai anche di aver scritto questo post. Ma tanto lo puoi sempre cancellare. Da qua. Dal tuo cuore sarà piu difficile.
Ma sai anche questo….
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No, mast, non rimpiangerò questo post. E probabilmente non rimpiangerò lei. Il giudizio su una persona non cambia dopo il suo trapasso. Se qualcuno in vita si comporta male, la morte non lo santifica. Che poi io perdoni, comprenda, e scriva qualcosa che mi aiuta a comprendere e perdonare, questo è un altro paio di maniche.
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ho rispetto e non discuto.
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Mammamia come sono d’accordo!
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Anche tu stanca dell’ipocrisia da santificazione, eh? 😉
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mio padre non amava suo padre, per motivi non identici ma simili ad alcune delle cose che hai scritto tu… ora suo padre è morto e lui invecchiando ogni tanto ci pensa, e sai come ci pensa? Ci pensa come ci pensava quando era vivo: con un misto di amore, risentimento e necessità di gestire la distanza… non si può vivere nella paura di cosa ci mancherà, e santificare tutto quello che non c’è più nella retorica del perduto è, ribadisco, mangime per luoghi comuni…
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Sì, probabilmente hai ragione. La ricerca della giusta distanza è un lavoro che mi accompagnerà finché vivo. Detto questo, la “liberazione “consiste nel pensarci ogni tanto, come fa tuo padre, e non tutti i giorni.
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Guarda io nei miei genitori di santo non ci ho mai visto niente, solo di vittimista qualche lamento di martirio
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Mi riferivo alla retorica della santificazione post mortem, secondo la quale il trapasso è esso stesso fonte di redenzione. Io non credo che la morte redima. E le cose che una persona fa in vita, sono buone o cattive e rimangono tali anche dopo la sua morte, non esiste che le cose cattive diventino buone.
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Conosco un sacco di gente morta e stronza, i cui effetti della stronzaggine si vedono nel mondo ancora ora e la cosa di cui ancora mi pento è di essere andata al suo funerale. A un paio, però, si rimorchiava bene.
La differenza tra gli stronzi morti e quelli vivi è che quelli morti puzzano anche 🙂
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Io sono un fanatico del pensiero-positivo-secondo-me (specifico secondo me perché se no anche qui mast mi attacca un treno che non finisce più, been there done that ;)) e quindi aggiungo che è vero che puzzano, ma è pure vero che di danni nuovi non ne possono fare più 😉
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Wish, posso dirti che ti comprendo.
una persona simile è mia suocera.
Per fortuna, sua e sopratutto mia, è in buona salute, visto che lei è vedova dal 1998 e mio marito è il primo di tre fratelli, ed ha preso il posto di capofamiglia e lo chiama anche per chiedergli se può aprire al tecnico della caldaia che va per fargli la manutenzione, per farti un esempio.
E’ facile dall’esterno dare giudizi su quello che il “protagonista” racconta e dice di provare.
Ma si arrivano a toccare limiti di sopportazione incredibili in questi casi.
Ti auguro che si rimetta presto, così, almeno romperà di meno…spero.
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Eh sì. Speriamo. Si sta rimettendo rapidamente, vedremo.
Ed è vero, dall’esterno appare tutto differente, la cosa più frustrante sono proprio le tattiche diversive, per cui rispetto ad un qualunque estraneo si è amabili e cortesi, lasciando tutta l’immondizia per le persone care.
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e perchè della capacità di farti sembrare il cattivo/egoista della situazione mentre lei è la povera vittima che vive in solitudine…ne vogliamo parlare??
grgrgrgrggr
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Sono tutte sfaccettature dello stesso problema. Il problema è che in condizioni di stress continuate per un po’ di tempo, la capacità di mediare, sopportare, e farsi scivolare addosso l’immondizia un pochino si riduce.
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già, vero.
un abbraccio
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quanta profondità in queste tue parole. semplicemente, quanta quanta profondità.
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Grazie, adp. C’è tanto lavoro. Tanto sangue, tanto sudore, e tante, tantissime lacrime. Purtroppo nei momenti di vulnerabilità, come quando ci si trova davanti ad un’emergenza di questo tipo, si fa qualche passo indietro. Scriverne serve anche a recuperare terreno, a ricordarsi che si è fatta un po’ di strada. E anche come valvola dalla quale far soffiar via un po’ del veleno che sale.
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Non è raro sentire di persone così; il fatto è che non tutti sono disposti a parlarne come fai tu. Perché di solito la mamma è la mamma e quindi non se ne discute. Oggi, mia madre, all’ospedale per qualche esame di controllo mi ha detto: “guarda, non venire più perché mi rendi nervosa”. Che dire? Che ho preso una settimana di ferie per lei?
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Come ho detto ad adp, di lavoro ne ho fatto tanto. E cerco di essere intellettualmente onesto e non ipocrita. Troppa ipocrisia ho vissuto in passato. E in questo specifico caso, nonostante non sia scevro dalla voglia di esser letto, in questo caso ho scritto innanzitutto per me.
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Non sono un cocco di mamma
Non lo sono mai stato
Il rapporto con la mia fu madre e’ sempre stato equilibrato. Per lo più
Non ho alcun diritto di entrare in tematiche così delicate che sono private e ognuna con la sua storia
Spesso dolorosa
Vorrei solo ricordare a tutti che un giorno non lontano qualunque sia il motivo che vi fa male quella donna vi mancherà
Vi mancherà più di quanto crediate
Nonostante tutto…
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Mast, questa è la tua opinione, e io la rispetto. Ma dissento. Io sarò libero, quando lei se ne andrà, il più tardi possibile. Questa è la mia verità.
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anche io ho avuto ed ho un buon rapporto con mia madre; è che spesso questo ruolo le autorizza a dire tutto quello che passa loro per la mente senza pensare che possono ferire. E comunque ogni storia è singolare, non comparabile perché il rapporto madre-figlio è unico.
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Richiamo l’attenzione tua e di mast sul fatto che avete appena fatto un’affermazione che potrebbe essere ascritta di diritto nella categoria “excusatio non petita accusatio manifesta” 😆 Lo dico col sorriso, ovviamente. Ma se vi capita, fatela una riflessione sul perché definite “buono” il rapporto con vostra madre. 😉
Poi, dopo, rivolgetevi a sguardiepercorsi 😆 😆 😆
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Ad una prima lettura avrei risposto anche io come Masticone, ma ti capisco sai, ti capisco.
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E ti ringrazio della comprensione, anche se, come dicevo altrove, non sono alla ricerca di comprensione, ma di un momento catartico di condivisione con l’esterno. Il fatto è che la mia posizione è scomoda e non comune, perché la tentazione del lettore di iscrivermi nella categoria “figlio degenere” è molto forte.
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Mai pensato che tu lo fossi
Voglio che tu lo sappia
Mai
Nemmeno una volta
La condivisione e’ una cosa bella (per me) solo se si accettano le diversità di veduta degli altri.
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Accettare la diversità di veduta non significa sposarla. Io rispetto i punti di vista di tutti, e non a caso dico a tpc che la ringrazio per la comprensione ma non ne sono alla ricerca. Comprendo le differenze di vedute, comprendo le differenze di vissuto.
Stretta è la foglia, larga è la via, dite la vostra ché io ho detto la mia. 🙂
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se ti può sollevare … ma non ti frega … io appartengo a quella della figlia degenere e della madre stronza. E’ un casino, un casino.
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Non è vero che non mi frega, ma è vero che non mi solleva. Anche qui, non mi appartiene il “mal comune mezzo gaudio” oppure “c’è chi sta peggio di me”. Se partiamo da qui dovremmo tutti andare a fare i volontari in Africa, se avessimo un minimo senso morale. Io credo che ognuno abbia il suo percorso, il suo viaggio. Durante il viaggio si incontrano persone ed emozioni, che possono essere condivise a vari livelli. Mi è capitato di tirare fuori dal virtuale delle persone e trasferirle nel reale, sono belle persone, e tutto è spesso partito da condivisione in rete di emozioni. È un po’ confuso ma spero di spiegarmi.
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Proprio non riesco ad immaginare che tutto questo veleno, come l’hai chiamato tu, sia stato iniettato ed alimentato da una madre. Le tue parole, a tratti spietate, credo siano già una buona punizione per la #pg di tua sorella. Con questo non intendo dire che non ti capisca, ho avuto un problema di genitore-dei-propri-fratelli anch’io, ma nel mio caso si tratta di padre quindi molto più plausibile di quanto non sia nel tuo caso (dall’esterno naturalmente) Quello che mi rimane da capire, così, per curiosità, è: l’ipocrisia rimasta che ti mantiene in contatto con lei è ingrediente dello stesso veleno iniettato o cos’altro?
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No. E’ la consapevolezza, come detto in un passaggio volutamente non “urlato”, che è l’unica madre che ho. E per questa banale affermazione passa l’accettazione dell’ineluttabile.
Il problema della #pg è una patologia. Si chiama rapporto simbiotico, e consiste nel considerare i figli un’escrescenza di se stessi, o una parte di se stessi.
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E, per completare la risposta. La mia non è ipocrisia, è senso del dovere (e non dico etica ché se no masticone attacca una pippa che non finisce più). Cerco di fare il mio dovere. Cerco, per quanto possibile, di aiutarla nel momento del bisogno, come questo. Il non dirle nulla dell’intervento è un piccolo conforto, un piccolo pensiero. Lei è quel che è, e come ho detto in un altro passaggio blando, la cosa triste è che lei per prima è infelice. Profondamente infelice. E sola.
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Capisco quel che dice Masty, però credo che la ricerca della giusta distanza, come dici tu, sia la via percorribile. Certe madri, senza rendersene minimamente conto, fanno gran male ai figli, ed è sano che i suddetti figli si proteggano. I sentimenti sono complessi e pieni di sfumature, ma bisogna pur salvarsi la vita…
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Esattamente. Ti ringrazio. Hai colto il senso. Pienamente. O meglio, quasi. Perché sono certo del fatto che alcuni passaggi hanno suscitato perplessità. Ma bisogna esserci dentro, per capire realmente.
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Sono una psicologa… Ho ascoltato tante storie di madri, tante fatiche per uscire dalle dinamiche familiari, o meglio per prenderne distanza. E vedo tanti che, non riuscendoci, hanno non pochi problemi. E poi ho una madre anch’io, e pure io ho fatto le mie fatiche. Diverse dalle tue, direi quasi opposte, ma comunque fatiche. Perché si può avere il miglior genitore del mondo, ma compito del figlio è separarsi. Ora, dopo tanti anni, ho trovato una distanza che mi ha consentito anche di ringraziare lei e mio padre. Ma la soglia di attenzione è sempre presente.
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E’ questo il punto (vabbè chettelodicoaffà :D), la soglia di attenzione. Quello che mi spiazza, in questa situazione, è che in un momento di mia vulnerabilità (cancro ai polmoni #2, ordalia #2, e comunque empatia verso una oggettiva sofferenza) una quota parte di percorso fatto si dissolve quasi, e recuperare il cammino perduto è ancor più duro di quanto sia stato duro percorrerlo la prima volta. Ché uno pensa di esserne fuori, ma se sei avviluppato nel rapporto simbiotico è veramente difficile uscirne totalmente e compiutamente. Per questo dicevo prima che quando morirà io sarò libero. Non lo dico con rabbia o con rivalsa, semplicemente è una presa d’atto. Serena per quanto lo può essere un’affermazione così forte. Ma non ho paura delle parole, dopo tutta la sofferenza vissuta.
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Il percorso è continuo… E guarda che non sarà la sua morte a renderti libero. Recuperi spazi di libertà lavorando con te stesso, reggendo i sensi di colpa, trovando ogni volta la distanza giusta possibile. Che è concreta ma soprattutto interiore.
Il rischio, altrimenti, è di oscillare tra rabbia e sensi di colpa, due facce della stessa medaglia simbiotica. E non si è liberi neanche quando si è arrabbiati. È solo una tappa del percorso, che procede lentamente, passo dopo passo, anche quando sembra di essere riportati indietro.
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Quanto mi piace quello che dici, perché è il totale sintonia ed armonia con quanto ho sempre pensato. Soprattutto il discorso della giusta distanza e dell’oscillazione tra senso di colpa e rabbia. Dove il senso di colpa corrisponde alla distanza troppo corta, dove si è troppo vicini e troppo coinvolti emotivamente e la rabbia alla distanza troppo lunga, dove al contrario si è troppo poco coinvolti e si diventa troppo freddi. Sono stato per lungo, lunghissimo tempo arrabbiato. E poi, con l’aiuto ricevuto, ho capito la storia dell’unica madre che ho. Ma è giusto che il cammino non finisce mai. Il mio dire di esser libero non è un’attesa di un evento salvifico, dico semplicemente che se riesco a mantenermi in carreggiata, e alla giusta distanza, allora sarò libero. E comunque grazie, perché confrontarsi con te è molto bello.
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🙂
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Non te la prendere, molto probabilmente anche tuo figlio scriverà un post come il tuo!
p.s.
nessun giudizio da parte mia, per carità! semplicemente: c’est la vie!
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Io spero che le mie figlie scrivano un post in cui dicano peste e corna di me, ma parlando di altre cose e non di queste! 😉
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E certo!! 🙂
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Tranquilla Sandra, non parla di te… si tratta di altre madri, altre storie. Non è detto che anche tu ebba diventare una #pg o anche solo una madre un po’ egoista… e magari, se proprio dovessi diventarlo i tue due hobbit troveranno le parole per salvarsi come Wish aka Max. Scusami, vado via in punta di piedi.
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Sai una cosa, tutti i genitori fanno danni. Se parti da questo assunto, e cerchi di fare il meglio, forse riesci a minimizzarli, i danni. Ma la gran parte dei danni si fanno nella primissima infanzia, a meno che, come nel mio caso, non siamo in presenza di patologie. E quindi, senza presunzione, e con tanta autocritica, si deve provare a mettersi in discussione. Non facile, ma percorribile.
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Caro Max, non sai quanto ti capisco…Io ci ho messo più di vent’anni (non considerando quando ero troppo piccola per rendermi conto di certe cose) a trovare una giusta distanza, quella che permettesse a lei di non farmi male ma a me di non esserle troppo distante…Perchè alla fine, si sa, molte volte i figli diventano genitori ed i genitori figli…Un abbraccio, sperando che la gioia di aversi attenui un po’ la fatica di possedersi…
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E’ tutto molto complicato, cara Katia, ci sono dei viluppi e delle trappole emotive che sono sempre in agguato, e come diceva sguardiepercorsi bisogna essere vigili e attenti.
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che bordello eh. persino leggere i commenti, c’è un bel fermento (pure se non ce capisco na ceppa perché vanno in ordino cronologico al contrario. quello che dico non si capisce, vado peggiorando.)
la giusta distanza. quali che siano i sentimenti o la previsione di ciò che sarà fino a quando ci sarà ancora lei. quando lei non ci sarà più. il presente è l’unica cosa a cui ci si può riferire. che sia un istante brevissimo schiacciato tra passato e futuro o un intervallo che comprende un miscuglio anche il prima e il dopo.
è difficile. solo a leggere ci si sente tessere un groviglio intorno. qualsiasi siano le azioni, le parole, non vengono recepite. quindi sono inutili. o, espandendo la visuale, sono utili a se stessi. e quindi tanto basta. per non restarne prigionieri. per trovare la propria giusta distanza.
abbraccio eh.
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Presente. Groviglio. Visuale. Distanza. Abbraccio.
Queste le parole chiave che brillano. E come sempre condividiamo una lunghezza d’onda particolare. Dobbiamo riparlare di ombromini, forse sono pronto per il sequel.
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ne riaparliamo allora.
🙂
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Ehi Max, mi dispiace per le cose brutte accadute e sono felice che si siano risolte. Come masty penso che non bisogna entrare in merito a questioni così intime ma non-come-masty non credo che rimpiangerai quello che hai scritto. Perché la verità è che quando i genitori diventano più genitori che figli, tutto diventa pesante e ingestibile. Per il semplice motivo che loro ci hanno scelti, hanno quantomeno scelto di averci, mentre noi non abbiamo scelto loro e ci siamo ritrovati il loro carattere sempre più decadente e la ripercussione sul nostro (che è sempre migliore 😉 ). Ma non lo abbiamo scelto.
È che “la mamma è sempre la mamma” e stronzate così sono finite con lo zecchino d’oro
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La verità non è mai banale come i luoghi comuni. Ma i luoghi comuni funzionano sempre
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Mah. In questi caso dubito…
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Forse no. Meno male?
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Inteso male
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Non voglio fare il democristiano, ma avete ragione entrambi. Mododidire sulle considerazioni generali, è un’analisi lucida e condivisibile. E allo stesso tempo però, la mia “salvezza” è iniziata col mantra “questa è l’unica madre che ho”. E questo mantra è il fratello di “la mamma è sempre la mamma”. Magari un fratello che ha studiato ed elaborato di più, ma sempre fratello 😉
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beh… ma “questa è l’unica madre che ho” (ti racconterò della mia un giorno) è una tua considerazione personale, una tua strategia di vita e d’amore e di giusta distanza. Non un luogo comune come “la mamma è sempre la mamma”… quello è buono per dir qualcosa che piaccia sempre e faccia annuire il pubblico di pensionati…
ti ho riletto al risveglio stamattina, e credo che il tuo sia un post importante, e che il commento di mododidire centri in pieno la sola cosa che si possa rispondere.
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Ne vedo una marea di famiglia distrutte e di gente che si dilania con sensi di colpa scatenati da persone (patologicamente) possessive nei confronti della propria prole. La mancanza e il rimpianto sono altra cosa, hanno altre motivazioni, a mio parere. Mi scuso sempre per l’intrusione, ma Max mi trova d’accordo.
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Non scusarti, se ho scritto l’ho fatto anche per confrontarmi. Ascoltare fa bene tanto quanto parlare. E sono lieto di essere riuscito a spiegarmi, su mancanza e rimpianto 🙂
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Angie.. mi trattengo.
E dico solo che sei una forza, la migliore.
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Angie? 🙂
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Wish. Devo smettere di commentare col cellulare in orari improbabili. Cancello…(scusisssima)
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Ma scherzi? Scusa di che? 🙂 Mica è un sancta sanctorum… 😆
(più che altro devi piantarla di rubbare la robba a me e a intesomale, non tanto per la tua salute mentale, quanto per il fatto che ce lasci senza!!! 😆 😆 :lol:) (in alternativa, unisciti a quella che potrebbe diventare una comune, e prova l’ebbrezza di vivere fatta come una pigna insieme a noi tutta la santa giornata!!! 😆 😆 :lol:)
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Ma scherzi? Scusa di che? 🙂 Mica è un sancta sanctorum… 😆
(più che altro devi piantarla di rubbare la robba a me e a intesomale, non tanto per la tua salute mentale, quanto per il fatto che ce lasci senza!!! 😆 😆 :lol:) (in alternativa, unisciti a quella che potrebbe diventare una comune, e prova l’ebbrezza di vivere fatta come una pigna insieme a noi tutta la santa giornata!!! 😆 😆 :lol:)
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Hahahah. Cazzo ho letto il tuo post ed é bellissimo per cui volevo fustigarmi per averci commentato a cazzo..
: )
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Allenta la tensione. 😉 Davvero, non lo dico per dire. Sono profondamente convinto del valore della risata terapeutica. 🙂
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i commenti li leggo dopo.
Cazzo!
ma questa è mia suocera!
la quale, reincarnazione della perfidia e della pusillanimità, accentratrice, o per lo meno aspirante accentratrice di tutto il creato, piagnucolona e bugiarda….
ha pesantemente, ma proprio pesantemente segnato la vita dei due figli, a cominciare dal primo (ovviamente, tristemente mio marito) che, a seguito dei segni feroci è poi, inesorabilmente diventato uno psicopatico….
E poveracci quelli che se lo devono cucca’…
(io, per fortuna, ho l’uscita di sicurezza…)
(tu…ce l’hai?)
Bellissimo post.
e adesso leggiamo i commenti…
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beh da quello che dici l’uscita di sicurezza dovrebbe averla mia moglie, visto che il figlio segnato sono io… 😆
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sì, sì… avevo capito fossi tu…
ma tu…scrivi!
Dunque il segno…si diluisce. E, in ogni caso, anche a te serve l’uscita di sicurezza…da te!
(mi pare tu ce l’abbia, comunque. )
(scrivere è un bel punto di fuga!)
(soprattutto scrivere bene)
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Wish poteva andare peggio…
Pensa se te ne capitavano due di PG…
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Eh beh non è che col marito sia proprio andata benissimo… meglio della pg ma insomma… ne avrei da raccontare anche qui…
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Siccome ti stimo (per il poco che ti conosco) devo credere alla tua sincerità. E siccome mi sono sentita ripetere fino alla nausea che è meglio avere un genitore qualsiasi piuttosto che nessun genitore, e la vita invece mi ha portato a convincermi del contrario, caro Macchés, pur se incredula e addolorata per te, appoggio il tuo sfogo. Un abbraccio 🙂
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Ecco, forse dovremmo capire cosa significa genitore. Genitore per me è chi ti cresce. Ed è chi ti cresce, che finisce per fare danni. Se cresci con uno zio, o con un nonno, è lo zio o il nonno il tuo genitore. Estremizzando la tua metafora, dire che è meglio crescere senza genitori equivale a dire che è meglio crescere in orfanotrofio, o se non la vogliamo fare proprio palloccolosa, in una qualunque istituzione ove non vi sia una figura genitoriale dedicata, ergo necessariamente una struttura collettiva. E d’altra parte, credo converrai con me che un bambino non può crescere da solo nella sua infanzia, è necessario che qualcuno se ne prenda cura.
Quindi, tanto per arrivare ad una conclusione, credo che sia meglio crescere con dei cattivi genitori piuttosto che in orfanotrofio. E quindi, meglio un genitore qualsiasi piuttosto che nessuno. E mi pare di comprendere che anche tu ne avresti, da raccontare. L’abbraccio me lo prendo e lo ricambio, ché gli abbracci fanno sempre bene. 🙂
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Eppure… se ne prendono cura, e con amore spesso, anche negli orfanatrofi. Ma ne parleremo 🙂
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Detesto doverti scrivere una cosa che sai “E’ tua madre e per quanto odiosa ai tuoi occhi, è e resta tua madre”
E solo nel giorno in cui non l’avrai più capirai che la sua non era cattiveria, ma una protezione ai suoi problemi, alle sue paure.
Lo so, la mamma perfetta la sognano tutti, ma tu, ti sei mai chiesto quanto difficile sia esserlo? Quanto una madre perde di sé per tentare di esserlo?
Quanto sia complicato imparare un mestiere assurdo come quello della madre?
Hai mai chiesto a tua madre “amami”?
Non odiare #pg, Cerca, se puoi, visto che sei adulto, di comprenderla e amarla per quello che è.
Post scriptum: non ho letto tutto il post, è troppo doloroso. Quindi se nel mio commento ravvisi degli errori alle cose che hai scritto, perdonami
Ciao
Chiara
Orfana di madre, come forse non è necessario spiegare.
Nostalgicamente e malinconicamente orfana di madre.
E madre felice di due splendidi figli.
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Cara Chiara. Innanzitutto consentimi di abbracciarti. Perché c’è tanta empatia, e percepisco tanta sofferenza. Non ho mai chiesto a mia madre di amarmi. Pensando che (ingenuo) l’amore per la prole fosse un atto dovuto. Dovrei spiegarti molte cose, cosa sia un rapporto simbiotico, e come sia difficile uscirne. C’è più su uno scambio con sguardiepercorsi, che in qualche modo riassume i termini essenziali. Ho lavorato molto, a costo di sangue sudore e lacrime, per raggiungere una distanza corretta. E non ho bisogno che mia madre muoia, per sapere che lei è così e basta. Ho capito che è l’unica madre che ho. E in questa semplice frase c’è un mondo nascosto. Se ti andrà di leggere tutto il post e tutti i commenti, ma solo se non ti provoca sofferenza, ché soffriamo già a sufficienza senza andarcene a cercare dell’altra, se leggerai troverai la risposta al perché io sono sereno alla fine. Sereno ma consapevole. Non si può spremere sangue da una rapa. E non la odio. Davvero. Le voglio bene. Ma tenendomi alla giusta distanza. Non troppo vicino per non finire nel viluppo, non troppo lontano per non cedere alla rabbia. E non c’è nulla di cui ti debba perdonare, tranquilla. Se ho scritto qui, è perché sono consapevole di espormi, ma altrettanto consapevole del beneficio che una catarsi di questo genere ha su di me. Per quanto sembri singolare, quel che scrivo in questo post e nei commenti è tutto vero.
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Grazie dell’abbraccio, lo accetto volentieri, consapevole che sebbene gli abbracci virtuali siano facili da dare, questo scontato non è.
Leggerò tutto il post con attenzione, mi interessa capire di più di quello che ho solo intuito, caricandolo inevitabilmente sulle mie spalle. Ti confesso che aver perso la propria madre in un momento importante della propria vita, e cioè nel momento in cui io stessa lo sono diventata, mi rende sensibile agli attacchi alle proprie madri ( anche se con la mia non avevo un rapporto idilliaco). Mi fa rabbia, tutto qui. E anche un po’ di invidia ( dai, sono umana anch’io).
Leggerò perché mi piace comprendere le persone, i loro percorsi verso la serenità e sono contenta se tu, anche a costo di sofferenze che intravedo, una soluzione sei riuscito a trovarla.
E, scrivere sul blog cose così intime e personali…è una scelta e come ben dici, uno deve essere consapevole che i propri comportamenti potranno essere condivisi, criticati, giudicati.
Se però ne hai giovamento, allora continua a scrivere.
Oltretutto lo sai fare bene 🙂
Tornerò magari, dopo la lettura.
Dopo aver sedimentato i pensieri
Ciao
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Il mio più che un commento al post, vuole essere un contributo al fatto che è uno dei “mestieri” più difficili quello del genitore, è facile essere o troppo presente o troppo assenti…
non c’è un corso, come non c’è un corso per imparare ad essere figli.
Una poesia che forse molti di voi conosceranno
Khalil Gibran
I vostri figli non sono figli vostri…
Sono figli e figlie della sete che la vita ha di sé stessa…
essi vengono attraverso di voi, ma non da voi,
E benché vivano con voi non vi appartengono…
Potete donare loro amore ma non i vostri pensieri:
Essi hanno i loro pensieri.
Potete offrire rifugio ai loro corpi ma non alle loro anime:
Esse abitano la casa del domani,
che non vi sarà concesso visitare neppure in sogno.
Potete tentare di essere simili a loro, ma non farli simili a voi:
La vita procede e non s’attarda sul passato.
Voi siete gli archi da cui i figli, come frecce vive, sono scoccate in avanti.
L’Arciere vede il bersaglio sul sentiero dell’infinito,
e vi tende con forza affinché le sue frecce vadano rapide e lontane.
Affidatevi con gioia alla mano dell’Arciere;
Poiché come Egli ama il volo della freccia allo stesso modo ama la fermezza dell’arco.
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